Stillicidio
La routine dentro le mura del Cpr è costantemente un evento eccezionale. L’eccezionalità è la quotidianità.
Tra le tante, un ragazzo perde continuamente i sensi, da ormai dodici giorni è in sciopero della fame, la sua semplice richiesta è di uscire da quel posto e soprattutto dal limbo in cui si ritrova: il Marocco non lo riconosce quindi non può essere deportato, non ha i documenti quindi non può essere rilasciato su territorio italiano. Un altro ragazzo ha iniziato uno sciopero del cibo da cinque giorni perché il vitto offerto dal centro non è quello adeguato alla sua salute.
È costante la carenza di cure. Un uomo che prima di venire arrestato ha subito un’operazione al piede, in cui hanno inserito viti e una placca di metallo, lamenta il fatto che è passato il limite di tempo in cui questi inserti dovrebbero stare nel suo corpo e vorrebbe fossero rimossi. Nessuno pare ascoltarlo, la placca si scalda all’interno della carne, le viti spuntano quasi a fior di pelle.
Non per sensazionalismo si riportano storie e immagini, ma per dare una sponda a un fiume errabondo. Affinché storie e immagini si diffondano, tanto quelle più entusiasmanti quanto le più crude, e possano muovere all’azione.
L’altro ieri un uomo si è tagliato le braccia, lo squarcio ha causato un violento fiotto di sangue. I compagni della medesima area hanno chiesto che venisse portato via per essere curato, si sono arrabbiati di fronte alla strafottenza e lentezza dei poliziotti nel predisporre il trasferimento verso l’area medica. Al che la celere è entrata nell’area per sedare gli animi.
Il ragazzo ferito è scomparso da sabato sera, nessuno sa dove si trovi e come stia. Al numero unico del 118 se si prova a chiamare e chiedere di un ragazzo del Cpr portato in Pronto Soccorso gli operatori mettono le mani avanti: bisogna chiedere alla polizia, ci sono regole sulla privacy – dicono. Tutto il contrario rispetto a quando si consegnano dei pacchi alimentari o di abiti alla guardiola del centro dove ogni oggetto viene ispezionato con alacrità e precisione e il poliziotto giustifica l’attività dichiarando “Dobbiamo tutelare la sicurezza dei nostri ospiti…sia mai che trovi un seghetto nei biscotti e si possa ferire!“.
La tutela testata più frequentemente è l’aggressività della celere, sfogata nelle aree oppure sui corpi singoli nei corridoi tra le sezioni. La tutela dell’ordine dentro il centro. È di due giorni fa la notizia di un nuovo pestaggio nei confronti di un recluso e i compagni dell’area alla vista della scena hanno dato alle fiamme l’ennesimo paio di materassi.
E ancora, altri fuochi sono stati accesi per protestare contro la mancanza di cure verso un ragazzo affetto da cancro, che lamenta continui dolori. Questa volta nell’area viola.
Ieri un ragazzo marocchino è salito sul tetto della sezione per resistere alla deportazione, la polizia l’ha tirato giù a forza tra le grida dei compagni di reclusione. Con tenacia il ragazzo è riuscito a fare casino anche all’aeroporto costringendo le forze dell’ordine a riportarlo nel Cpr. All’ingresso nella struttura però aveva il volto tumefatto ed è stato sbattuto in delle nuove celle di isolamento sottoterra, vicino alla barberia, accanto agli uffici e fuori dall’area che racchiude il normale ospedaletto. Nessuno può avvicinarsi e gli è stato sequestrato il cellulare.
Ma la pena e la sofferenza ogni tanto trovano una feritoia verso cui dirigersi, per trasformarsi in adrenalina, in istinto vitale, e scavalcare quelle mura. I tentativi di fuga, seppur individuali o a piccolissimi gruppi, sono costanti e ogni tanto qualcuno funziona. Poche notti fa due ragazzi ci hanno provato dall’area rossa e uno dei due ha finalmente conquistato la libertà. I suoi compagni di sezione raccontano di come da giorni stesse lamentando di non farcela più, che si sarebbe impiccato, ma è riuscito a trovare la determinazione per osare.
Agosto è ancora lungo.