Beni Comuni
È iniziato il conto alla rovescia per l’abbandono degli spazi della Cavallerizza. Un abbandono temporaneo e limitato, o sgombero dolce come è stato definito da più parti, causato dall’incendio di alcune settimane fa. Incendio che ha accelerato un percorso, quello sull’uso civico dei Beni Comuni, le cui basi erano state gettate nel corso degli ultimi anni e di cui avevamo già avuto modo di parlare ai tempi, nelle pagine di questo blog.
Che questo percorso fosse ben avviato, d’altronde, lo mostrano le rapide trattative tra autorità cittadine e cavallerizzi le cui maggiori sorprese non emergono tanto dai contenuti dell’accordo – che garantiscono agli artisti di rientrare in alcune porzioni della Cavallerizza una volta ultimati i lavori di ristrutturazione, di ottenere dal Comune degli spazi per gli eventi già in programma e che promettono infine una soluzione abittiva a quanti tra loro ne hanno bisogno -, quanto dalla composizione delle due parti. In rappresentanza degli artisti creativi troviamo infatti l’ex vicesindaco, Guido Montanari, l’esperto di Beni Comuni nonchè giurista internazionale, Ugo Mattei in compagnia di qualche assessore della Giunta che durante i tavoli di trattativa qualche volta sedeva di qua e qualche volta di là. La porosità delle frontiere tra figuri istituzionali e sostenitori dei Beni Comuni, o tra Beni Comuni e Beni in Comune, del resto, non è certo una particolarità torinese. L’esperienza napoletana, stella polare dei benicomunisti sabaudi, è talmente ben avviata da questo punto di vista è riuscita a piazzare sulla poltrona dell’assessorato alla cultura una militante del centro sociale Insurgencia. Segno evidente della bontà del lavoro svolto, in sede elettorale e di contenimento del conflitto, dal carrozzone partenopeo dei Beni Comuni nei confronti di Giggino ‘a manetta.
I loro colleghi torinesi sono certamente più indietro, sia cronologicamente che come servigi da offrire: al di là di qualche competenza artistica e d’intrattenimento giovanile, che non sono comunque da buttare visto il restauro previsto all’ombra della Mole, non sembra abbiano altro di particolarmente interessante da poter mettere sul piatto. Resterà piuttosto da vedere quanto questa esperienza riuscirà in futuro a fare da apripista in città e il modello Beni Comuni saprà quindi far scuola, offrendo alternative soft agli sgomberi veri e propri, e soprattutto coinvolgendo nella gestione di determinati problemi sociali, – casa, salute, politiche di seconda accoglienza etc.- assieme alle autorità pubbliche e ai padroni della città come la Compagnia di San Paolo, quegli ambiti di “movimento” disposti ad abbandonare, in cambio di un qualche riconoscimento e garanzia di sopravvivenza, qualsiasi velleità conflittuale.
Ai sostenitori di queste ipotesi deve dare un certo fastidio che all’interno degli spazi della Cavallerizza non tutti abbiano accettato il dialogo con le autorità cittadine. Ci riferiamo alla scelta di Casa Riderz, lo spazio d’incontro e organizzazione per i riders in lotta, che ha deciso di non farsi mandar via a testa bassa. Una scelta che rischia certamente di infrangere l’immagine che l’amministrazione pentastellata, in caduta vertiginosa di consensi, ha tentato di promuovere. Una scelta che ci ricorda come l’unico bene comune di cui realmente chi è sfruttato deve prendersi cura e difendere è la capacità di lottare. Una capacità legata tanto agli strumenti e ai luoghi necessari per organizzarsi, quanto alla consapevolezza che, per quanto cupi possano sembrare questi tempi, la possibilità di far fronte realmente ai problemi che ci attanagliano passa necessariamente da percorsi conflittuali.