Puntare i piedi
La presenza sempre più invadente della polizia a far retate, controlli ad ogni angolo e nei bar salta agli occhi a tutti coloro che attraversano le strade di Torino nord. Le statistiche confermano ciò che si presagisce dalle percezioni in strada, sembra aumentare l’impegno a punire reati considerati lievi: il controllo diretto diventa maggiore, il numero di persone arrestate per piccole attività illegali cresce. E anche il tribunale di Torino sembra si stia organizzando a riguardo, dotandosi di strumenti in grado di far condannare più velocemente chi commette reati come furto, violenza, minaccia, resistenza a pubblico ufficiale, violazione di sigilli, risse, ricettazioni.
E dove la repressione riesce a cacciare le persone indesiderate dalle strade, ripulite per il nuovo profitto urbano, rimangono telecamere a scrutare costantemente lo spazio e vigilanza privata a far la ronda. S’incuneano così i processi di riqualificazione dello spazio e di messa a profitto che nell’ultimo decennio procedono a spron battuto in certi quartieri ormai ex-popolari di Torino.
In un clima d’attenzione generalizzata all’estirpazione di comportamenti illegali diffusi la Procura torinese, e il Tribunale in genere, pare abbiano deciso di intraprendere una crociata fino all’ultimo respiro contro le persone e i gruppi che si oppongono in diversi modi a progetti di opere infrastrutturali, a cicli di sfruttamento, a dinamiche d’esclusione.
Così in Val di Susa, dove chi ha partecipato concretamente all’opposizione alla costruzione del treno veloce si è visto appioppare misure cautelari come arresti domiciliari, obblighi di dimora e firme quotidiane dai carabinieri.
In città poi la notifica di una misura cautelare in seguito a una denuncia per una contestazione in degli uffici pubblici, per la partecipazione a un picchetto contro uno sfratto o per una semplice contrapposizione alle forze dell’ordine è ormai un’abitudine.
L’ultima cattiva nuova è del 25 maggio quando la polizia ha bussato in diverse case di Barriera di Milano per notificare dodici divieti di dimora dalla città di Torino.
All’origine di queste misure cautelari c’è una piazzata con qualche secchio di letame presso gli uffici di Ladisa – ditta che si occupava di servire i pasti ai reclusi nei Cie – durante una giornata promozionale.
E questi dodici sono solo gli ultimi di una lunga lista di compagni banditi da Torino negli ultimi anni.
E divieto di dimora dopo divieto di dimora, con il minimo sforzo, l’utilizzo di una misura cautelare minore la cui notizia non fa fragore come quella di un arresto, si tolgono di mezzo dalla geografia cittadina molte braccia e teste impegnate nella ricerca quotidiana delle possibilità di lottare, organizzarsi insieme, immaginare e provare a sovvertire il presente. Una misura che non dura solo alcuni mesi, ma essendo considerata lieve può essere rinnovata per più di un anno, costringendo le persone toccate a far le valigie e inventarsi un motivo per vivere altrove.
Si abbassa così l’asticella delle possibilità di una lotta di avanzare: diminuiscono le forze e ad aumentare rischia di essere invece la consapevolezza che basta poco per essere cacciati dalla città.
Per poter continuare le lotte che quotidianamente portiamo avanti contro gli sfratti e contro il Cie ci sembra quindi necessario iniziare a puntare i piedi rispetto a queste misure.
Vogliamo che i nostri compagni, amici, affetti rimangano qui accanto a noi a vivere e a LOTTARE!
Qui potete trovare le traduzioni del testo, con l’indizione del corteo del 18 Giugno, in francese e in inglese.