Acido desossiribonucleico

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Il prossimo appuntamento tribunalizio cade nella giornata di giovedì 15, quando tutti i tredici compagni coinvolti nell’ultima inchiesta saranno chiamati a presenziare davanti al Tribunale del Riesame. In quella sede i giudici non solo si esprimeranno in merito alla validità delle misure cautelari dei quattro compagni agli arresti, ma potrebbero anche prendere posizione rispetto alle violazioni portate avanti dai compagni sottoposti al divieto di dimora. Per quel giorno è previsto un presidio per sostenerli e cercare di rompere un po’ il via vai di porta scartoffie del palagiustizia. A breve sarà comunicata l’ora esatta d’inizio.

Intanto oltre i cori che echeggiano in un corteo e i fuochi che brillano ai margini del carcere per Silvia ed Antonio, volgiamo l’attenzione su un dettaglio di quest’ultima vicenda repressiva tutt’altro che trascurabile, che delinea come la norma cambia e prenda forma nella vita di tutti i giorni, sulla pelle delle persone, palesando la propria brutalità.

Dovevamo forse destare più attenzione a come si sarebbe foggiato il provvedimento emanato nel 2009 con lo scopo di “contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale” che istituisce una banca dati nazionale del DNA. Dovevamo forse drizzare meglio le antenne dopo il 1 maggio milanese o dopo lo sgombero del Gran Hotel occupato sempre nel capoluogo meneghino, quando ai compagni portati in questura è stato prelevato un campione di acido desossiribonucleico.

La notizia che il prelievo del DNA sia diventata ormai una prassi ci arriva direttamente dai compagni che negli ultimi mesi sono stati arrestati e passati per le Vallette. A luglio è stato il caso di Giuliano e Luca, arrestati per aver violato i domiciliari, mentre ora è la volta di Silvia, Antonio, Daniele e Stefano. Ai primi tre il cotton fioc in bocca è stato infilato nella questura di via Grattoni, invece Stefano è stato minacciato di essere trattenuto dentro le mura del carcere ad oltranza se non si fosse sottoposto al prelievo di un campione di mucosa orale.

In seguito al trattato di Prum, ovvero l’accordo che rafforza la cooperazione transfontaliera europea in materia di indagini giudiziarie e prevenzione dei reati, numerosi stati europei hanno istituito un archivio del DNA. L’Italia in ritardo ha reso esecutivo il testo di legge il 10 giugno di quest’anno.

Il DNA inserito nei data base è quello delle seguenti categorie di persone: chi viene arrestato in flagranza o sottoposto a fermo; chi si trova in custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari; i detenuti e chi ha avuto una misura alternativa al carcere condannati in via definitiva per un delitto non colposo; chi sconta una misura di sicurezza detentiva in via provvisoria o definitiva. Il prelievo si applica sia ai maggiorenni che ai minorenni. Sono escluse dal prelievo le persone condannate per tutti i cosidetti reati dei colletti bianchi, ovvero quelli fallimentari, societari o tributari.

Pare che la procedura fili liscia come l’olio: agenti della Polizia Penitenziaria, addestrati ad hoc, requisiscano pezzi di mucosa all’uscita del carcere ai detenuti e la spediscano in laboratori, sempre gestiti dal Dap, per decifrare il corredo cromosomico e inserirlo nell’archivio. Fino ad ora non ci sono giunte notizie di resistenze al prelievo, ma esistono dei margini per opporsi? Sicuramente durante un fermo si può interpellare l’intervento di un avvocato, ciò costringerà la polizia a chiedere a un giudice il permesso a procedere il maniera coatta. Per quanto riguarda invece chi passa attraverso misure custodiali, sia in maniera preventiva che definitiva, può solo sfidare direttamente con le proprie forze, con il proprio corpo ciò che è scritto su un foglio di carta ed è messo in pratica dalla convizione e dalla violenza delle guardie.