Tra contenimento e fughe, alcune riflessioni
AGGIORNAMENTI DAL CPR DI TORINO
due settimane fa un gruppo di circa una ventina di ragazzi provenienti dalla Sicilia è stato trasferito in corso Brunelleschi. La maggior parte, principalmente di nazionalità tunisina e marocchina, è stata inserita nell’area blu. La rabbia e la disperazione di alcuni di loro ha avuto espressioni di autolesionismo, ci hanno raccontato di esser ricorsi a gesti estremi tentando di impiccarsi attraverso l’utilizzo di corde improvvisate e provocando l’intervento della celere all’interno dell’area. La settimana scorsa invece i giornali locali hanno riportato la notizia di disordini e di un tentativo di rivolta, la versione che promuovono le autorità racconta di un agente delle forze dell’ordine sia rimasto ferito “nel tentativo di riportare la calma e sedare gli animi”. Abbiamo invece saputo tramite i contatti con alcuni di loro che, neanche a dirlo, non è andata proprio così; un ragazzo tunisino, arrivato da pochi giorni allinterno del cpr torinese, è stato provocato e umiliato da una delle guardie di turno mentre utilizzava la cabina telefonica e provava a contattare la sua famiglia, di fatto impedendoglielo. Dopo vari tentativi la reazione del ragazzo non si è fatta attendere e ha dato alle fiamme un materasso. Come spesso accade, soprattutto in momenti come quelli estivi gonfi di tensione, anche la reazione della controparte non si è fatta attendere e i suoi carcerieri sono intervenuti per bloccarlo e arrestarlo.
Se un solo tentativo non basta per urlare alla rivolta è anche vero che le piccole proteste, seppur individuali, sono un chiaro segno della forza che insieme i reclusi potrebbero avere, diventa chiaro come la strategia sia quella di impaurire e spaventare i nuovi arrivati e reprimere qualsiasi tentativo di rivolta. La stessa sera infatti una ventina di carabinieri con scudi e manganelli sono entrati nell’area in questione con la motivazione di effettuare perquisizioni nelle stanze, in realtà la loro funzione era intimidatoria, hanno colpito a discrezione alcuni reclusi senza motivo e ne hanno poi arrestato uno accusandolo di lesioni a un agente. La storia che i pennivendoli riportano è però una storia diversa, sostengono che due ragazzi provenienti uno dall’Egitto e l’altro dalla Tunisia siano stati tratti in arresto, il primo con l’accusa di lesioni all’agente, l’altro per aver tentato di provocare la rivolta.
Purtroppo non abbiamo al momento contatti diretti con loro in quanto l’unico mezzo per comunicare con l’esterno è tramite la cabina telefonica il cui numero fisso risulta sempre disattivato. Ci hanno comunicato che attualmente i reclusi dovrebbero essere in totale 112 rispetto ai sessanta circa di fine giugno. In seguito ai recenti inserimenti si sono verificati numerosi trasferimenti interni e alcune aree, precedentemente chiuse, come la rossa e la bianca, sono state riaperte. Solo l’area verde risulta ancora chiusa. L’elevata presenza di reclusi all’interno dello stesso spazio abitativo e il caldo estivo provocano inevitabilmente problematiche di convivenza conseguentemente represse dalle guardie con la violenza e con l’accusa che i detenuti non collaborano con le autorità durante la permanenza. Da dentro ci confermano che l’assistenza sanitaria continua a essere assente e che, sebbene abbiano il diritto a cure mediche, queste non gli vengono concesse.
DI RAGIONEVOLI DUBBI
Quest’anno la questione legata alla gestione e al controllo del flusso migratorio è stata resa ancora più “emergenziale” alla luce della crisi sanitaria legata alla pandemia del Covid-19. L’immagine dei migranti appena sbarcati se opportunamente manipolata ha da sempre rappresentato una grande occasione per il legislatore. In questo contesto vengono creati nuovi modelli di controllo e carcerazione per la popolazione straniera come è accaduto pochi giorni fa con la prima attivazione degli hotspot galleggianti, navi preposte al contenimento di migranti, che diventano di fatto una realtà istituzionale concretizzando un orizzonte di sviluppo delladetenzione amministrativa che poteva sembrare azzardato fino a poco tempo fa, ma che qualcuno aveva già ipotizzato (qui l’articolo in questione:https://macerie.org/index.php/2020/02/23/il-sistema-dei-punti-di-crisi-gli-hotspot/). Le strutture di prima e di seconda accoglienza predisposte a ospitare un numero di migranti sono sovraffollate tanto da costringere le istituzioni locali – siano esse poteri amministrativi o esecutivi – a ordinarne la chiusura richiedendo al governo la proclamazione dello stato di emergenza. Esemplare il caso di Messina, in cui il sindaco ha firmato un’ordinanza nella quale ordina la chiusura dell’hotspot cittadino dopo la notizia della fuga di 24 migranti affermando inoltre che la struttura risultava abusiva e causa di problemi di ordine pubblico e sanitario. Per tutta risposta, il prefetto di Messina si è subito affrettato ad annullare l’ordinanza, in quanto non rientrava nei poteri del sindaco essendo di competenza esclusiva dello stato.Insomma un braccio di ferro tra poteri statali e sfere di competenza giuridica giocato tutto sulla pelle delle persone rinchiuse nella gabbia chiamata accoglienza.
La situazione è molto tesa anche nell’Hotspot di Lampedusa. Stando alle parole del sindaco, la struttura che dovrebbe ospitare 95 persone, ne ospita in realtà un migliaio. Una situazione tragicomica, se si pensa a tutte le norme anti diffusione del contagio di cui Conte e la sua equipe di esperti si sono riempiti la bocca per mesi a reti unificate. Risulta qui lampante quante sfumature può avere la parola sicurezzaper chi siede ai piani alti: primo tra tutti il farne uno strumento di propaganda. Propaganda volta da un lato a mantenere l’ordine sociale costituito e rassicurare dal punto di vista della facciata pubblica e costituzionale i cittadini; dall’altro alimentare la criminalizzazione e la paura verso lo straniero. Gli ultimi ingredienti di questa ricetta tipicamente italiana includono una buona dose di deresponsabilizzazione nella gestione della malasanità in un periodo in cui il discorso del Covid-19 è tutt’altro che chiuso.
La strategia difensiva adottata dal potere istituzionale sembra essere la solita: approfittare di una situazione intollerabile per poi raccogliere i frutti propagandistici di un inevitabile malessere che non può non sfociare in rivolte o, nel migliore dei casi, nella fuga. In questa cornice di malagestione e sovraffollamento, indotta dall’incapacità sistemica con cui lo stato affronta l’argomento migrazioni, gli svariati tentativi di fugarappresentano il terreno di scontro di questa partita. Da un lato è evidente che essi siano l’unico modo per sottrarsi a questo sistema, dall’altro è proprio su di essi che si alimenta la narrazione statuale per cui tali persone sarebbero i veicoli principali del contagio sul territorio nazionale e di conseguenza tra i principali problemi da gestire. Sistemica è anche la risposta di facciata da parte delle istituzioni, preoccupate più di dare una risposta dettata dall’imminenza della situazione e che riesca a risultare convincente per i cittadini. Come a dire: ci stiamo lavorando!
Se nel momento apicale della crisi sanitaria Covid-19 le istituzioni navigavano a vista e le prigioni per senza documenti mostravano il loro reale ruolo all’interno di questa società (come analizzato in precedenza quihttps://macerie.org/index.php/2020/04/01/di-virus-contenimento-e-deportazioni-un-punto-sui-cpr/), ad oggi le politiche di stato, rafforzate dalla riapertura delle frontiere, vanno nella direzione di rendere più efficaci e fluidi i meccanismi di rimpatrio. La politica discriminatoria che lo stato sta portando avanti in termini di sicurezza e contenimento del contagio rivela la necessità di rafforzare gli spostamenti di persone dalle coste meridionali dell’Italia al fine di diminuire le tensioni e l’attenzione che stanno investendo gli hotspot di quei territori: finalità che ha portato in poco più di un mese a raddoppiare la capienza dei CPR. Tale situazione rende necessaria una parziale virata rispetto alle politiche della lega, quest’ultime si basavano infatti sulla continua tensione dialettica tra la negazione degli sbarchi, dichiarandone pubblicamente l’imminente blocco, e l’iper visibilizzazione degli stessi nei momenti più critici, in una propaganda tutta strumentale.Ma la realtà è ben più complessa: se tale dialettica è stata lo strumento principale della strategia salviniana, attualmente mantiene il suo ruolo centrale fintantochè la realtà non tracima. Si prova infatti a diminuire la percezione degli sbarchi creando nuove strutture di contenimento quali hotspot galleggianti e tendopoli improvvisate. Ma le notizie delle prigioni per senza documenti sovraffollati smascherano tala retorica di banalizzazione e invisibilizzazione. Non bastano più gli slogan a guadagnarsi l’elettorato. Guardando al futuro più prossimo, il governo si sta preparando alla gestione di possibili tensioni sociali.
In questa direzione la notizia della settimana scorsa dell’intesa raggiunta tra la ministra dell’Interno e gli esponenti della maggioranza sullariforma dei decreti sicurezza Salvini.Si prevede un ripristino dei programmi di assistenza e integrazione per i richiedenti asilo, l’abolizione delle maxi multe per le ong che soccorrono i migranti in mare e il dimezzamento del tempo massimo di reclusione nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Il decreto verrà emanato a settembre, le camere avranno poi 60 giorni per convertirlo in legge.La visita della ministra Lamorgese in Tunisia è la chiara volontà politica di rafforzare i legami bilaterali sul tema espulsioni e respingimenti tra i due paesi. Se nel 2018 su 77 voli charter 66 erano diretti in Tunisia, per quest’estate il Viminale ha reso noto che ci sarà un’incremento dei voli sulla stessa tratta anche per supplire ai mancati rimpatri interrotti durante il lockdown. Annunciano infatti due aerei a settimana, ognuno con un massimo di 40 persone a bordo, per un totale di 80 persone a settimana. Come a dire: ci stiamo lavorando, ma molto molto intensamente! Non solo la Tunisia ha riaperto le proprie frontiere, varie deportazioni sono state già effettuate verso paesi come l’Albania, Marocco, Egitto. Già a partire da metà luglio è stata consentita l’operatività delle tratte marittime e dei voli. Per quanto riguarda questi ultimi si trattava di linee di voli privati ai quali è stato consentito l’utilizzo di aereoporti pubblici, così come per le tratte marittime è stato consentito a navi private l’utilizzo di porti pubblici. L’importante è far funzionare la macchina delle espulsioni, velocizzandone i ritmi, come è capitato a due ragazzi tunisini prima tratti in arresto per questioni di spaccio poi deportati da Bologna a Tunisi senzapassare dal Cpr.
Un ulteriore tassello di questo mosaico a fosche tinte, che si inserisce in una situazione sociale e politica già esacerbata dalle conseguenze gestionali della pandemia, riguarda la questione delle proroghe, legate al prolungamento dello stato di emergenza chiesto ed ottenuto dal governo Conte: i permessi di soggiorno in scadenza la cui validità è prorogata fino al 31 agosto; i contratti con le cooperative che gestiscono i progetti di accoglienza (di prima e di seconda) prorogati fino al 31 dicembre. A pensar male, viene da credere che tutte queste proroghe non facciano che consolidare il business dell’accoglienza e in seconda battuta alimentare il bacino di irregolari che possono cadere nelle maglie del sistema di detenzione amministrativa.
In questo clima di generale insicurezza, a farla da padrone è la funzione di deterrenza e repressione che lo stato esercita nei momenti e nei luoghi più sensibili: non è difficile scorgere camionette e caschi blu davanti agli uffici dell’immigrazione o vederli arrivare in fretta e furia durante un saluto sotto le mura del Cpr. E’ ipotizzabile che tali zone grigie e sensibili, prodotte da legiferazioni confuse e proroghe a far da tappabuchi, possano diventare lo scenario adatto ad una possibile rottura.