Pietre

22 febbraio. Intorno alle quattro del pomeriggio cominciano a radunarsi sotto alle mura di Corso Brunelleschi un bel po’ di antirazzisti torinesi e tanti profughi della casa occupata di corso Peschiera. L’intenzione condivisa è di farsi sentire dai prigionieri – che fino al giorno precedente erano ancora massicciamente in sciopero della fame – e in particolar modo dai reduci della sommossa di Lampedusa. La musica a tutto volume si alterna agli interventi, le dirette di radio Blackout da dentro le gabbie si alternano ai fumogeni e ai petardi. Poi si decide di partire: la gente blocca la strada e comincia a sfilare lungo il perimetro del centro. Ma qualcuno si stacca dal corteo e – dai lati – comincia a battere con delle pietre contro tutto quello che può fare rumore: pali, cassonetti della spazzatura, segnali stradali. Altri li imitano: il rumore, ritmato, è sempre più forte. Intanto, i muri del centro si riempiono di scritte. Arrivati di fronte all’entrata del Cpt, il rumore è assordante – colpi di pietre ed urla: «Libertà!». Qualche uovo finisce sugli agenti schierati ai cancelli. Intanto, da dentro, i reclusi battono anche loro, rispondono e fanno casino, fino a che la polizia non entra nel recinto e – da oltre le gabbie – si fa vedere minacciosa, ben armata di scudi, caschi e manganelli. Incerti tra la paura e la rivolta aperta, i reclusi tentennano. Alla fine la tensione si allenta, e le guardie si allontanano dalle gabbie. Il corteo intanto è finito e si è trasformato di nuovo in presidio. Ancora pietre ritmate, ma a sfumare. Poi il silenzio: ci saranno altre occasioni.

Ascolta alcune delle testimonianze raccolte da Radio Blackout durante il presidio…
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…e il corteo.
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