Sangue e palline

È sabato, e come tutti i sabati dentro al Cpt di Corso Brunelleschi è il giorno dei tunisini: tocca a loro essere rimpatriati. Ma in tre non ci stanno. In due si tagliano, prima sulle mani poi dappertutto. Un altro ingoia tutto quello che può ingoiare. La Croce Rossa vuole portarli via, ma loro resistono. C’è sangue ovunque, la tensione sale. Quel sangue è per non partire, per non venire riportati in un paese dal quale si è fuggiti tra mille pericoli e peripezie. Quel sangue è anche un segno: il segno della solitudine nella lotta, dell’urlo di libertà urlato a squarciagola e non raccolto (quasi) da nessuno. E, soprattutto, mai raccolto con tutta la concretezza che meriterebbe. Passa il tempo, arrivano le ambulanze, i due vengono caricati e finiscono all’ospedale, il terzo rimane nel Centro. Ce l’hanno fatta: per questo sabato non partiranno.
Affannati, tre ore dopo, arrivano sotto le mura di corso Brunelleschi i nostri soliti amici antirazzisti. Diciamo soliti perché sono sempre loro: gli altri, gli antirazzisti dei cortei e delle grosse iniziative, sembrano non sentire le urla sempre più straziate che si alzano da corso Brunelleschi. Inizia un presidio lampo. Prima petardi e battiture, poi dal cielo piovono dentro alle gabbie delle palline gialle: dentro, un messaggio di solidarietà e il numero di telefono dei solidali di fuori. I crocerossini si mobilitano, tentano di sequestrare al volo tutte le palline, ma qualcuna finisce nelle mani dei reclusi che telefonano, prendono coraggio, raccontano le loro storie, e annunciano che dal giorno dopo la loro lotta diventerà di nuovo un urlo collettivo.

Ascolta la diretta raccolta da Radio Blackout:
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