Elementi di geometria: l’asimmetria a Rouen

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L’orizzonte delineato dai centri di studi strategici militari statunitensi che abbiamo preso in considerazione nelle pagine precedenti viene ora fatto proprio anche dalla NATO.

Secondo il rapporto fatto apparire nel 2003 dall’Alleanza Atlantica Urban Operations in the Year 2020 (prodotto dal gruppo di studio SAS 30, cui partecipano dal 1998 esperti di sette nazioni: Italia, Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda e Stati Uniti d’America)[42] la tendenza al prodursi di tensioni legate all’esistenza di “slum e condizioni di povertà” urbana “potrebbe crescere significativamente in futuro, conducendo a possibili sommosse, disordini civili e minacce alla sicurezza che imporranno l’intervento delle autorità locali”[43]. Il rapporto prende quindi le mosse da un’ovvietà di base: le discariche umane ai margini e negli interstizi dell’urbe costituiscono vere e proprie polveriere destinate in qualche modo a esplodere con effetti e dinamiche difficilmente prevedibili, non solo per la quantità dei possibili rivoltosi e la loro composizione eterogenea, ma anche per la complicata conformazione delle aree metropolitane contemporanee.

In aggiunta ai tradizionali rischi delle operazioni militari condotte in città, infatti, si avranno “ulteriori complicazioni associate alla grande estensione delle aree urbane e suburbane, agli stabili alti e alle aree sotterranee. Queste difficoltà saranno ulteriormente complicate dal rischio di perdere il controllo delle folle, dalle differenze culturali e razziali, dal movimento di non-combattenti, dal fatto di condurre operazioni in ambienti a tre dimensioni e dalla prospettiva di danni collaterali alle infrastrutture. Le conseguenze di comportamenti non appropriati rispetto a questi rischi potrebbero essere immense”[44].

La posta in gioco riguarda sostanzialmente la capacità da parte delle forze militari di gestire situazioni di conflittualità asimmetrica, in cui il nemico è rappresentato non già da un esercito regolare, bensì da una massa eterogenea di “irregolari” che, peraltro, potrebbero far buon uso delle dotazioni tecnologiche contemporanee[45]. “Minacce asimmetriche, tecnologie emergenti e operazioni in aree urbane” sono quindi identificate nel rapporto UO 2020 come “le principali caratteristiche e le sfide potenziali per le operazioni dell’Alleanza nel futuro”[46]. In particolare, si sottolinea che da diversi anni è stato rilevato come “un insorgente” possa agire “più liberamente e con maggior efficacia in aree urbane affollate per attaccare ripetutamente le forze della legge e dell’ordine con una grossa riduzione dei rischi. I guerriglieri, gl’insorgenti e altri gruppi non statali hanno sempre tratto vantaggio dai benefici (per loro) derivanti dall’operare in un ambiente cosiffatto e, senza dubbio, continueranno a farlo (per esempio Belfast, Mogadiscio e Bogotá)”[47].

Per le teste d’uovo dell’Alleanza Atlantica è perciò necessario aggiornare le proprie strategie d’intervento, in quanto “dal 1949 la NATO non è stata mai impegnata in operazioni di larga scala su territori urbani. Dal punto di vista degli studi strategici si è a lungo ritenuto che l’esperienza accumulata nel corso della Seconda Guerra mondiale fosse sufficiente rispetto a eventuali situazioni belliche in territorio urbano”. A dover essere riconsiderato è, in generale, l’ormai superato approccio caratterizzato da “progressi lenti e lineari, soluzioni basate sulla potenza di fuoco, significativi danni per i non-combattenti e distruzione di molte infrastrutture”[48], nonché “elevati livelli di perdite ed estesi danni collaterali”[49]. In altri termini: quanto più nell’ectoplasma metropolitano, che si estende di principio senza limiti, il nemico diviene per definizione interno, tanto meno sarà possibile affrontarlo, secondo il modello precedente, con bombardamenti a tappeto e con la distruzione intergrale delle città. Come si vedrà tra breve, la distruzione, anche integrale, sarà contemplata solo previa creazione di specifiche “zone d’esteriorità” nel tessuto urbano in cui isolare il nemico.

La necessità di un ripensamento strategico deriva quindi da una proiezione degli scenari apertisi negli ultimi anni. Di recente, infatti, le forze NATO sono state ripetutamente impegnate in “Non Article 5 Operations”, cioè in azioni diverse dall’“autodifesa individuale o collettiva” prevista appunto dall’art. 5 del Patto Atlantico, “in particolare nei Balcani e in aree anch’esse industrializzate o di natura urbana, e si ritiene che questa tendenza continuerà a crescere nei prossimi vent’anni”[50]. E gli andamenti demografici, in cui convergono aumento della popolazione mondiale e generale inurbamento della stessa, indicano come “il processo di urbanizzazione dislocherà necessariamente su territori urbani i prossimi interventi militari”.

Di qui, la necessità di elaborare un nuovo approccio operativo, denominato “manoeuvrist” (di manovra), il cui principale obiettivo dovrebbe consistere nel “frantumare la coesione e la volontà di combattere” del nemico[51]. Tra le soluzioni individuate dagli analisti, ve ne sono alcune di carattere prevalentemente militare, come per esempio l’impiego di mezzi di sorveglianza interarma al fine di dirigere azioni tattiche contro i “punti nevralgici del nemico” e l’utilizzo di mezzi d’attacco a distanza per limitare il ricorso al combattimento ravvicinato; altre di carattere più specificamente investigativo- poliziesco, come quelle necessarie per controllare i flussi di informazioni, persone ed elementi di sostegno di cui dispone il nemico; altre ancora di stampo politico-diplomatico, in quanto le forze militari dovranno essere in grado d’instaurare rapporti di collaborazione con le “molte agenzie ufficiali e non ufficiali” presenti sul territorio, nella misura in cui le operazioni belliche in ambiente urbano implicano problematiche “non solo militari, ma anche diplomatiche, politiche, economiche e sociali”. Infine, in piena coerenza con la prospettiva governamentale del fronte interno, spiccheranno compiti di carattere propagandistico: “le informazioni devono essere trattate in maniera sistematica e coerente in tutti gli stadi di un’operazione, incluso il conflitto e le attività post-conflitto”[52].

Per chi infine si ostinasse a pensare che il ragionamento qui sopra delineato riguardi solo il limes dell’impero, e non il suo centro organico, per chi volesse comunque proiettare la scena del conflitto in un altrove dovunque purché non qui, per chi insomma continuasse a sentirsi ancora “in pace” nell’esistente (e cioè in un esistente di pace), riteniamo bastevole l’“Annex E” del rapporto, che simula un intervento NATO in un teatro di operazioni nel quale le “città d’interesse strategico” non sono Teheran, Pyongyang o, al limite, Pechino, bensì Rouen, Le Havre, Evreux e Dieppe.

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Note:

[42]La commissione SAS (Studies, Analyses and Simulation), nel maggio 2000, ha deciso che il direttore fosse fornito dal Regno Unito. È lecito supporre che a questa decisione abbiano contribuito da una parte l’assoluta fedeltà di Londra ai dettami di Washington e dall’altra l’esperienza accumulata dagl’inglesi in materia di “controguerriglia urbana” e operazioni “anti-riot” nell’Irlanda del Nord, a partire dal 1969. Al riguardo, vedansi il dossier “Antiguerriglia”, in “CONTROinformazione”, a. VII, n. 17, gennaio 1980; ROGER FALIGOT, Britain’s military strategy in Ireland. The Kitson experiment, Zed Press, London, 1983.

Particolare curioso: l’acronimo SAS sta anche per Special Air Service, un corpo che, a dispetto del nome, non ha mai avuto quasi nulla a che fare con l’aviazione. Si tratta di quei “commandos del deserto” le cui gesta dietro le linee dell’Afrika Korps di Rommel riempivano le tavole dei fumetti di guerra che alcuni di noi, da bambini, leggevano avidamente. Con la fine della Seconda Guerra mondiale, i membri dello SAS vengono riciclati e si trasformano in controguerriglieri. Con i problemi posti dall’intervento contro i partigiani dell’ELAS in Grecia e dalle necessità di mantenere il controllo delle colonie, in particolare in Estremo Oriente, il tema della controguerriglia permea sempre più le dottrine tattiche e strategiche del British Army. Dalla repressione delle sommosse in Malaysia alla lotta contro i “Mau Mau” (termine inventato di sana pianta dai servizi segreti di Sua Maestà per raffigurare i militanti dell’“Esercito di Liberazione della terra” keniota quali adepti di sètte tribali dedite al cannibalismo), all’impegno a Singapore e a Aden, fino al massiccio impiego nell’Ulster in rivolta, il ruolo dello SAS è andato accrescendosi e specializzandosi.

A proposito delle tecniche sperimentate dagl’inglesi nei campi di concentramento in Kenya, ove fu introdotta quella differenziazione dei percorsi detentivi (sotto forma di un labirinto, più o meno duro e chiuso, ufficialmente denominato Pipeline) destinata vent’anni dopo a plasmare il “carcerario” anche in Italia, con la nascita del circuito delle carceri speciali e del “sentiero dei camosci”, cfr. Manuale del piccolo colonialista, a cura di Comidad, cap. 7: “La democrazia dei lager. La rivolta dei Kikuyu (Mau Mau) del Kenya”, novembre 2007, http://www.comidad.org/documenti/013documenti.html

[43] Cfr. § 2.2.2: “Trends in the Urban Environment”.

[44] Cfr. § 2.4.2: “Implications for Military Commanders”.

[45]Analizzando la guerra in Libano del 2006, vista da più parti come una disfatta per Tzahal, gli esperti del Pentagono sono rimasti sbalorditi dalla distruzione delle unità corazzate israeliane mediante l’utilizzo di sofisticati missili guidati anticarro da parte di Hezbollah, che era anche in grado d’intercettare le comunicazioni del nemico e persino di colpirne una delle navi con un missile Cruise. I Corpi della Marina e dell’Esercito USA, dopo aver lungamente intervistato gli ufficiali israeliani, hanno organizzato una serie di simulazioni belliche del costo di molti milioni di dollari per testare le possibili reazioni delle forze statunitensi di fronte a un nemico del genere. Frank Hoffman, ricercatore presso il Marine Corps Warfighting Laboratory di Quantico, ha dichiarato in proposito: “Ho organizzato due delle maggiori simulazioni di guerra negli ultimi due anni, ed entrambe si sono concentrate su Hezbollah”. Uno degl’interrogativi, ha sottolineato un analista militare che ha studiato la guerra del Libano per conto del Center for Army Lessons Learned a Fort Leavenworth, era quello su come riuscire a “prepararsi a operazioni di combattimento di maggior entità, mentre si è impegnati in guerre di contro-insorgenza”. Cfr. GREG JAFFE, Short ’06 Lebanon War Stokes Pentagon Debate, in “Washington Post”, 6 aprile 2009, disponibile in italiano sul sito “l’Occidentale” col titolo Tra guerriglia e guerra convenzionale: Hezbollah caso di studio al Pentagono (http://www.loccidentale.it/articolo/dilemma+al+pentagono%3A+guerriglia+o+guerra+convenzionale%3F.0069579).

[46] Cfr. “Introduction”, p. 1.

[47] Cfr. § 2.3.2: “The Nature of the Enemy”, p. 5.

[48] Cfr. Cap. 3: “The Manoeuvrist Approach to Urban Operations”, § 3.1: “Background”.

[49] Cfr. “Executive summary”, “Introduction”, p. iii.

[50] Cfr. cap. 3: “The Manoeuvrist Approach to Urban Operations”, § 3.1: “Background”, cit.

[51] Cfr. cap. 3: “The Manoeuvrist Approach to Urban Operations”, § 3.3: “The Manoeuvrist Approach”, p. 9.

[52] Cfr. § 2.3.1: “The Nature of Conflict in Urban Areas”, p. 5.

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