Dall’altro capo del mondo

Una voce che arriva dall’altro capo del mondo. È la voce di Miguel: al telefono mi racconta l’ultimo capitolo della sua avventura italiana e me lo racconta proprio partendo dal momento in cui ci eravamo lasciati una mattina di qualche settimana fa. “Mi stanno portando via”,  era tutto quanto era riuscito a dirmi allora: ora mi può dire il resto, mentre se ne sta seduto nella casa di sua madre, in un paese a qualche centinaio di chilometri da Lima, in Perù.

Quella mattina l’hanno svegliato presto e l’hanno accompagnato dentro all’ufficio immigrazione del Centro di Ponte Galeria dove i funzionari gli hanno comunicato che la partenza sarebbe stata immediata. Partenza immediata anche se nei mesi di detenzione non si era mai visto nessuno del consolato peruviano, tanto immediata da non lasciarlo nemmeno tornare nella camerata dove aveva nascosto pochi euro di risparmi. Ci ha provato, Miguel, a chiedere ad un impiegato della Croce Rossa di poterli recuperare, ma ne ha ricevuto come risposta solo qualche minaccia. “Piuttosto ti tiro un cazzotto” – gli ha detto un crocerossino prima di farselo sfilare dalle mani dai tre poliziotti che lo hanno preso in consegna per il viaggio. Viaggio? Un bel viaggio, certamente, con le braccia immobilizzate in una specie di camicia di forza. “Mi ero preparato a questo, ero tranquillo”: non voleva fare resistenza, Miguel. Eppure è stato tenuto legato, ed è stato fatto salire sull’aereo prima di tutti gli altri e lontano da sguardi indiscreti; è stato fatto sedere in fondo, coi tre agenti in borghese schiacciati accanto a lui un po’ a trattenerlo e un po’ a nasconderlo alla vista degli altri passeggeri. Non era un bello spettacolo, in effetti, ma bisognava pur trovare una maniera per liberarsene, ore che l’Europa non ha più bisogno di lui. Anche se lui l’Europa l’ha sempre amata, se ne ha studiato con passione la storia e gli “ideali”. Anche se ha passato vent’anni a servire nelle case dei notabili romani, la più antica delle capitali del continente. Non voleva fare resistenza, Miguel, ma i questurini gli hanno liberato le mani solo dopo mezz’ora dal decollo e lo hanno marcato stretto anche dentro all’aeroporto di Caracas – dove  ha fatto scalo il volo dell’Alitalia – tanto che i funzionari della polizia di frontiera si son sorpresi nel vedere un peruviano quasiasi accompagnato da una scorta simile (“Sei proprio un tipo importante, eh?”). Poi l’aereo per Lima, e poi il ritorno nella casa dalla quale era partito più di vent’anni fa, alla ricerca di una vita e di una Europa che lo hanno tradito.

Dai compagni di prigionia di Miguel, intanto, ci sono giunte in questi giorni alcune piccole notizie. La prima è che il ragazzo che si era tagliato le vene per la disperazione alla fine di settembre è stato rilasciato. Ora è con sua moglie, libero. Dopo di lui, però, altri si sono lacerati la pelle e sono ancora prigionieri. La seconda è che piove. Piove dentro alle camerate, e i reclusi sono costretti a spostare i materassi per sfuggire alle gocce che vengono dal soffitto. La terza – lo dicono i reclusi e lo confermano i giornali – è che il prefetto di Roma ha chiesto a Maroni di poter chiudere Ponte Galeria. Oramai sono tre i Centri (Gradisca, Ponte Galeria e Restinco) che nel giro di un mese degli impiegati del ministero degli Interni hanno dichiarato essere ingestibili. Il capufficio, per ora, non risponde e contiene il nervosismo dietro a discorsi generici su nuovi Cie da costruire in giro per lo stivale ma è evidente che tra scioperi della fame, storie che valicano le mura, sommosse, tentativi di fuga e quel po’ di mobilitazione che si è costruita all’esterno almeno un po’ di grattacapi, fra tutti, gli sono stati procurati.