Uomini in viaggio

Adel, una delle voci che da settimane narrano le rivolte dei lager italiani, uno dei loro protagonisti, è stato espulso sabato scorso, il 14 novembre 2009. Viene svegliato all’alba da caschi e bastoni bene in mostra, prelevato dalla gabbia e condotto d’urgenza  a Genova. Prima dal console tunisino, che frettolosamente firma il nulla osta per l’espulsione; poi al porto, dove viene imbarcato in catene sul traghetto delle 18.00 della Compagnie Tunisienne de Navigation. E c’era pure chi lo salutava, Adel, e una lunga mano che gli lasciava un pacchetto di sigarette. La gelida mano della burocrazia italiana gli lascia un foglio di via che gli promette carcere se rientra in Italia, e due accuse di resistenza e danneggiamento che non sono niente in confronto. Tant’è che i magistrati non avranno il piacere di interrogarlo, per questi processi. Buon per loro, si risparmieranno racconti di tentate evasioni collettive e violenti pestaggi di rappresaglia, di gesti di protesta estremi fino alla mutilazione e di guardie indifferenti, e della rabbia di uomini e donne chiusi in gabbia per mesi senza motivo e trattate peggio delle bestie. In effetti non è una storia così sorprendente. E non è neanche l’unica, se pensiamo a tutte le volte che uno o un gruppo di reclusi scavalca e fa perdere le proprie tracce, o a tutti le volte che intere sezioni insorgono e demoliscono tutto quello che possono per difendersi dalle cariche.

Mimì è uscito dal Cie lo stesso giorno in cui hanno espulso Adel. Anche lui un rompicoglioni per l’amministrazione dei Centri, temeva fino all’ultimo che gli tirassero qualche brutto scherzo. Racconta che la cosa peggiore, la vera tortura del Cie è l’incertezza della fine che farai, né del momento in cui arriva. E che nell’ultimo periodo, da quando al Centro è passato il console marocchino, le espulsioni sono state tante, una decina contro le solite due, o addirittura una a settimana. Anche Mimì ha ricevuto un ricordino dal Cie: un bell’ordine di allontanamento dall’Italia in cinque giorni. La Questura non ce l’ha fatta e, stizzita, se lo ribecca mette dentro. Peccato che anche Mimì abbia dei conti in sospeso con la giustizia italiana: ha denunciato di essere stato picchiato dai militari fino a perdere un dente, e di aver subito forti pressioni per ritirarla, quella denuncia, “tanto un clandestino non può vincere contro lo Stato”. In un’aula di tribunale è praticamente escluso, ci pare di capire. Ma dentro al Cie di Torino la voce che circola dal pomeriggio è che Mimì è uscito a forza di rompere i coglioni alle guardie e alla crocerossa. E in serata si ricomincia, braccia tagliate e televisori rotti, grida e proteste, e un presidio volante fuori dal Cie di una ventina di solidali, con petardi e fuochi artificiali.

Ascolta il riassunto della giornata trasmesso da Radio Blackout, all’interno dello “Speciale Cie” di domenica mattina:

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E ascolta la voce di un recluso trasmessa in diretta da Radio Blackout durante il presidio di domenica

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