“Può toccare ad ognuno di noi”

Venerdì 27 novembre una recluso del Cie di corso Brunelleschi a Torino, un ventisettene nordafricano di nome Yassin El Bechi, già in sciopero della fame da sei giorni, si taglia le braccia per protesta. La polizia, invece di curarlo, lo tira fuori dalla gabbia e lo porta in isolamento, per pestarlo e per arrestarlo, con la solita accusa di resistenza. Non è la prima volta che succede una cosa del genere, ma per la prima volta, tutti i trenta reclusi dell’area rossa entrano in sciopero della fame per due giorni consecutivi. Vogliono avere notizie dell’arrestato, vogliono parlare con un magistrato, perché si rendono conto del totale arbitrio delle forze dell’ordine cui sono sottoposti ogni giorno, perché “oggi è toccato a Yassin, domani può toccare ad ognuno di noi.” Dopo aver ottenuto da un ispettore la promessa che questa settimana un “capo della procura, una donna” verrà a visitare il centro, lo sciopero è stato interrotto e solo qualcuno lo prosegue. Comunque sia, tra lotte individuali e sommosse collettive, si fa strada l’antica idea della solidarietà organizzata contro una repressione che si fa sempre più feroce e indiscriminata.