Fathi

La storia di Fathi, il recluso del Cie di Bari che, un paio di settimane fa, è riuscito a far circolare in Italia un video sulle condizioni di reclusione del Cie di Bari. Immagini girate all’interno delle gabbie, clandestinamente, e che lui ha fatto arrivare in Italia dalla Tunisia, dove qualche giorno prima era stato deportato.

Al centro della sua storia, riassunta in poche righe, un tentativo di fuga dal Cie e poi botte selvagge e  minacce. Una storia come tante, la sua, ma ha avuto il coraggio e la costanza di raccontarcela. Diamogli ascolto.

Ascolta la testimonianza di Fathi, raccolta da Radio Blackout:

[audio:https://macerie.org/wp-content/uploads/2010/02/fathi-tunisia.mp3]

E leggi un brano dello scritto che ci ha fatto arrivare.

«Sono operatore, insieme ad altri connazionali, di un’associazione di beneficenza di nome “A RAHMA” (“Misericordia”), fondata in Tunisia nel 1990. Il principale obiettivo dell’associazione è aiutare i bisognosi, ci siamo occupati di ristrutturare alcune abitazioni e il cimitero, e di piantare degli alberi. Abbiamo donato un appezzamento di terreno (del valore di 23.000.000 di dinari) per costruire un ufficio della posta, una scuola e due ospedali – di cui conservo la relativa documentazione e alcune foto.

Quando ero in Tunisia, nell’aprile 2009, ho appreso la notizia del terremoto che aveva colpito L’Aquila: questo è stato un motivo valido, che mi ha incoraggiato a venire in Italia. Ho provato tante volte ad entrare nel territorio italiano, e finalmente sono riuscito ad arrivare a Genova e da lì a L’Aquila; qui ho cercato di aiutare come volontario per tre mesi, ma non mi è stato concesso, perché non avevo il permesso di soggiorno, possedevo solo il passaporto. A settembre 2009 sono andato in ospedale a L’Aquila per fare un esame del sangue, e ho fatto una donazione.

Mi sono poi trasferito a Parma, dove ho donato la somma di 50,00 euro per L’Aquila. Dopo due giorni, durante un controllo, sono stato fermato dalla polizia. In caserma hanno controllato il mio passaporto, che però era strappato, e per questo motivo mi hanno schedato; hanno detto che il mio ingresso in Italia è avvenuto nel 2002, e mi hanno dato 5 giorni per lasciare l’Italia: così sono tornato in Tunisia dall’aeroporto di Roma.

Sono tornato in Italia, sempre nel 2009, ed ho avuto lo stesso problema: avevo di nuovo 5 giorni per lasciare l’Italia. Il 1/10/2009 sono quindi andato al Consolato di Tunisia a Genova, dove ho dato il mio passaporto strappato e mi è stato dato un documento per identificarmi, dicendomi che dopo 20 giorni avrei avuto il mio passaporto e che avrei dovuto lasciare il territorio italiano.

Il 6/10/2009, purtroppo, mi ha fermato la polizia per un controllo; in caserma mi hanno schedato di nuovo (prendendomi le impronte digitali) e sono stato in carcere per una notte. Il 7/10/2009, al Tribunale, ho raccontato tutta la mia storia, e soprattutto ho spiegato che il mio passaporto si trova al Consolato a Genova; per questo motivo mi avevano vietato di andare in Tunisia, e se avessi lasciato l’Italia senza passaporto, avrei potuto riceverlo solo dopo due o tre anni. Sono stato inoltre condannato a 5 mesi e 20 giorni di libertà vigilata e ho avuto 5 giorni per lasciare l’Italia.

Dal Tribunale sono stato portato nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Bari-Palese. Il 16/12/2009 alle ore 02.30 di notte ho cercato di scappare, ma mi hanno preso e mi hanno picchiato forte in testa e su tutto il corpo. Alle ore 05.00 di mattina sono stato portato in ospedale, accompagnato da un maresciallo e da altri agenti. Lì ho chiesto al medico di fare delle radiografie a tutto il corpo, ma quest’ultimo ha rifiutato e si è limitato a farmi una radiografia a polso e mano destra e una a piede e gamba sinistra. Il medico aveva chiesto al maresciallo di mandarmi in Tunisia, ma gli è stato detto di no; sono stato anche minacciato di essere mandato in carcere se avessi parlato di quello che mi è accaduto.

Vorrei dire una cosa molto importante: il Consolato tunisino a Napoli aveva già mandato dei documenti che confermano la mia identità tunisina e sono stati rifiutati anche questi.»

Fathi Beseghaier