Mai più schiavi, mai più schiave…

domande e risposte

«[…] Da una parte i padroni che in tutto il mondo e in tutti i modi sfruttano, violentano, escludono ed umiliano. E noi tutti dall’altra: sappiamo che ci vogliono schiavi ma stiamo imparando a dire basta.»

Qui di seguito, il testo completo di uno dei volantini che un gruppo di compagni distribuirà alla manifestazione del 27 novembre.

8 novembre 2010. La polizia carica e disperde chi, nel centro di Brescia, era andato a lottare insieme ai senza-documenti asserragliati sulla gru. I fermati trovati senza permesso di soggiorno verranno trasferiti dentro a Centri di Identificazione ed Espulsione e deportati quasi tutti in pochi giorni. Un trattamento simile gli uomini di Maroni lo avevano riservato a molti di quelli che a Rosarno avevano osato ribellarsi prendendo pietre e bastoni per urlare la propria rabbia. È da quel giorno che abbiamo imparato che la macchina delle espulsioni serve a punire chi non vuol più vivere in silenzio come uno schiavo, ma ha il coraggio di scendere in strada e lottare.

 

21 agosto 2009. Al processo nel quale era accusata di aver preso parte ad una sommossa dentro al Cie di Milano, Joy trova il coraggio di puntare il dito contro l’ispettore di polizia a capo della struttura, che qualche settimana prima aveva provato a violentarla. Indagata per calunnia, condannata per la sommossa, Joy è rimasta prigioniera del circuito Cie-carcere-Cie per dieci mesi prima di essere liberata. Solo il prossimo 2 dicembre, invece, inizierà il procedimento contro Vittorio Addesso, l’ispettore che, saltandole addosso di fronte ad altre recluse e a crocerossini compiacenti, ci ha insegnato una volta per tutte cosa è veramente un senza-documenti agli occhi degli uomini dello Stato: una eccedenza fastidiosa da gestire ed usare, uno schiavo in disarmo, un corpo da sfruttare in ogni modo e da cui pretendere qualsiasi cosa, come se fosse scontato e normale.

 

20 luglio 2010. Proprio nei giorni in cui tutte le attenzioni di giornalisti, partiti, sindacati e associazioni dal nome blasonato sono puntate su Sakineh – la donna iraniana condannata a morte per adulterio e per complicità con l’omicidio del marito -, l’Italia consegna Faith alla Nigeria, dove la aspetta la pena capitale per aver ucciso il suo padrone di lavoro che la violentava. Senza-documenti, Faith era stata fermata in Italia mentre tentava di difendersi dalle pesanti attenzioni di un suo connazionale, e subito rinchiusa dentro al Cie di Bologna. Da quel giorno sappiamo che tutti i discorsi umanitari sono parole al vento, e che ciò che conta davvero quando c’è da decidere sulle vite dei poveri sono gli investimenti all’estero delle imprese italiane e gli accordi tra gli Stati. I padroni vogliono schiavi e idrocarburi, il resto sono chiacchiere fastidiose.

 

24 aprile 2009. L’Italia nega l’asilo ai 30 tunisini che sono stati rinchiusi nel Cie di Gradisca dopo cinque mesi di prigionia, trasferimenti e sommosse nei Centri di mezza Italia, dall’incendio di Lampedusa in poi. Arrivano tutti dal bacino minerario di Gafsa e scappano dalla repressione durissima che il regime tunisino aveva scatenato l’anno prima contro i giovani della regione, insorti dopo che gli alti-e-bassi del mercato dei fosfati li aveva dichiarati inutili, di troppo. Da quel giorno sappiamo che le vicende dello scontro di classe attraversano il mediterraneo su dei barconi e che i padroni di là dal mare hanno un buon alleato nelle polizie europee. E viceversa.

 

31 dicembre 2009. Ai cancelli di un’azienda di trasporti di Brembio (Lodi), agli operai che picchettano gli ingressi per protestare contro turni massacranti e licenziamenti punitivi, uno sbirro in borghese spiega: «Voi perdete il permesso di soggiorno. Oltre al lavoro anche il permesso di soggiorno… siete contenti?! Allora facciamo subito, prendete il volo e tornate a casa!». Poi li fa caricare e ne arresta due, un lavoratore immigrato e un solidale italiano. Da quel giorno sappiamo che il permesso di soggiorno è l’arma con la quale i padroni ricattano gli sfruttati stranieri per separarli dagli sfruttati italiani e farne dei crumiri obbligati.

 

30 ottobre 2010. Salendo su di una gru in mezzo alla città e rimanendoci per diciassette giorni, i senza-documenti di Brescia hanno scaldato il cuore di migliaia di sfruttati e di esclusi in tutta Italia. Da quel giorno sappiamo che le lotte coraggiose, anche quando partono da parole d’ordine parziali o separate, possono trovarsi da sé i propri alleati e allargare nei fatti l’ambito del proprio discorso.

 

Nelle strade, nei Centri per senza-documenti, ai cancelli delle aziende, in cima alle gru tutti questi passaggi di lotta ci hanno insegnato a porre un unico problema: quello della divisione sociale. Da una parte i padroni che in tutto il mondo in tutti i modi sfruttano, violentano, escludono ed umiliano. E noi tutti dall’altra: sappiamo che ci vogliono schiavi ma stiamo imparando a dire basta.

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