Pezzi di città

Dieci a dieci, quindici a quindici, sono continuate in queste settimane le deportazioni degli ultimi “tunisini di Lampedusa” che ancora se ne stavano stipati nei Cie italiani. Anche se il Ministero, come vi avevamo già raccontato, aveva annunciato la fine delle operazioni concordate con il governo tunisino già all’inizio di ottobre, gli ultimi viaggi – coatti, ovviamente, e “di massa” – ci sono stati segnalati ancora pochi giorni fa.

Sta il fatto che ora, dopo all’incirca otto caldissimi mesi, la presenza dei tunisini nei Centri è ritornata una presenza tra le tante. Svuotati di una parte consistente della gente appena sbarcata, ora dentro ai Centri ci stanno di nuovo soprattutto i senza-documenti catturati in mezzo alla strada: incappati in un posto di blocco o colti senza biglietto da un controllore zelante, svegliati da una retata dentro a qualche palazzo troppo fatiscente oppure ancora vittime di un qualche incidente stradale – e dell’inevitabile arrivo dei Vigili urbani.

Da una parte rimane congelata (per ora, e senza sapere che cosa indirettamente ancora scatenerà) la spinta enorme della rivoluzione tunisina che ha fatto tremare tutto il sistema della detenzione amministrativa in Italia. Dall’altra i Cie tornano ad essere quello che erano: una fetta, imprigionata, delle nostre città – con tutto quel che ne può conseguire come occasioni per contribuire a gettar ponti tra le lotte dentro e quelle fuori.

Intanto, a Torino le resistenze si sono mano a mano affievolite. Rimangono alcuni scioperi della fame individuali e più o meno a singhiozzo, e qualche protesta per casi specifici (in particolar modo il ragazzo che ha avuto la faccia spaccata dal lacrimogeno il tre di ottobre, che viene curato poco e male). Gli arrestati di fine settembre sono ancora dentro: in due puntate, anche il Tribunale del Riesame ha convalidato gli arresti e la loro permanenza in carcere. Nelle stanze della Procura si sta prepando un processo duro, impostato tutto sulla vendetta. Sembra proprio che ai dieci si voglia far pagare, più che atti singoli e singoli comportamenti, un’intera stagione di rivolte e tentativi di fuga. Non ci sono ancora le date del processo vero e proprio, e quando ci saranno ve le comunicheremo. Sappiate già da ora, però, che questa vicenda dei dieci è, tra le altre cose, una delle armi che utilizza la Questura per scongiurare ogni nuovo ammunitamento dentro le gabbie: “se protestate farete la loro fine: vedete, sono ancora dentro”, vanno dicendo in giro per il cortile gli ispettori e i sottopifferi di guardia.

A Milano, invece, c’è stata un po’ di tensione un paio di giorni fa, quando la polizia ha scovato e sequestrato dieci telefoni cellulari (che come sapete lì sono vietati): lanci di bottigliette d’acqua, urla, e uno sciopero della fame durato sino a ieri sera. Pure a Bologna sarebbe in corso uno sciopero della fame, a quanto riporta il tam-tam dei parenti e degli amici degli amici dei reclusi di laggiù: noi lo abbiamo saputo un po’ di traverso, senza conferme dirette o particolari in più e così ve lo riportiamo.