«Agli immigrati insegniamo anche un glossario di terminologia canina»

Torino, 23 novembre
«Cani al Cie di Torino, la pet therapy migliora l’integrazione
I cancelli di corso Brunelleschi si aprono a volontari e cinofili

I cancelli di corso Brunelleschi si aprono a volontari e cinofili. Hanno attraversato la porta di metallo e affiancato i muri alti e sottili, superando le asfittiche recinzioni, incrociando lo sguardo di chi vorrebbe essere dovunque tranne che lì. Dopo un’iniziale, reciproca, diffidenza, hanno cominciato a correre, saltare e superare ostacoli. Uno scatto di libertà, che in questo luogo non poteva certo passare inosservato.
Da metà novembre, una decina di cani da compagnia entra ogni venerdì per un paio d’ore nel Cie Brunelleschi di Torino, uno dei luoghi più cupi e impenetrabili di tutta la città (anche se, dall’interno, non sono mancate le fughe di massa, l’ultima delle quali a fine settembre). Uno shetland, un barboncino, un border collie e alcuni meticci hanno avuto il via libera dalla Prefettura e dalla Questura, che hanno approvato un progetto del tutto innovativo. Faccia a muso con gli «ospiti» del Cie, sospesi in attesa del rimpatrio, agli animali vengono fatte svolgere attività di «special agility», tra porte, coni e passerelle.
A dirigerli sono, a titolo gratuito, una decina di volontari e professionisti del gruppo «Diamoci una zampa» e gli stessi immigrati trattenuti nel Cie. Una vera novità, negli undici anni di storia di questo centro, che «rientra tra le attività ludiche e di socializzazione previste dalla convenzione tra Prefettura e Croce Rossa, come la danza, il calcio, l’insegnamento dell’italiano», spiegano dalla direzione. Per partire con il progetto, «abbiamo dovuto smontare il nostro pregiudizio secondo cui la religione islamica non ama la razza canina. Ciò è vero solo in alcune tribù, che considerano i cani aggressivi, come loro nemici».
Il progetto, elaborato da un’équipe composta da psicologi, assistenti sociali e due esperti cinofili della struttura, vede il cane come medium per placare i conflitti e sbloccare almeno un po’ la tensione. «Una ragazza s’è affezionata al mio cane, un mezzo levriero spagnolo, perché le ricorda quello di suo padre in Tunisia», racconta Paola Scagliotti, una delle volontarie. «Agli immigrati insegniamo anche un glossario di terminologia canina», aggiunge.
Entrare al Cie è stato più semplice del previsto, dato che un operatore della Croce Rossa, anche educatore cinofilo, conosceva il gruppo di volontari. L’adesione da parte degli immigrati, per lo più dall’Africa, ma anche dall’Est, è stata per ora «contagiosa»: una ventina hanno già partecipato al secondo incontro, mentre tutti gli altri possono guardare dalle grate ciò che succede nel campo da calcio. In totale i sans papiers della struttura sono oggi 150, «una parte non trascurabile dei quali si è macchiata di reati nel nostro Paese», spiegano dalla direzione. «Proponiamo attività ludico-sportive, insegnando agli immigrati come guidare il cane: niente a che vedere con la pet-therapy», precisa Susanna Coletto, coordinatrice nazionale di special agility Fisc Libertas Coni e capo del gruppo «Diamoci una zampa». All’attività sportiva si affiancherà, specie nei mesi più freddi, una proposta educativa più teorica, con incontri al chiuso che verteranno sui segreti del rapporto con il cane»

La Stampa