Un anno

Eccoci arrivati ad un nuovo “terzo martedì del mese“, ad un anno esatto dall’inaugurazione di questa tattica questurina pensata per attaccare frontalmente la resistenza agli sfratti in città. “Martedì nero” per chi ci vede dentro solo l’ineluttibilità dell’ingiustizia e della repressione, inarrestabili quanto brutali; occasione per resistervi, per chi pensa che nulla in fondo debba essere dato per scontato e predeterminato. Due sguardi opposti su di una identica realtà, cui sono sottesi due ragionamenti differenti sui concetti di forza e di possibilità. Che poi ci si riesca davvero, a sviluppare forza e ad aprire possibilità, è un’altra questione ancora, altrettanto spinosa; e questo anno intero di “terzi martedì del mese” di elementi di riflessione su questi temi ce ne ha regalati a profusione. Vi promettiamo che ne parleremo presto più diffusamente – ora lasciamo spazio alla cronaca.

La mattinata si apre con un solo picchetto. Altri accessi sono previsti, in realtà, in varie zone della città: ma intanto qualcuno si è sistemato, altri non hanno la voglia o il coraggio per resistere, e altri ancora non si sono organizzati per tempo. All’alba, dunque, una settantina di persone si radunano sotto un unico portone in via Morosini, appena fuori dal quartiere di San Paolo. Ci sono ovviamente gli sfrattati e i solidali di quello spicchio di città, ma anche compagni di un po’ tutti i gruppi che si sono occupati di questo argomento in questi anni a Torino. Il picchetto è numeroso e tranquillo, e aspetterà invano l’ufficiale giudiziario fino al pomeriggio. A fine giornata non c’è alcun rinvio: lo sfratto dunque potrebbe essere stato rinviato al giudice, che deciderà se eseguirlo a sorpresa, prassi consolidata di questi ultimi mesi. A metà pomeriggio, alcuni dei presenti al picchetto andranno ad occupare per qualche ora, simbolicamente, un edificio abbandonato in zona Borgaro per evidenziare quali e quanti spazi vuoti ci siano in città a fronte di tanta gente senza casa.

In Barriera il clima è diverso. Nessun picchetto organizzato, ma occhi aperti: niente lascia supporre che l’ondata di sfratti a sorpresa e di sgomberi dell’ultimo mese si sia in qualche modo esaurita. La celere in effetti comincia a farsi vedere in quartiere intorno alle sei del mattino: cinque camionette vengono avvistate nelle vie dietro a piazza Crispi. Altre cinque, colme invece di carabinieri, rimangono parcheggiate di fronte al Commissariato di Porta Palazzo, pronte a coprire qualunque imprevisto. L’ultima, invece, presidia il Municipio.

I poliziotti sfrattano, manganelli alla mano, una famiglia che nessuno conosceva e che neanche pensava che si potesse resistere. Poi si dirigono in via Verres, e bloccano la strada tra via Ceresole e via Cigna. Qui vive una famiglia che aveva resistito fino all’inverno passato; poi si era messa fuori dalla rete di reciproca solidarietà tessuta in quartiere, ottenendo ancora una proroga il 19 di marzo grazie alla moratoria de facto che la forza della resistenza aveva imposto allora in Barriera in quei mesi. Solo ieri sera, un qualche funzionario del Tribunale aveva promesso loro una proroga ulteriore: ma era un bluff, ed ora sono in mezzo alla strada. A nome del Comune di Torino, i servizi sociali hanno offerto loro quel che stanno offrendo a tutti i proletari stranieri rimasti impigliati in città in questi tempi di magra: qualche giorno in dormitorio e il “consiglio” di andarsene via dall’Italia velocemente. «Finché ce n’era bisogno vi abbiamo spremuto per bene» è il discorso degli assistenti sociali, «ma ora nessuno qui vi vuole neanche più sfruttare e potete ben andare a crepare altrove». Ascoltate, a documentazione di quanto vi stiamo raccontando, il racconto di questo sfratto fatto ai microfoni di Radio Blackout dal portavoce dell’associazione che raccoglie alcune delle famiglie della zona che hanno abbandonato l’idea di resistere preferendo invece invocare, finora inutilmente, l’aiuto del Comune:

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