Corde al CIE di Torino
Nel CIE di Torino, mezzo distrutto dagli ultimi mesi di rivolte e incendi, con una sessantina di posti disponibili a fronte degli oltre duecento previsti, la situazione è tutt’altro che tranquilla. Nella notte tra lunedì e martedì due reclusi tentano la fuga: corrono verso il vecchio ingresso all’angolo tra via Monginevro e corso Brunelleschi, appendono una corda al muro di recinzione e cercano di scavalcarlo. Il primo riesce a scappare e a far perdere le proprie tracce, mentre il secondo, fermato dalle guardie quando è ancora aggrappato alla fune, viene tirato giù e brutalmente pestato. Questa mattina un ragazzo, disperato per le condizioni di prigionia, tenta di impiccarsi con una corda annodata alla recinzione del campo sportivo, quello nel quale i reclusi trascorrono la socialità. Gli agenti di guardia e gli operatori della Croce Rossa non lo soccorrono, e così ci pesano i suoi compagni di reclusione a tirarlo giù appena in tempo. Per quanto ne sappiamo, in questo momento è ricoverato nell’infermeria del Centro.
(Per cogliere l’aria che tira nel variegato schieramento dei carcerieri ora che anche il Cie di Torino si sgretola pezzo dopo pezzo, vi suggeriamo di dare un’occhiata all’ultima fatica di un costernatissimo Massimo Numa. Da un lato i poliziotti di guardia chiedono di affrontare l’emergenza ritoccando le regole d’ingaggio – che poi vuol dire poter sparare in schiena a ribelli e fuggiaschi, o qualcosa del genere -; dall’altro lato – all’estrema sinistra dei carcerieri, diciamo così – i vendoliani propongono di interrompere il flusso di prigionieri che arrivano dal carcere, in modo da salvare il Cie e permettergli di «svolgere la funzione per cui è stato istituito» oltreché ovviamente evitare disdicevoli «polemiche e manifestazioni»).
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