Una giornata in città

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Poche parole per una giornata infinita. Intanto il risveglio movimentato nella casa occupata di via Lanino, al Balon, e all’Asilo Occupato di via Alessandria: i poliziotti in borghese sfondano i portoni intorno alle cinque, seguiti a ruota dalle camionette che chiudono le strade. Sembra uno sgombero, qualcuno riesce a salire sul tetto, scatta l’allarme tra i compagni. Gli amici e i solidali che nel giro di mezz’ora si radunano nelle vicinanze delle due case. Presto si capisce che le cose non stanno così: i poliziotti non hanno in mano delle ordinanze di sgombero ma dei mandati di cattura, e si scopre che anche in altre case, in città e fuori, sono in corso perquisizioni. In via Lanino gli agenti arrestano Chiara e presto si saprà che hanno arrestato anche Claudio – che aveva il divieto di dimora da Torino e quindi era fuori città – e a Milano Mattia, della redazione di Radiocane. Un altro ordine di cattura è per Niccolò, che è già alle Vallette da più di un mese. Sono accusati tutti e quattro di aver partecipato all’attacco notturno contro il cantiere di Chiomonte in Val di Susa dello scorso 13 maggio. Le accuse sono pesanti, giacché si parla di uso di “ordigni micidiali” e per di più con “finalità di terrorismo”. La polizia ha fretta di terminare l’operazione, un po’ per evitare che intorno alle occupazioni assediate si raduni ancora gente e scoppino casini, un po’ perché i celerini hanno da fare in periferia, dove sono già iniziati i primi blocchi del movimento che nel giro di qualche ora avrebbe paralizzato la città. Non sono ancora le otto, dunque, quando l’assedio si scioglie, i compagni scendono dal tetto e si contano i danni: l’appartamento di Chiara è sotto sequestro, in Questura ci sono gli arrestati, due compagni francesi in stato di fermo per i quali si teme il solito tran-tran dell’accompagnamento in frontiera (verranno invece rilasciati nel tardo pomeriggio) e un po’ di altri trattenuti tutta la mattina per ricevere i verbali di sequestro.

Ma è tutta la città ad avere un risveglio singolare. Il blocco annunciato per oggi dal “movimento dei forconi” funziona davvero e, soprattutto, travalica le aspettative della vigilia. Si poteva prevedere che questo appuntamento – con tutte le sue ambiguità clamorose, gli slogan spesso inaccettabili, i tricolori ecc. – avrebbe saputo far risvegliare prepotentemente quel pezzo di città che fino ad ora si era tenuto ben lontano da ogni forma di mobilitazione? Probabilmente sì, ma ben pochi nel movimento (quello “nostro”) lo hanno fatto e nessuno con uno sforzo organizzativo adeguato e conseguente. La cronaca di oggi la conoscete già sicuramente: non c’è un negozio aperto, le piazze dei mercati sono deserte, blocchi stradali circondano il centro e i cortei che percorrono caotici le vie dove si concentrano “i palazzi” assumono a tratti i connotati della sommossa oppure, se preferiamo le parole d’ordine di moda in questo autunno di movimento, dell’assedio e della sollevazione. Ma “il movimento”, come sapete, c’entra poco e, soprattutto, le parole d’ordine di questa giornata sono talmente generiche che è difficile pensare chi e come possa aprire a breve un “tavolo di trattative” che calmi le acque. Le iniziative stesse, a parte i blocchi annunciati dai promotori iniziali della protesta, sono sparpagliate e caotiche – fuori controllo. Il fatto è che in piazza, semplicemente, c’è di tutto, dal piccolo commerciante imbufalito al precario, dallo studente di buona famiglia all’ultras; soprattutto, però, sono protagonisti giovani e giovanissimi proletari, italiani e seconde generazioni immigrate insieme: sono loro che spingono perché i blocchi siano veri e sono loro la forza che fa sfuggire di mano la situazione agli organizzatori. Man mano, in mezzo ai blocchi, le sassaiole, le cariche, arrivano compagni, a gruppi o sparpagliati: cercano di capire la situazione, superano la diffidenza della vigilia, fraternizzano con i ragazzi più determinati, e si fanno sentire anche loro.

Dopo gli arresti dell’alba, la mattinata e il primo pomeriggio scorrono così – e non ci si fa mancare neanche un picchetto a sorpresa che respinge uno sfratto. A fine pomeriggio, però, un’assemblea indetta subito dopo gli arresti decide di dare una risposta specifica alla retata del mattino. Un corteo molto compatto e determinato – compagni di città, valsusini in gita e un po’ di amici e conoscenti raccattati in strada durante il percorso – percorre per un’oretta Porta Palazzo e Aurora. In trecento ad urlare “libertà per Chiara, Claudio, Nicco e Mattia”. Slogan, scritte sui muri, qualche vetro di banca che cade, blocchi improvvisati con cassonetti e segnali stradali. La polizia, impegnata altrove, non si vede. Sciolto il corteo, si torna ai blocchi che ancora resistono sparsi per la città. Blocchi mobili, imprevedibili, con i Vigili urbani che provano a metterci una pezza e la polizia che fatica a capire dove, quando, e come intervenire. Si assiste a scene illuminanti, con funzionari della Digos costretti a intavolare pazienti trattative con ragazzini ubriachi e ad ascoltare, nella lista infinita delle rivendicazioni, lamentele su multe stradali e affini: semplicemente, è una città sull’orlo dell’esplosione. Ma alla fine, la polizia si incazza davvero e, nella zona del Rondò della Forca, la Celere piomba su di un blocco che si stava sciogliendo. Tutti riescono a scappare, tranne due ragazzi agganciati in corsa da una camionetta, malmenati un po’ ma poi lasciati liberi. L’appuntamento è per domani mattina.