Giudici, cani e padroni

Una udienza interessante, quella di oggi, per il processo contro alcuni compagni accusati di aver fatto irruzione nella sede torinese dell’Eni nel marzo del 2011. Come sapete non ci piace molto annoiarvi con resoconti di processi, ma di questo ve ne avevamo parlato giusto due mesi fa per riportarvi una dichiarazione letta in aula e ora ve ne riparliamo di nuovo, per un’altra piccola serie di motivi.

Intanto perché tra i processati c’è Niccolò, uno degli arrestati del 9 dicembre, e quindi finalmente vi possiamo dire di averlo visto di persona, pur rinchiuso nella gabbia degli imputati, e di averlo visto in piena forma e sorridente.

Poi per raccontarvi di Andrea Padalino, Pubblico ministero di questo come di altri mille procedimenti contro rivoluzionari, notav ed oppositori in genere. Sempre più acido e incattivito, ha costretto i goffi carabinieri di guardia ad una serie di magre figure nel tentativo di prendere i documenti a tutto il pubblico, pur contro il parere del Giudice e facendo ritardare di molto l’inizio dell’udienza. Alla fine, poi, ha invocato la solita sfilza di pene spropositate per gli imputati: da un anno e mezzo a due anni di carcere, mese più mese meno, per aver volantinato dentro alla sede dell’Eni, megafonato e bloccato una strada. Due anni e mezzo, invece, per chi è stato accusato anche di essersi spintonato con una guardia giurata o di aver sporcato di vernice la giacca di un agente della polizia politica. Di solito, alla fine dei processi, i giudici non gli dan troppo retta, ma staremo a vedere quando arriverà la sentenza.

Poi vi vorremmo parlare di Antonio Rinaudo, che nulla c’entra con questo procedimento ma che ha affiancato Padalino per buona parte dell’udienza: impettito più del solito, evidentemente non voleva lasciare solo il collega dopo lo shock tremendo dei cessi allagati dell’altro giorno. Sta il fatto che gli uomini delle scorte di tutti e due occupavano un bel pezzo dell’aula.

Per ultimo, poi, vorremmo dedicare due righe all’avvocato di Parte civile che rappresenta gli interessi dell’Eni: la sua arringa è stata illuminante, e proviamo a riassumervela in poche parole. In questo procedimento, ha affermato, gli imputati dovrebbero esser giudicati per quel che hanno fatto e non per le motivazioni che li hanno spinti alla protesta, altrimenti si trasformebbe in un processo all’Eni. Gli imputati son senza dubbio tutti colpevoli, giacché alcune segretarie li han riconosciuti e han dichiarato di essersi sentite molto minacciate dalla loro presenza dentro alla sede. Presenza breve e nessun danno, a parte lo spavento delle segretarie, ma in quel periodo in giro per l’Italia di iniziative contro l’Eni ce ne sono state altre, e di danni pure. Nel mondo ci son pochi Paesi come l’Italia, dove ciascuno può dire la sua senza essere perseguito, e gli imputati dovrebbero solo ringraziare la democrazia, altro che andare in giro a protestare. E quindi, per le segretarie spaventate e il rischio sventato di veder “processata l’Eni”, si è associato alla richiesta di condanna dell’accusa aggiungendovi anche il pagamento della propria parcella e la promessa di una futura causa civile.

Insomma, in giro per il mondo l’Eni deve esser libera di combinare un po’ quel che vuole: appoggiare i peggiori dittatori, provocare disastri ambientali o contribuire a far scoppiare qualche guerra ogni tanto. Ma in Italia c’è la democrazia, perdio!, e quindi guai a chi si sogna di andarla a tirar per la giacchetta: e a chi insiste ci pensa Padalino.