Quel che resta / 2

Dopo gli incendi della settimana passata, sembra proprio che la Prefettura non abbia intenzione di ristrutturare a breve le aree danneggiate del CIE di Torino. Gli interventi dei “vecchietti” che si occupano della manutenzione, infatti, si limitano all’ordinaria amministrazione: roba di lampadine e di maniglie, insomma, e mai nelle camerate inagibili.

La voce che fanno circolare i poliziotti dentro è che i lavori non ci saranno e pure La Stampa, qualche giorno fa, diceva la stessa cosa facendo più o meno questo ragionamento: ogni volta che vengono terminati degli interventi il Centro si riempie; agenti, militari e crocerossini non sono in grado di garantire l’ordine nel Centro quando è pieno, quindi scoppiano rivolte e incendi; dopo le rivolte si fa la conta dei danni e le aree ristrutturate debbono chiudere di nuovo; per non continuare così all’infinito, tanto vale non riparare più i danni. Ragionamento inoppugnabile, se non fosse che le guardie l’ordine in realtà non riescono a garantirlo neanche quando il Centro è pieno a metà. Ed infatti quello che sta succedendo in questi giorni è che i trasferimenti verso altri Centri sono molto veloci e superano la necessità di “dare un letto” a chi non ha più un’area dove stare, tanto che ora dentro ci sono “solo” quarantacinque reclusi. Insomma: ci sembra che la Prefettura stia pian piano facendo svuotare Corso Brunelleschi. Intanto, oltre ai trasferimenti, i funzionari dell’Ufficio immigrazione hanno organizzato anche un paio di espulsioni, e tra i ragazzi deportati c’è quello accusato di aver realizzato un video la settimana scorsa. Vorremmo dirvi che il CIE di Torino sta lentamente chiudendo, ma non ne possiamo essere sicuri.

A Roma, tra scioperi della fame e bocche cucite, le cose non van molto meglio per i piccoli Eichmann del Ministero. I reclusi sono meno di cento su di una capienza teorica di trecentosessanta posti e le tre aree distrutte sono là, abbandonate a sé stesse. Oggi i reclusi con le bocche cucite son stati convocati dai responsabili del Centro: hanno annunciato loro che domani arriverà il console marocchino per tentare di identificarli e, a seconda del suo responso, saranno o rimpatriati, o trattenuti ancora, o liberati ma con un foglio di via in mano. Dentro Ponte Galeria, ora, ci sono vari dei reduci degli incendi di corso Brunelleschi, che ci raccontano quanto poliziotti e militari romani siano particolarmente attenti e premurosi con loro: evidentemente temono il contagio delle rivolte recentissime di qui.

A Caltanissetta invece è tutto tranquillo, come può essere tutto tranquillo in un Centro per senza-documenti, e va segnalato che si tratta dell’unico CIE italiano che funziona a pieno regime, con un centinaio di prigionieri. Giusto oggi ci son state visite di giornalisti, vedremo se ne verrà fuori qualche racconto interessante. Trapani e Bari, come sapete, sono prossimi alla chiusura per ristrutturazione e da Trapani – dove ora ci son centotrenta reclusi su duecentoquattro posti teoricamente disponibili – sono arrivate voci di una fuga giusto giovedì scorso.

Per una valutazione complessiva della situazione dei CIE in Italia ascoltate, se avete un attimo di tempo, queste quattro chiacchiere fatte ieri da un nostro redattore sulle onde di Radio Onda d’Urto:

[audio:http://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2014/01/andrea-macerie-panoramica-cie.mp3]

Aggiornamento 29 gennaio. Uno dei quindici reclusi con la bocca cucita di Ponte Galeria è stato liberato, con in tasca un permesso di soggiorno per “protezione umanitaria”. Gli altri sono contenti per lui, e intanto proseguono la mobilitazione.