Un appuntamento al CIE di Torino

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Fuoco ai Cie

Dopo le immagini da Lampedusa — dove gli ospiti del CPSA venivano messi in fila nudi per essere disinfettati.
Dopo le immagini da Roma — dove gli ospiti del CIE si son dovuti cucire la bocca con ago e filo per far sentire la propria voce, prima a Natale e di nuovo pochi giorni fa. Dopo gli incendi delle ultime settimane nel CIE di Torino, ora per tre quarti distrutto.
Dopo le dichiarazioni, le inchieste, le denunce di questi ultimi mesi nessuno può più ignorare che dentro i Centri per senza-documenti gli ospiti non sono ospiti ma prigionieri e che l’accoglienza che vi si pratica è quella di un lager. Nessuno, nemmeno chi già sapeva ed ha scosso le spalle impotente, chi vedeva da un balcone ed ha sorriso.
Fanno finta di niente, invece, quelli che i Centri li hanno inventati, allargati e sostenuti, quelli che hanno annusato un buon affare e ne hanno approfittato. Fanno finta di non essere i responsabili dell’esistenza dei Centri in Italia, per evitare che tutti li trattino come andrebbero trattati: Giorgio Napolitano e Livia Turco, Umberto Bossi e Gianfranco Fini, con i loro sodali di un tempo e di oggi; la Croce Rossa, le cooperative bianche e rosse come Auxilum e Connecting People, le Misericordie, e pure le Poste Italiane, che con la compagnia aerea Mistral Air hanno il monopolio dei trasferimenti interni e delle espulsioni dei senza documenti verso il Nord Africa.
Prima ancora che si accendessero i riflettori su di loro, i prigionieri dei CIE hanno saputo fare quel che andava fatto: rivoltarsi, scappare, distruggere le gabbie dentro le quali venivano rinchiusi. È solo grazie a loro che oggi rimangono in piedi soltanto cinque CIE, smozzicati, bruciacchiati e a funzionamento ridotto.
I prigionieri, dentro, hanno fatto la propria parte, a noi fuori spetta fare la nostra: sostenerli quando lottano, ma anche non dar pace a chi ha inventato i CIE, a chi li ha riformati, a chi ne ha fatto un mestiere e ancora oggi ci lucra sopra. Senza aspettare di vedere che ne sarà delle promesse di parlamentari e ministri, senza aspettare le lacrime di coccodrillo di qualche consigliere comunale. Ora più che mai è il momento – dentro e fuori – di dare l’ultima spallata perché dei CIE non rimangano che macerie.
Prima che, spenti i riflettori, tutti si dimentichino dei Centri e di quel che ci capita dentro.
Prima che tutto ricominci come prima.

Sabato 8 febbraio – ore 16.00
Presidio al Cie
Corso Brunelleschi angolo via Monginevro