Il partente /2

«7 febbraio 2014 Casa di Ritenzione (idrica) SAN MICHELE (cazzo! Non smette mai di piovere!!!)


[…] il giorno del trasferimento ci siamo svegliati con Mattia che bussava dalla cella affianco, così abbiamo aperto la finestra e la sua voce candida ha proferito le paroline magiche del buon giorno: “Ragazzi, sono partente”. All’inizio pensavamo fosse solo lui, ma poi sono venuti a comunicarlo anche a noi. Mattia doveva andare anche al processo ed è partito subito, ci siamo abbracciati forte, con emigranti-400x215rev.jpgla speranza che fosse inutile, come una scaramanzia, e di rivederci la sera stessa. Solo per me è stato così, ma la parola “rivedere” va intesa in senso letterale, perché si è trattato giusto di una sbirciatina di sbieco oltre le sbarre, giusto il tempo di dirgli che il Pm aveva imposto il divieto di incontro. Ha ragione Mattia quando dice che il carcere è proprio stupido: stare a 10 metri di distanza l’uno dall’altro, senza nemmeno potersi dire “ciao”, elemosinando un sorriso tra un passaggio e l’altro per andare all’aria. Dopo la partenza di Mattia dalle Vallette, nella cella 109 si iniziano i preparativi. In soli due, tre mesi abbiamo accumulato tante cose e non è facile dividerle perché quasi tutto era in comune (tranne ovviamente spazzolino, mutande ecc. …)

[…] Avevamo anche deciso di dormire alternati un po’ sopra e un po’ sotto, per non subire i difetti del letto a castello, così c’erano dei dubbi anche sul possesso delle coperte. Un modo per dividerci le cose, anche se implicito, e puramente affettivo: ogni cosa ricorda un particolare momento un’emozione o una persona cara mentre altre ci faranno ricordare l’uno dell’altro. Infine tutte quelle cose neutre le accatastiamo nelle borse, sapendo che la metà delle cose dovremo ricomprarcele. Infatti, i trasferimenti, e qui apro una parentesi, sono anche un ulteriore onere economico, soprattutto per quelle persone che hanno sempre messo in comune tutto e che, come vuole il codice etico dei detenuti, regalano molto a chi rimane nel carcere o nella sezione dalla quale sta partendo. Inoltre, ogni carcere ha le sue regole, per cui può capitare che arrivi in un posto, dove alcune cose non le accettano e allora devi recuperartele, oltre la fatica e la spesa di riaddobbare la nuova cella di tutti quegli accrocchi utili alla quotidianità.

Ritornando al trasferimento e alla suddivisione dei beni, i libri fanno capitolo a sé, grande battaglia sui testi sacri (Balestrini, Benjamin, Ricciardi, ecc…) mentre nessuno vuole accollarsi i mattonazzi. […] Pietro, il dirimpettaio di cella, dice che c’è una camionetta sola e questo ci fa sperare ma appena saliti e infilati in due cellette separate le guardie si dicono che una guiderà fino ad Alessandria e l’altra fino a Ferrara. Bisogna usare gli ultimi momenti assieme per dirsi delle cose belle e intelligenti ma non è facile e il silenzio prevale. Non credo negli addii e nemmeno nelle frasi epiche da ultimo minuto, quello che dovevamo dirci, ce l’eravamo già detto e il peso della separazione mi stranisce e disorienta.

Ad Alessandria non ci lasciano nemmeno abbracciare, così attraverso le fessure della celletta stringo le sue dita possenti e bitorzolute da arrampicatore folle e in quel gesto c’è tutto il nostro affetto.

Prima tappa, il casellario: controllo di tutta la roba, ciò che è permesso e ciò che non lo è. Alcune cose come scarpe, ciabatte e posta vengono passate ai raggi x, mentre altre cose vengono segnate per non superare il numero consentito (2 tute, 2 lenzuola, 2 coperte, 1 fornelletto, 3 paia di scarpe ecc…). Scopro che ci sono anche delle limitazioni sul numero di CD (max 10) e di fotografie (max 6-8) da tenere in cella, nonché alcune cose ad hoc per gli AS, tipo non più di una lametta e bomboletta del gas in cella. Ad aiutare la guardia al casellario c’è un detenuto lavorante, l’unico “comune” che ho incontrato finora. È della Costa d’Avorio e riesco a scambiarci giusto due parole in francese prima di salutarlo e il suo nome mi rimarrà impresso nella mente. Prima di farmi passare dai corridoi, la guardia chiama le altre postazioni per sapere se ci sono altri detenuti in giro. In matricola mi fanno la foto e le impronte di rito, poi guardando fuori la neve che ricopre ogni cosa mi esce fuori: “Un bel giorno per essere trasferiti”, e la guardia della matricola, una ragazza con la voce genuina e sincera, mi risponde: “Sì, la neve purifica…”, grassa risata “Eh, come no!?”. In sezione, seconda perquisizione della roba e integrale, infine mi mostrano la cella. È più grande che alle Vallette e singola, poi scoprirò che non lo fanno per tua comodità, ma per limitare i contatti tra detenuti. In AS, infatti, anche le due ore di socialità dalle 17.00 alle 19.00 avvengono in corridoio sotto gli occhi delle guardie e delle telecamere. Il passeggio è molto piccolo, massimo 10×10, e le mura in cima hanno delle grate che rientrano. Ci sono degli orari per fare la doccia ma sono abbastanza flessibili. Il pranzo è verso mezzogiorno e la cena alle 16.30/16.45, a ridosso della socialità, il che è un po’ un problema. Mangiare assieme o cucinare è impossibile, il che rischia di diventare più che altro un onere di nutrizione ed è avvilente per noi che eravamo abituati a grandi banchetti per grandi chef.

Il blindo viene aperto alle 8.00 e richiuso alle 11.00, l’aria si fa dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 13.00 alle 15.00… tutti orari del cazzo. In alternativa all’aria ci sono una stanzetta con pesi e cyclette e un tapis roulant duro imbastito e la “saletta-disco” con 1 tavolino, 1 sgabello, 1 stendino e il tanto agognato ping-pong.

La spesa si effettua il sabato per il lunedì dopo, il che significa che noi siamo stati 11 giorni senza spesa. La merce mi sembra un po’ più cara che a Torino e forse alcuni alimenti (come frutta e verdura) sono anche aumentati di recente, in compenso il carrello e mediamente accettabile. […]

I compagni ci hanno accolto bene, offrendoci tutto quello di cui avevamo bisogno, Francesco ci intrattiene con i mille racconti della sua vita, di una saggezza carceraria trentennale. Con Gianluca di Roma e Ivano iniziamo a conoscerci e ci lanciamo in discussioni sul mondo che ci circonda, siamo molto diversi e questa è una ricchezza se la si sa mettere a frutto.

Per quanto riguarda le differenze tra il mio ingresso nelle sezioni normali e poi invece nel circuito AS, direi che ce ne sono tante, tenendo presente che delle sezioni normali ho visto solo i N.G. (nuovi giunti) che sono un po’ una realtà a sé, per quanto ricca di stimoli. Ti ricordi tutto il discorso nella prima lettera sul fatto che ti lasciano andare a sguazzare nel nulla di partenza? Qua è l’esatto opposto, almeno come impatto iniziale, il che non vuole dire che qualsiasi cosa ti viene data, ma di sicuro sono celeri nelle risposte. La prima sensazione è quella di averceli appicciati al culo, per cui non è come prima dove sei osservato solo se ti esponi e soprattutto se lo fai al di sopra degli altri. Qua sei sempre osservato ed è come se ricercassero ogni minimo gesto sopra le righe. Col passare del tempo questa sensazione si attenua ma resta una caratteristica fondamentale. Questo, unito al fatto che la sezione è piccola e con poche persone, lascia meno gioco alla possibilità di emergere con delle rimostranze ben amalgamate col resto dei detenuti. Ai N.G. quei pochi episodi di protesta, anche se erano di fatto spinti da una minoranza, riuscivano a manifestarsi come una spinta di tutti anche se solo accennati o per poco tempo. In più lì mi sentivo veramente uno fra tanti e le guardie non mi trattavano diversamente. Uno degli obiettivi è quello di trovare un linguaggio comune tra detenuti per parlare dei problemi che entrano direttamente in contrasto con il trattamento a cui si è sottoposti, senza ricadere nella lagna e non è detto che tra compagni sia più facile. Il senso di impotenza colpisce tutti, soprattutto in AS e lo percepisco anche sulla mia pelle, anche se io sono ottimista di natura. Si può dire che le sfide sono le stesse, in fondo, ma cambia il livello di partenza, nonché l’impatto concreto delle tue azioni, inoltre qua come ti muovi interloquisci direttamente con i piani alti, il che non vuol dire che ricevi risposte differenti dagli altri detenuti… ovvero “picche”. Mi sono dimenticato di dire che ci è precluso ogni orizzonte, in senso letterale: infatti davanti alle finestre ci sono dei grossi pannelli di plexiglass opaco con l’effetto di castrare l’ispirazione e l’immaginazione.

[…] Il presidio è stato fantastico, sentivamo tutto molto bene, anche gli interventi. Abbiamo gridato soprattutto quando sentivamo chiamare i nostri nomi, un paio di volte mi è sembrato ci fosse un botta e risposta e qualcuno (una voce femminile) ha detto “vi sentiamo!” E poi quando ho gridato “la valle non si arresta” scandendo le parole ha risposto che non mi capiva. […] A momenti distinguevo anche quello che dicevano le voci senza megafono né altro. La musica era super yeah, degno di nota il remix di “Voglio vederti danzare” mixato all’intervento di Mau. Per le prossime sedute di tamarria è ben accetto tutto il repertorio dubstep da Skrillex a Nero, sull’onda di “Promises” che è stata lanciata anche al presidio. […] Fatemi sapere se qualche detenuto di qua mi scrive… a parte Mattia.

Zero Stress!! Per tirare fuori una citazione dal mio atavico retroterra hip-hop!

Niccolò»

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