Caselli in Barriera?
Giovedì sera, sei di marzo, il giudice in pensione Giancarlo Caselli è stato invitato in una sala di via Leoncavallo, in mezzo alla Barriera di Milano. Insieme a lui Dino Sanlorenzo, storico parlamentare del Pci torinese, la presidente della circoscrizione Nadia Conticelli e Francesco Vercillo, presidente della sezione dell’Anpi dedicata a Renato Martorelli.
Un giudice di sinistra, uno stagionato stalinista, una rampante amministratrice cittadina in quota Pd e il difensore ufficiale delle memorie partigiane del quartiere. Di cosa parleranno? Di “mafia”, di “frange anarco-insurrezionaliste”, di “movimento No Tav” e del pericolo del ritorno del “terrorismo” in Italia. Niente male come scaletta di discussione per una serata sola, e niente male la combriccola.
Niente male, ma niente di strano. Come già sapete, l’eredità più sostanziosa lasciata dal giudice Caselli alla Procura torinese, che già si era guadagnato la fama di grande inquisitore del movimento No Tav, è stata proprio lo sdoganamento dell’articolo 270 sexies del Codice penale, articolo che consente di definire terrorista – e quindi di seppellire per anni nelle sezioni di Alta Sorveglianza delle carceri italiane – chiunque cerchi di «costringere i poteri pubblici […] a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto». I primi a farne le spese sono stati Chiara, Mattia, Niccolò e Claudio, che sono anarchici e, contemporaneamente, No Tav e sono stati accusati di aver attaccato il cantiere di Chiomonte nel maggio scorso. Ma potenzialmente potrebbero farne le spese tanti altri, più o meno chiunque si spinga al di là del dissenso platonico quando c’è da far cambiare idea ai “poteri pubblici”: che sia riguardo la costruzione di una discarica di rifiuti, o riguardo ad uno sfratto, o ad una iniziativa legislativa particolarmente odiosa, o a dei tagli del personale. Del resto se le istituzioni sono democratiche, chi ostacola le loro decisioni democratico non è, e chi non è democratico non può esser che… un terrorista. Un bell’asso nella manica dei padroni e dei governanti, insomma, da calare al momento giusto contro chi sceglie di lottare.
E non è un caso, allora, che Caselli si accompagni con i reduci dello stalinismo subalpino e con i loro nipotini del Partito Democratico. Perché son proprio loro, adesso come adesso, il Partito Dei padroni. E lo sono organicamente, per vocazione e statuto, non solo perché si son schierati senza dubbi dalla parte degli affaristi che vogliono il super-treno in Valsusa. I baci recenti tra Chiamparino e Marchionne ne sono una testimonianza, pubblica e senza vergogna, come la carica rivestita fino a poche settimane fa dal primo. Nell’intervallo tra l’esperienza a sindaco di Torino e la candidatura a governatore del Piemonte, Chiamparino è difatti rimasto comodamente seduto su un’importante poltrona, quella di presidente della Compagnia di San Paolo, la principale azionista della banca che si sta comprando tutta la città. E poi ci sono i lunghi anni in cui militanti e dirigenti hanno sopportato senza fare una piega di avere in città un lager dove rinchiudere la mano d’opera straniera in eccesso. Nel suo piccolo, dal canto suo, Nadia Conticelli ha dimostrato senza dubbi da che parte sta invocando costantemente l’intervento della polizia contro l’unica lotta ben viva nel territorio della sua circoscrizione, quella per la casa e contro gli sfratti. E forse il problema sono proprio le lotte, i momenti in cui gli sfruttati smettono di farsi la guerra tra di loro e di esser rassegnati alla miseria. Se gli stalinisti della generazione di Sanlorenzo erano abituati a starci in mezzo, alle lotte, per gestirle e renderle compatibili con il buon funzionamento della macchina capitalista, i loro nipotini possono farne tranquillamente a meno. Con buona pace degli ultimi vecchi militanti che ancora frequentano le sezioni di partito e che confondono i ricordi del quartiere proletario più vivace della città, le lotte di allora, con le partite a tresette – che sono tutto quel che resta. Adesso come adesso, gli ideali di eguaglianza e di libertà son tutti fuori da quelle mura.
E l’Anpi? Cosa c’entra la Resistenza con il Tav, con Caselli e con le lotte sociali di questi anni? Cosa c’entra Antonio Banfo, gettato senza vita dentro ad una bialera per aver avuto il coraggio di sfidare faccia a faccia il colonnello Cabras durante lo sciopero del 18 aprile alla Grandi Motori? E cosa c’entra Ilio Baroni, ucciso a poche decine di metri dalla sala dove parlerà Caselli? E Renato Martorelli? E cosa c’entrano i tanti che han lottato contro i fascisti prima, e i nazisti poi, e ancora contro Agnelli e Valletta su e giù per le strade della Barriera di Milano di tanti anni fa? C’entrano solo perché qualcuno da sempre utilizza la retorica resistenziale per giustificare qualsiasi misfatto – purché sia compiuto secondo i crismi della democrazia. A noi, per contro, piace pensare che questa folla di lottatori del passato, vivesse adesso, scenderebbe insieme a noi dai sentieri valsusini, o condividerebbe le nostre stesse barricate nelle strade della Barriera. Ma non ne possiamo esser sicuri.
L’unica cosa della quale siamo sicuri, assolutamente sicuri, è che nessuno di loro frequenterebbe mai i circoli democratici del quartiere, né vedrebbe di buon occhio gente come Sanlorenzo, la Conticelli o, peggio ancora, il giudice in pensione Giancarlo Caselli. Proprio come noi.
Giovedì 6 marzo 2014 – ore 20,00
PRESIDIO
in Corso Novara angolo Via Leoncavallo