Prove di videoconferenza

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«Al nostro compagno Claudio è stato imposto di seguire quest’udienza solo tramite videoconferenza, pertanto lui non si trova ora qui vicino a noi. Questa misura aggrava ancor più la condizione di prigionia in cui si trova. Per questo, finché lui non sarà presente con noi in aula, ostacoleremo il buon procedimento di questo processo cominciando da ora, abbandonando l’aula.»

Questo il testo letto dai coimputati di Claudio presenti oggi in aula durante l’udienza preliminare del processo ai Banditi. L’udienza in realtà è rinviata a lunedì prossimo, 7 aprile, ma anche se per pochi minuti i compagni presenti hanno comunque un assaggio di cosa è un processo in videoconferenza.

In attesa di una riflessione più approfondita sulla questione, ci sembra dunque interessante condividere le impressioni raccolte questa mattina. Innanzittutto l’aula. Non è quella prevista, ma un’altra ubicata nei sotterranei del Palazzo e tecnologicamente attrezzata. Diverse sono le videocamere che riprendono il giudice, le parti offese e gli imputati con i loro avvocati e quattro gli schermi che ne trasmettono poi le riprese. L’immagine di Claudio occupa una piccolissima porzione degli schermi e rimane a lungo muta. Sono infatti i giudici gli unici a poter accendere il suo microfono e durante questa breve udienza evidentemente non ritengono necessario farlo. L’unico segnale della sua «presenza» arriva allora da uno squillo di uno dei telefoni presenti in aula cui, su indicazione delle guardie, risponde l’avvocato. Dall’altro capo c’è Claudio che, ottenuto il permesso dal secondino che lo affianca, esce di scena e si reca in fondo alla stanza per telefonare al suo difensore. Ci si accorge così  che la sua immagine arriva in differita e che in aula tutti possono ascoltare quello che l’avvocato dice al proprio assistito. Non molto a dire il vero, perché la conversazione non dura un granché, il giudice la interrompe infatti dopo poco ricordando che non stanno svolgendo un colloquio.