Voilà Gepsa
Sembra proprio che questa sarà la volta buona. Al terzo tentativo, dopo aver già concorso e vinto per ottenere l’appalto del Cara di Castelnuovo di Porto, un affare da quasi otto milioni di euro l’anno, e del Cie di Gorizia, e essersi vista annullare entrambe le assegnazioni per problemi contrattuali, Gepsa sembra sia finalmente riuscita ad aggiudicarsi la gestione del Cie di via Corelli a Milano. Ad affiancarla dovrebbe essere Acuarinto, un’associazione culturale di Agrigento, al suo fianco già nei primi due fallimentari tentativi. L’appalto, che assegna all’associazione siciliana il compito di occuparsi dei reclusi e alla società francese la gestione e la messa in sicurezza delle aree e dei cortili, dovrebbe rimanere invariato anche in seguito alla recente decisione del Ministero degli Interni di cambiare temporaneamente destinazione d’uso alla struttura.
Dal 15 settembre fino a marzo, Acuarinto e Gepsa, assieme agli ex-dipendenti della Croce Rossa riassunti, non avranno a che fare infatti con persone senza documenti a rischio espulsione, ma con uomini e donne con lo status di rifugiati. Non sappiamo ancora se il provvisorio passaggio dall’emergenza clandestini all’emergenza profughi cambierà qualcosa nel tariffario precedentemente stabilito con la Prefettura milanese, che prevedeva un rimborso di 40 euro a ospite contro i 54 euro precedentemente percepiti dalla Croce Rossa. I posti dovrebbero in ogni caso rimanere 140.
L’ingresso ufficiale di Gepsa nel mondo della reclusione in Italia non è una novità di poco conto e crediamo meriti qualche parola in più. Gepsa, filiale di Cofely, società a sua volta appartenente alla multinazionale dell’energia Gdf-Suez, è stata creata nel 1987 per poter sfruttare le possibilità che lo Stato francese stava allora offrendo alle imprese private di partecipare al mercato della gestione e costruzione dei penitenziari d’Oltralpe. Un’apertura al privato legata alla decisione dello Stato francese di aumentare il numero dei posti disponibili nelle sue prigioni, cui Gepsa in questi anni ha sicuramente fornito un contributo importante, tanto da esser considerata come uno dei partner principali dell’Amministrazione Penitenziaria.
Il suo acronimo rivela che è specializzata nella “gestione dei servizi ausiliari negli stabilimenti penitenziari” ed effettivamente, in quella che è la logistica della detenzione, Gepsa fa un po’ di tutto: manutenzione generale e degli impianti elettrici, idraulici e termici, pulizia dell’edificio, consulenze informatiche, cura degli spazi verdi, vitto, trasporto e lavanderia per i detenuti, ristorazione per il personale carcerario.
Altra attività in cui Gepsa si distingue è lo sfruttamento del lavoro dei detenuti attraverso la gestione di numerose officine all’interno dei penitenziari. Ogni giorno 1700 detenuti vengono messi al lavoro da Gepsa e ogni anno più di 180 trovano grazie ad essa un impiego una volta usciti di prigione. Continuando a dare un po’ di numeri potremmo dirvi che Gepsa gestisce 34 carceri e 8 Centri per immigrati senza documenti per una superficie pari a 715 000 m², che partecipa ad un consorzio per la costruzione e la gestione di altri 4 penitenziari, che garantisce il lavaggio di quasi 8 tonnellate di indumenti e la preparazione di 14500 pasti al giorno. Sono 400 infine i suoi dipendenti.
Cifre che aiutano a dare un’idea di cosa sia Gepsa e che la rendono una della possibili candidate a diventare quel gestore unico dei Cie di cui ormai da tempo le autorità discutono. A questo proposito, oltre alle dimensioni, gioca naturalmente a favore della società francese anche l’esperienza maturata nel mondo carcerario che include oltre alle competenze fin qui elencate anche la gestione dei dispositivi di sicurezza a Fleury-Merogis, il carcere più grande d’Europa.
L’eventualità che Gepsa diventi il futuro gestore unico dei Cie italiani o anche solo che sostituisca la Croce Rossa nella gestione di un gran numero di Centri, oltre a rendere più difficoltosa la resistenza dei reclusi, rischierebbe anche di minare ulteriormente il morale e l’efficacia delle iniziative fuori, che peraltro non è che godano già di una gran salute. Non aver infatti più una Croce Rossa su cui sparare ma trovarsi davanti una lontana società francese potrebbe aumentare il senso d’impotenza. Ma a pensarci bene, per far qualcosa, non è che bisognerebbe per forza recarsi fino in rue Henri Sainte-Claire Déville a Rueil-Malmaison.