Questione di phylum

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Dagli artropodi ai platelminti: basterebbero queste poche parole, a un naturalista qualsiasi, per riassumere gli ultimi anni trascorsi dentro al Cie di corso Brunelleschi. Già, perché se qualche anno fa la Camst, colosso emiliano della ristorazione collettiva, aveva fatto parlare di sé per avere servito ai reclusi pietanze condite da blatte ora la Ladisa, colosso pugliese della ristorazione collettiva, serve ai prigionieri piatti guarniti da… vermi. Una questione di phylum?

Tassonomie a parte, oggi come ieri i reclusi di corso Brunelleschi son trattati come bestie, e quelle stesse ditte che forniscono i pasti alle scuole di mezza città si adeguano volentieri facendoli mangiare come bestie: tanto che mercoledì i prigionieri dell’area rossa si son ritrovati dei vermi dentro ai piatti, insieme alla carne e alle verdure. Ovviamente hanno protestato compatti e inscenato un breve sciopero della fame fino a ricevere qualche rassicurazione da parte dei responsabili di Acuarinto Cambiamo il fornitore dei pasti» – pare abbiano detto). Rassicurazioni già smentite con la cena di domenica, quando nell’area verde e nella bianca tutti i reclusi si son trovati di fronte una insalata di pomodori un po’ troppo stagionata.

Niente di nuovo sotto al sole, in un Cie che piano piano sembra tornare a funzionare a pieno regime, con i nuovi arrivi giornalieri che vanno a rimpiazzare i posti lasciati vuoti di quanti vengono rimpatriati e le resistenze disperate di chi ogni giorno cerca di non farsi portare via: solo la settimana passata un prigioniero, portato a Malpensa per essere espulso, una volta caricato sull’aereo che doveva portarlo in Tunisia si è ferito talmente tanto da convincere il pilota a partire senza di lui. Trasportato in infermeria e ricucito alla meglio, è stato legato e fatto salire a forza sull’aereo successivo.

Per ritornare a questioni di tassonomia, vi segnaliamo come proprio nei giorni in cui, nel silenzio generale, i vermi prendevano il posto degli scarafaggi nei menù di corso Brunelleschi, in centro città e tra i flash dei giornali in tantissimi sfilavano scalzi per «chiedere con forza», tra le altre cose, «la chiusura e smantellamento di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti». Causa encomiabile, che come sapete peroriamo da qualche anno con la poca forza che abbiamo. Peccato che tra i promotori della iniziativa e tra i manifestanti ci fossero – con adesione annunciata e formalizzata, non perché non avessero nulla da fare l’altro pomeriggio – Ilda Curti e l’intero gruppo Pd al Comune di Torino, i Giovani Democratici, Marco Grimaldi, la Cooperativa Crescere Insieme del consorzio Kairòs di Mauro Maurino… vale a dire gli uomini dei partiti che diciassette anni fa i «luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti» in Italia li hanno progettati e nei diciassette anni successivi costruiti, raddoppiati, e in questi ultimi mesi ristrutturati; gli uomini e i gruppi economici che su quei luoghi hanno provato a costruire piccoli, quanto caduchi, imperi economici. Bene o male, un posticino nel phylum e nell’ordine del vasto regno animale più adeguato per loro lo abbiamo trovato facilmente. Ma non ci capacitiamo invece di come, tra le centinaia di manifestanti sicuramente in buona fede e bene informati che hanno scelto di sfilar loro accanto, non se ne sia trovato uno che sia andato a pestare i loro piedini scalzi. Misteri impenetrabili della logica e delle scienze naturali.