Corale da Ferguson

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Come avevamo già fatto ai tempi delle sommosse di Londra, vi offriamo un’occasione, tanto estemporanea quanto interessante, per leggere qualcosa su eventi d’oltremare. Si tratta di una traduzione, curata da alcuni redattori di //Macerie e storie di Torino//, di un testo sui fatti di Ferguson. Il testo in lingua originale lo potete trovare qui.

Lo proponiamo perché, a nostro parere, non solo è in grado di presentare in maniera vivida, sincera e a volte naïf un racconto dei giorni della sommossa che ha scosso il Midwest nordamericano, ma offre anche, sotto diversi punti di vista, alcuni dei problemi che si incontrano nei momenti di rottura, nei momenti in cui la lotta tracima al di là di ogni previsione (di coloro i quali vi partecipano, di coloro i quali da tali dinamiche sono ossessionati, di coloro i quali hanno tutto l’interesse a reprimerle). Insomma, ci pare di avervi trovato alcuni dei problemi relativi alle fasi insurrezionali. Problemi che chiunque abbia impattato con le difficoltà delle lotte reali, pur di dimensioni ridotte e circoscritte, ha incontrato, incontra e incontrerà.

 

RIFLESSIONI SULLA SOLLEVAZIONE DI FERGUSON

Nel febbraio del 2015, dopo mesi di scontri in risposta all’omicidio di Michael Brown, un po’ di anarchici dell’area di St. Louis si son trovati per riflettere sulle esperienze vissute in strada, sul loro ruolo in lotte prevalentemente nere, e sulla diffusione di incendi e spari nel corso delle proteste.
Si son messi sul piatto alcuni argomenti di discussione per dare il “la” al dibattito, ma soprattutto si è lasciato che la discussione seguisse il suo corso, con notevole franchezza e senza timore di esporre anche i passaggi più delicati. Il risultato finale è un documento storico, di interesse per chiunque un giorno possa partecipare a qualcosa di simile.

Questa trascrizione è apparsa nel dodicesimo numero della rivista Rolling Thunder, che esamina in dettaglio il movimento che partendo da Ferguson si è sviluppato in lungo e in largo negli Stati Uniti.

Introduzione dei partecipanti

Quando si parla di Ferguson è fondamentale ricordare che quella che è diventata una stupenda rivolta ha avuto origine da una tragica perdita, da un omicidio brutale. La lista senza fine di persone uccise dallo Stato a St. Louis e altrove alimenta la nostra rabbia e le nostre lacrime. Ma come tutti quelli che abbiam visto nelle strade di Ferguson, anche noi rifiutiamo di relegare questa rabbia profonda e questa sofferenza in un’intimità meramente personale.
Gli esiti di tale ribellione, il loro nocciolo, son ben lungi da essere semplici, e di conseguenza le risposte alle questioni che sono emerse sono altrettanto lontane da una linearità. Gli editori di Rolling Thunder hanno raccolto un insieme di domande critiche e ben ponderate – di tenore analitico e formulate con chiarezza da una certa distanza. Ma a causa della natura delle esperienze a cui sono state esposte le nostre vite – trascinandoci in alti e bassi sconvolgenti – la discussione si è allontanata parecchio dalle questioni poste originariamente. In ultima istanza, ne abbiamo lasciate inevase parecchie.

Noi, che siamo stati nelle strade nel corso di diversi mesi in quelli che son stati i momenti più intensi ed esaltanti delle nostre vite, abbiamo portato avanti la discussione in maniera ondivaga. A volte siam partiti da una domanda, altre volte la discussione stessa ne ha originate altre. Siamo stati più inclini a partire dal cuore delle cose: come ti senti quando stai sfiorando un sogno? Come si fa a tornare alla vita di prima? Chi ti sostiene quando piangi?

Perché abbiamo pianto: nei momenti di rabbia intensa e nell’incredibile e quasi insostenibile bellezza di cui siamo stati testimoni e che abbiamo contribuito a creare. Perché siam stati di fronte a ciò che spesso sembra inafferrabile – siamo stati spettatori dell’impossibile –, abbiamo visto porzioni di quella speranza che si radica nel profondo dei nostri cuori, e abbiamo pianto perché abbiamo tastato la materialità di una grande, immensa perdita. E questo ci ha portato verso quella che forse è la questione più importante di tutte: dopo tutto ciò che hai visto, ciò attraverso cui sei passato, a cosa credi ancora? In cosa speri? Cosa sogni e desideri?

Antefatti e contesto: «Prima di tutto ciò ero molto più pessimista»

Luca: [legge] «Come vedevate il futuro dell’area di St. Louis prima di tutto ciò e come lo riconsiderate ora? Quali sono gli effetti a lungo termine che vanno configurandosi? Quali sono le soggettività che si sono aggregate in occasione della rivolta e della reazione ad essa, o che invece la hanno contrastata?»

Masie: Personalmente ero molto più pessimista sul mondo e St. Louis prima di tutto ciò.

Cameron: Io di certo.

Emma: È stato incredibile affrontare eventi che non sei stato impegnato a far accadere. È stato quasi un sollievo.

Luca: Sì, fino ad allora questo posto sembrava afflitto da un certo malessere, come gran parte del Paese, ma con caratteristiche intrinseche piuttosto locali. Proprio per questo tutto ciò è stato davvero imprevedibile.

Cameron: Io non mi sarei mai aspettato un evento del genere ed è stato stupefacente che sia successo davvero, ma mi chiedo anche se sia uno di quei sconvolgimenti che possono esplodere solo ogni vent’anni e quindi se ora siamo destinati a tornare al nulla che c’è tra eventi del genere. Semplicemente non sono affatto sicuro che cose del genere possano accadere in ogni momento. Perché è successo tipo vent’anni fa, nel 1992, ma finora la polizia ha continuato ad uccidere la gente per anni.

Vera: Dobbiamo tenere conto di ciò che stava succedendo a livello locale a St. Louis. Può darsi che questo tenore di riot avvenga ogni vent’anni, ma a St. Louis son successe cose che poi hanno condotto a questo tipo di sbocco. Ad esempio, il corteo per Trayvon1.

Luca: Sì, questo è un passaggio di una serie di eventi che parte da lontano, prima di Trayvon Martin e prima di Oscar Grant, che forse risale ai riot di Los Angeles del ’92. E poi, in che relazione sono queste cose con Occupy, con le Primavere Arabe o con la generica presa di coscienza di queste sollevazioni di massa? Sono interconnesse, seppur non certo in un modo autoevidente.

Cameron: Per dire, c’era un tipo al corteo per Trayvon che era incazzato perché il corteo non partiva. E citava un pezzo di Tupac, “Facciamo scontri, non manifestazioni”. Continuava a ripeterlo. Quando l’ho rivisto a Ferguson, ho sentito che c’era un qualche tipo di continuità, di fisso.

Luca: Sì, così come a quella manifestazione prima del corteo per Trayvon Martin, in qualche modo istituzionale, c’erano personaggi come vari senatori e preti che poi si sarebbero ritrovati a Ferguson. Anche se poi la gente è stata completamente diversa, ci son stati episodi connessi in questo senso.

Vera: Qualcuno al corteo per Trayvon ha cercato di ribaltare una macchina della polizia…

Luca: Vero…

Vera: …ma non sapevano esattamente come fare, e tra i manifestanti qualcuno gli ha fatto “Oh, guarda che si può far così…”

Luca: “E dovreste coprirvi la faccia…”

Vera: Io ho sentito dialoghi del genere. E poi ho visto cos’è successo a Ferguson… Penso proprio che ci siano connessioni oltre alla mera presenza di amici nostri.

Luca: Per ciò che riguarda come la cosa sia legata nello specifico a St. Louis, il fatto è che vivere qua è davvero dura, cittadine merdose, esempi del rust belt [lett. Cintura di ruggine; sintagma che indica quei centri sorti attorno alle città industriali, decaduti assieme alla loro produttività N.d.T.] del Midwest. La qualità della vita da queste parti è piuttosto bassa. Anche se lo è pure il costo della vita.

Masie: Dobbiamo elencare tutte le ragioni per cui risulta orribile vivere qua, così da scoraggiare chiunque a venire?

[risate]

Masie: Qualità dell’aria, violenza nei rapporti quotidiani… terribile.

Cameron: La polizia è… brutale. Semplicemente tremenda.

Masie: Così come ci sono tantissime discariche di rifiuti tossici.

Vera: Povertà e delinquenza…

Emma: Non puoi neanche farti una nuotata in acque pulite.

Luca: Anche l’acqua che bevi non è poi così pulita.

Masie: E si è almeno a un’ora e mezza di distanza dalla natura. Almeno.

Louise: Emarginati da paura.

Cameron: In effetti, anche la natura è inquinata.

[risate]

Masie: Sicuramente chi è di qua ha dei microchip addosso. Microchip sotto pelle.

[risate]

Impeto e limiti

Emma: Pensate che le persone, in generale, si aspettino che se la polizia continua ad uccidere la gente, ci sia una risposta? O lo spero solo io? Pensate che ci sia questo tipo di slancio? Anche se abbiamo visto che, sin dall’omicidio di Mike Brown, la gente è sia capace di reagire alla polizia sia di starsene…

Vera: Io spero che ogniqualvolta la situazione diventi calda ci siano risposte.

Luca: C’è anche da tenere conto come in tutto ciò c’entri la questione della colpevolezza, come reagisce la gente quando in ballo ci son pistole. Insomma, se si pensa che la persona uccisa dalla polizia sia in qualche modo colpevole. Anche se perfino nel caso del tipo sulla Minnesota2 c’è stata una reazione diffusa. Ad ogni modo io son fiducioso. Di certo non mi aspetto nulla, ma si sente che le possibilità son molto maggiori ora che si è visto che quando la polizia uccide qualcuno, qualcosa si può fare.

Emma: Ma come pensate che si possa spostare la questione dalla mera risposta ad un assassinio di Stato verso un orizzonte invece più generale, rispetto alle condizioni di merda della vita quotidiana?

Masie: Ciò che vorrei: un sacco di gente che si raduna, incazzata di brutto, che si riversa nei viali più larghi, che affronta la polizia e magari la respinge pure…

Jane: …bruciare il QuikTrip [sorta di autogrill locali, N.d.T.] più vicino…

Masie: La gente potrebbe far tutto ciò ogniqualvolta arrivi una notifica di sfratto o quando si alza il costo della vita, o ancora quando ti tagliano i buoni alimentari. Vorrei che questo diventasse la normalità, ma di certo non è che me sto in apnea fino a quando non succede…

Luca: Penso che questo sia uno dei limiti del riot. C’è un grosso iato tra una massa di gente per strada e una lotta sociale più estesa, con più sfumature. Come si arriva dai riot a occupazioni diffuse, a scioperi generalizzati, a quartieri autogestiti, a zone autonome, a pezzi di città dove la polizia non può entrare?
Anche perché ora ci sono altri soggetti politici. Per dire di come sia cambiato il tessuto sociale di St. Louis, ora ci sono molti più attivisti, gente che si è avvicinata ad una coscienza politica, che sta cercando la propria strada, ci sono più socialisteggianti e più nazionalisti del tipo Black Power, o gente che prova ad impegnarsi in una “supervisione dell’operato della polizia”.

Cameron: Sembra che ci sarà sempre una separazione tra questo tipo di soggetti e chi invece non è un militante. Anche se comunque sarebbe successo ciò che poi è successo, nei mesi tra agosto e novembre, mi sentivo, tipo… ero pessimista, non credevo che le persone avrebbero reagito come avevan fatto in agosto. Il tipo di energia era diverso nel periodo tra agosto e novembre. Era più statica, anche se c’erano focolai qua e là. Ma poi in novembre, è scoppiato tutto, e mi dicevo “Oh, c’è chiaramente qualche tipo di divisione, distinzione, separazione in atto, e io non faccio parte né di una né dell’altra parte”. Non faccio parte di nessuno di quei gruppi di attivisti, ma risulto comunque un esterno come di fatto lo sono i gruppi di attivisti. Ma forse si potrebbe pensare che sostenga che esistano gruppi, pur estemporanei, in cui uno deve entrare per fare le cose. In realtà penso che questo sia un problema. Non c’è alcun circolo in cui entrare, nessuna avanguardia al di sopra di tutti. C’è la gente, che si organizza in modi pur abbozzati di cui non farò mai parte, o semplicemente che si mette e lotta. Poi sì, ci sono attivisti e militanti che mettono su iniziative in risposta a questi omicidi, e penso che vada comunque bene. Ma prima di tutto ciò, gli stessi attivisti e militanti facevano comunque le loro cose, cioè, portavano avanti i loro discorsi e iniziative, forse con meno partecipazione. E ora, per loro, si tratta di un altro campo di intervento. Spesso mi deprimo quando ci penso. Ma poi succede merda, robe che non ti aspetti, come i riot di novembre a Ferguson. E vedi gente che non c’è alle manifestazioni tirate su dai soliti militanti, gente che attacca la polizia. Il 24 novembre mi son trovato in mezzo a persone che avevo già visto in agosto nelle serate più calde. Sembravano preparate; erano un gruppo numeroso, che si aggirava per le strade a fare casino. Sembrava non avessero alcun interesse a dimostrare pacificamente.

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«Un bel po’ di proselitismo in giro»

Masie: Immagino che quando ci chiedono di “soggetti politici”, vogliano sentirsi dire della nuova gente che è venuta fuori da tutto ciò.

Vera: Tipo, ora ci son molti più socialisti a St. Louis.

Masie: Sì, non è che ci fosse molta gente di sinistra a St. Louis.

Luca: E ora viene fuori una sinistra istituzionale. Che merda!

Cameron: Ho iniziato a discutere seriamente con ‘sto tizio dei socialisti, e dopo un po’ mi son reso conto che mi stava intortando per far avere voti ad un consigliere locale…

Masie: ‘Ste merde…

Cameron: E gli dicevo che la discussione mi coinvolgeva, fino a quando non ho capito che il suo unico interesse era ricevere consensi e voti nella scontro politico di cui il suo partito faceva parte. E per me era tempo buttato.

Vera: C’era un bel po’ di proselitismo in giro. A un certo punto sembrava una fiera di gruppetti politici.

Luca: Sì, perfino la prima settimana…cos’era, giovedì [14 agosto]? Quando a una certa sembrava una festa di quartiere. Con i mimi cristiani e i vari predicatori fuori di testa che giravano…

[risate]

Todd: C’era perfino un cerchio di rappers cristiani.

Luca: Il circolo degli oranti.

Vera: Gente che si aggirava tra i poliziotti in antisommossa e la folla ripetendo continuamente “Jesus”…

[risate]

Vera: Sì ma anche il Partito Comunista Rivoluzionario… sono venuti solo per accalappiare iscritti e ci sono riusciti.

Luca: Eh, sono arrivati in frettissima.

Cameron: Ma noi c’eravamo da prima.

[risate]

Luca: Perché viviamo qua! E loro son di Chicago! Son dovuti venire da fuori perché a St. Louis non c’è il Partito Comunista Rivoluzionario. Beh, ora c’è. Grandi!

[risate]

Emma: La gente che è stata arrestata tra agosto e novembre… qualcuno di noi è andato in tribunale ai loro processi. E, sì, il partito c’era, e provava ad assoldarli. Siamo stati là di recente, e questi provavano a convincere la gente ad aggiungersi ad una lista telefonica o qualcosa del genere…

Vera: Hanno provato a reclutare anche noi. Ci chiedevano quale fosse il nostro sito, come potessimo tenerci in contatto. Voglio dire, non che non sapessero chi fossimo… beh in fondo lo sapevano.

Masie: Fa schifo perché alla fine tu non militi in nessun gruppo, non sei un politicante, non hai mai fatto niente del genere… Il punto è che il modo in cui la gente crede di “poter far qualcosa” è diventare attivisti o militanti di qualcosa. E quindi, a meno che gli anarchici non inizino a fare qualche forma di proselitismo anarchico, cosa dovremmo fare? E ancora, come potremmo affrontare la frustrazione che proviamo quando la gente si riversa nelle varie ONG o organizzazioni sinistrorse? Certo non possiamo aspettarci che conoscano oscure teorie dell’ultra-sinistra o le cose su cui i nostri amici han riflettuto o letto da tanto tempo a ‘sta parte. Capisco anche che molte di tali teorie provengono da esperienze vissute, dal fatto che con la sinistra istituzionale si abbia avuto a che fare e se ne sia rimasti profondamente delusi. Quindi c’è la speranza che la gente si disilluda della militanza e si sposti su posizioni che invece ci interessano maggiormente. Ma potrebbe anche darsi che si stufino di tutto proprio.

Emma: Beh, a me ha fatto problema andare in tribunale perché… c’era il MORE [Missourians Organizing for Reform and Empowerment – organizzazione di sinistra istituzionale N.d.T.], il Partito Comunista e mi chiedevo cosa ci facessi io. Ma davvero voglio stare al fianco di ‘sti gruppi che son qui solo per adescare gli imputati? Di certo non son qui con loro. Può davvero essere scoraggiante eccetera… il fatto che al di fuori dei momenti di scontro non riesca a sviluppare rapporti con i rivoltosi. Quindi vado in tribunale perché odio le prigioni e non voglio che la gente si ritrovi sola quando viene arrestata, ma al di là di questo non saprei come potremmo…

Luca: Beh, alla fine parlando come un ‘noi’, penso che siamo stati molto attenti a come ci siamo mossi nelle robe senza essere un gruppo, senza essere un soggetto, senza raccogliere adepti, senza partecipare a quel mucchio di appuntamenti militanti formalizzati che han seguito il tutto, senza partecipare a quella che di fatto è stata la costruzione di un milieu di sinistra a St. Louis. Ma questo non significa che non ci siamo schierati. Siamo sempre stati dalla parte della gente in strada. Ma ce ne siamo andati senza avere relazioni a lungo termine con la gente, semplicemente perché le cose succedevano quando succedevano piuttosto che in situazioni organizzate. Abbiamo evitato quel piano, capito? In certi casi non essere riconoscibili come gente di sinistra di certo ci è stato di grande aiuto… riconosciuti nel senso da poterci accollare qualcosa. Ma questo significa che non abbiamo neanche provato a dare un nostro contributo nel processo di costruzione di quel qualcosa che ora è nelle mani della sinistra. Non abbiamo fatto neanche quelle cose che di solito facciamo normalmente, tipo banchetti o distribuzione di riviste. Siamo stati ben lontani da queste cose per un sacco di ottime ragioni, ma allo stesso modo ciò ha voluto dire che abbiamo perso delle occasioni per dire la nostra. Spesso, l’attività storica degli anarchici ha consistito nell’influenzare situazioni collettive. Nel senso, dire la nostra quando le cose non vanno come vorremmo. O spingere… ora stiamo spingendo, ma in modo differente.

Cameron: Comunque sembra che anche un sacco di attivisti e militanti di sinistra siano in simili ambasce. Non stanno facendo niente di pratico. Sicuramente stanno crescendo di numero, ma non credo che siano davvero al fianco dei rivoltosi. Le persone con cui hanno a che fare sono quelli che hanno ancora voglia di tutto quel modo politico di fare le cose, o quelli che vogliono diventare militanti, o fare lunghe assemblee.

Emma: Io so di certo che è una merda che gente con cui ho avuto belle discussioni o con cui ho fatto qualcosa… finisce in galera, così da dovergli scrivere.

Vera: Giusto.

Emma: Cosicché, beh, alla fine una simile conversazione risulta molto meno astratta.

Masie: Ci sono un po’ di anarchici in città che hanno imboccato la strada dell’attivismo politico classico. Ed è comunque interessante perché qualcuno di loro è stato invitato a presenziare al funerale di Antonio Martin, o alla cena che c’è stata dopo. E ciò ha portato al fatto che un membro della famiglia di Antonio Martin abbia letto documenti scritti da noi o da altri su fatti di Ferguson, con contenuti di critica frontale alla polizia. E sembra che questo familiare, un cugino, abbia detto tipo “Non ci credo che ci siano bianchi che pensano ‘ste cose, non ci credo che un bianco abbia scritto cose del genere”. In qualche modo tutto ciò si è dimostrato un contatto degno di nota.

Luca: Sì.

Masie: Ma comunque non so bene cosa farci con queste dinamiche.

Luca: Beh, è chiedersi come fare quel passettino in più. Che poi è la questione che attraversa tutta questo periodo di lotta, almeno da agosto. Come si può fare a creare rapporti genuini, disinteressati che durino nel tempo?

Masie: Senza fare proselitismo.

Luca: Senza dare appuntamenti e scadenze… senza baccagliare.

Vera: Che?

Luca: Sì, baccagliare. “Scusa bella…”. Ho sentito gente che parlava solo di avere numeri di telefono per beccarsi o diventare amici. Ma hai idea di quanti numeri di telefono avrei potuto accattare? Ma per carità…

Spingere la rivolta: «Non vogliamo semplicemente i riot»

Cameron: Un modo per non rientrare in una “sinistra” allargata è darsi appuntamenti autonomi al di fuori di quelli nell’agenda istituzionale. Voglio dire, penso che diversamente potremmo cadere nella dinamica “fare per fare”. Certo, le relazioni rimangono un po’ alienate laddove noi ci presentiamo come “anarchici” o proponiamo la “nostra” idea. Ma penso ci siano i modi per incontrare e parlare con le persone al di fuori della propaganda politica. Un’altra cosa, vorrei che… Penso che le cose più efficaci che siamo riusciti a fare siano emerse nel concreto svolgersi degli eventi. Quando West Florissant è risultata in qualche modo autonoma. Per dirla tutta, penso che questo sia il mio ruolo. Rendere quella porzione di territorio con più potenziale, in fondo è lì che hai modo di discutere e incontrarti realmente.

Vera: Ma pensate che avremmo potuto fare di più, o fare qualcosa per far durare la situazione? O avremmo potuto, per dire, stare più in zona per farci trovare già lì dai sinistroidi, esser lì ben prima che arrivassero per fare la loro propaganda e le loro campagne d’iscrizione? Avremmo potuto spingere i riot più in là prima che comparissero personaggi del genere?

Luca: Penso che una delle cose che è venuta fuori per molti di noi è il fatto che si dovesse agire non come anarchici. Abbiamo fatto le cose come parte di una forza sociale più larga. È stato molto piacevole il fatto che non fossimo gli unici a lottare. Ed è molto interessante pensare… abbiamo capacità specifiche per portare le cose più a fondo di come sono andate? Non lo so. È stata un’ondata da cui ci siamo fatti trascinare.

Emma: È stata la gente che spingeva da sé.

Masie: La cosa divertente è che ciò che ha attirato i maledetti sinistroidi, ma anche l’attenzione di tutti, è stata la sommossa. È stato come dire “Stiamo facendo un passo più in là della normalità”, più in là di ciò che fa la gente di solito. Abbiamo attirato l’attenzione del paese e del mondo, e chiaramente è per questo che poi sono arrivati tutti gli avvoltoi possibili e immaginabili…

Vera: A cambiare le carte in tavola…

Masie: Ma poi… cosa vuol dire spingere i riot più in là? Perché poi le frazioni più dure della rivolta si portano dietro le armi. Voglio una cosa del genere, di fatto?

Cameron: Non dico spingere il riot più in là, ma spingere l’intera situazione. La rivolta. A un certo punto sembrava che la gente avesse la mezza intenzione di occupare il parcheggio del QuikTrip, qualcuno proponeva di dedicarlo a Mike Brown, ma poi è stato recintato e sono iniziati dei lavori. Anche se erano solo voci, l’idea dell’occupazione di quello spazio stava iniziando a girare. Qualcuno di noi nei dintorni ha avuto forse un po’ di peso nello spingere la proposta. La sussurrava tra la gente.
Un altro aspetto, nelle situazioni più calde, riguarda le gente che sta in prima fila. A molti di noi piace stare davanti, ma ci andiamo coperti; cosa dovremmo fare quando siamo insieme ad altri? Per esempio, cosa dobbiamo fare con tutte le videocamere e i giornalisti che fanno le foto a persone che stanno facendo merda? Come potremmo rendere la situazione più sicura?

Luca: Eh, fa parte delle cose da imparare. Così come quando guardi mentre succedono le cose, quando ci partecipi i primi giorni, facendoti trasportare senza avere in mente che direzione prendere. Solo quando ti fermi un attimo ti dici, aspetta un attimo, noi non vogliamo solo un riot. Un amico mi disse, parlando di quanto a noi interessi poco dirigere o indirizzare situazioni del genere, “Ricordiamoci che noi siamo per la rivoluzione sociale”. Mi ha aiutato a riformulare i pensieri, perché in un certo senso stavo lì a guardare, a pensare “Tutto ciò è magnifico”.
Ma un pochino forse abbiamo diffuso qualcosa, come l’abitudine alle scritte. Come pratica parlava da sola. Mi ricordo di scritte tipo “Siamo ingovernabili” e vedere persone che leggendo ridevano e annuivano. Spargere questi piccoli germogli di idee ha aiutato ad alimentare i fuochi.

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Da dove è arrivata e perché è stata diversa

Louise: Ciò di cui si parlava si collega alla prima domanda. «In base a cosa questa rivolta si differenzia da altre sommosse anti-polizia di cui avete notizia o a cui avete partecipato? Perché ha avuto simili sviluppi, così in fretta?». Quando ne parliamo, confrontandoci con la gente, con il primissimo assembramento che si è formato a Canfield3 e nelle zone limitrofe…stiamo parlando di gente che sa già che i poliziotti son dei nemici. E lo sanno da anni e generazioni. Per via delle differenze razziali, perché in una zona a maggioranza nera operano moltissimi poliziotti bianchi, è piuttosto scontato che siano nemici.

Masie: La mia ipotesi circa i precedenti attacchi alla polizia qui a St. Louis è che potrebbero esser categorizzati in modi diversi. Ci sono gli attacchi del pistolero solitario, che poi sono i più frequenti, e che causano la morte di un agente una volta all’anno o giù di lì. Oppure ci sono le manifestazioni e i cortei dopo che qualcuno viene ucciso dalla polizia, sul modello però della “vigilanza sull’operato delle forze di polizia”. Che comunque sono significativi e rinforzano le comunità, ma a parte questo non sono particolarmente incisivi, non riuscendo a diventare iniziative d’attacco. Di questo tipo ad esempio è la manifestazione per Scott Perry. Ogni anno la famiglia di Scott Perry, un ragazzo morto nel carcere cittadino, manifesta fuori dalla prigione. Ed è un fatto significativo, ma mi sembra che a parte tutto non stia avendo molti risvolti. E poi ci sono tutti quelli che hanno ucciso dei poliziotti, come Cookie Thorton, Todd Shepard, Kevin Johnson. Per alcune comunità e sottoculture, questo può essere significativo, ma nei termini di forza reale in grado di cambiare le cose, credo che prima di Ferguson non ci fosse molto. Oppure possiamo pensare Ferguson come la compenetrazione di questi elementi, capace poi di superarne i limiti intrinseci.

Jane: Per quello che riguarda il fatto che le cose siano precipitate così in fretta… il primo giorno [il 9 agosto] non pensavo che sarebbe degenerata, ma data la reazione della polizia nel secondo giorno, la gente è insorta. Perché c’erano troppi poliziotti. Non avrei mai pensato che le cose sarebbero andate così fuori controllo. Le persone stavano semplicemente andando in corteo verso il dipartimento di polizia. Non avrei mai immaginato che sarebbe esploso un riot, ma la gente si è sentita intrappolata e ha tirato fuori la forza.

Luca: Per cui la domanda è «Perché questi eventi son risultati così diversi da altre rivolte contro la polizia, perché son precipitati in modo così radicale?». Ci sono diversi elementi che possiamo provare a mettere assieme per cercare una risposta, ad esempio inserire questo momento in un continuum di sollevazioni popolari, di forte repressione, o perfino in una certa cultura della guerra (cosa che di solito non si tiene mai troppo in conto)… e arrivare a comporre la situazione in cui la gente, per una volta, non abbassa la testa. Ma son più portato a legare questa rivolta a tutte quelle condizioni che rendono possibili le sollevazioni, ciò che l’ha scatenata è la situazione sociale in cui tutti viviamo.

Luca [sic, N.d.T.]: Sì, non è che la puoi causare tu, e, per me, neanche è allettante uscirne con una teoria in grado di spiegarla.

Emma: Esatto. Perché alla fine non son cose controllabili…

Todd: Non penso che gli anarchici debbano provare a fare gli scienziati politici. Non ci son formule della rivolta. Queste accadono da che c’è sviluppo storico.

Luca: Fin quando ci saranno repressione e oppressione ci saranno momenti del genere. Saremo sempre lì a lottare, fa parte di ciò che siamo.

Razza e rappresentazione

Raul: Leggiamo un’altra domanda?

Luca: «La forza insurrezionale nera che è esplosa a Ferguson è entrata in contraddizione con la costruzione di una identità afroamericana positiva e accettabile nel presente ordine sociale, con il relativo discorso della ‘black nation’? Avete imparato qualcosa su come entrare in conflitto con le presenti forme di oppressione senza cadere preda delle strategie repressive implicite nelle identificazioni e autoidentificazioni?»

[risate]

Emma: Penso di aver capito la domanda però…

Luca: Dovremmo smontare la domanda per rispondervi.

Cameron: Penso che vogliano dire «c’è stata tensione tra la massa indisciplinata e la rispettabile, benigna comunità nera?»

Luca: Certo, c’è stata tensione tra la massa nera insorta e le posizioni identitarie nere. Penso si sia giocata molto tra la gente che voleva saccheggiare e i membri di Nation of Islam che facevano la guardia ai negozi, o le donne che facevano la guardia al Sam’s4 che dicevano “Noi non siamo così”.

Vera: Questa frase torna in mente anche a me, “Noi non siamo così”. In molti avvenimenti che abbiamo vissuto emergeva questa cosa, che la gente cercava in qualche modo di prendere pieno possesso di ciò che stava vivendo e fare in modo che non ci fosse nient’altro oltre a ciò di cui facevano esperienza. Come dire, si aspettavano che le cose andassero sempre per come se le stavano vivendo. Perciò quando qualcuno tirava pietre ai poliziotti, saltava fuori il “Noi non siamo così”. E questo è andato avanti fino ad adesso. Questo è l’argomento di discussione che vien fuori più spesso.

Emma: Quindi la risposta alla domanda è semplicemente “Sì”? Certo, c’è stata tensione tra chi pompierava, spesso neri, e i ragazzi neri più combattivi.

Todd: Il fatto è che c’è gente che prova a dare una rappresentazione del “nero buono”, ma c’è gente che invece si è ritrovato faccia a faccia con la violenza della polizia, ci sono ragazzi neri, c’è la comunità nera, e poi c’ è anche un’altra faccia della medaglia. Da una parte ci sono persone che ritengono sia moralmente sbagliato saccheggiare o rispondere alla violenza con certi mezzi, e poi ci sono altri raggruppamenti di persone che non provano ad affermare alcuna identità, tantomeno per rappresentare altre persone. Gente che semplicemente prova a rivoltarsi, a sfogare le sue emozioni.

Vera: E penso che questo ci interessi, perché le voci più influenti dei vari leader di questa o quella chiesa o altre persone con certe posizioni di potere hanno provato a definire cosa sia e debba essere la “comunità nera”, e noi abbiamo deciso di non ascoltarli. Eravamo più interessati a sentire o beccarci con altri, quelli che facevano le cose più radicali. Poi siamo stati accusati di essere razzisti, di essere per la supremazia bianca, o comunque c’è stata gente che ci apostrofava con questo tipo di argomentazioni, dato che “non ascoltavamo la volontà dei neri”, intendendo i neri rispettabili, quelli con posizioni medio-alte nella scala sociale.

Luca: Beh , questo tipo di dinamiche mette in discussione l’idea di coesione. Coesione tradizionale. Ci dicevano che avremmo dovuto “ascoltare la voce dei neri”, intendendo con ciò la voce ad esempio degli uomini di chiesa, gente con idee con cui noi non potremmo associarci in nessuna circostanza. In base a non so cosa dovremmo stare a sentire ‘sta gente invece che cercare complici con cui abbiamo affinità, che magari han voglia di lottare in strada. Per questo, invece di contemplare diverse possibilità di intervento, ci tirano in ballo con accuse del tipo “Siete razzisti”.

Masie: Quest’idea tradizionale di legame sociale avrebbe senso se gli unici neri in giro fossero quel tipo di leaderino. Ma se guardi alla popolazione nera come un insieme affatto omogeneo, ti rendi conto che non c’è nessuna “voce nera”, ci sono molte voci e molte posizioni, e uno può scegliere con chi fare le cose.

«Oh mio Dio, quel bianco ha appena detto “‘fanculo agli sbirri“»

Emma: Com’era la seconda parte della domanda, le strategie repressive dell’individuazione? Queste… identità?

Cameron: Usare le parole per prescrivere invece che descrivere. Ad esempio “La comunità nera non vuole questo” o “Un soggetto così e cosà non farebbe una cosa del genere”.

Raul: Io la leggo come se dicesse «Come vi siete raffrontati col fatto che in fondo quello che stava succedendo si basava su razza, razzismo e altre forme molto concrete di oppressione?» Alla fine questo è il punto, questo è ciò contro cui la gente si è rivoltata – senza necessariamente andare a rinforzare le categorie di identità rigida. Per dire, voi avete trovato modi per affrontare il fatto che questa sommossa è esplosa contro la supremazia bianca, senza andare a rinforzare schemi identitari? Senza mettere nessuno in scompartimenti rigidi e senza omogeneizzare le loro esperienze?

Vera: Io riesco a pensare una risposta ad una domanda del genere riflettendo su ciò che non abbiamo fatto. Per dire, non abbiamo fatto quello che faceva l’ARC [Anti Racist Collective – Collettivo Antirazzista, organizzazione riformista N.d.T].

Todd: Sì, per tornare a quanto detto prima, di come abbiamo scelto di non impegnarci nelle tradizionali attività militanti.

Cameron: Allo stesso tempo, la presenza di compagni o anarchici bianchi sembra abbia avuto come effetto sulla gente una certa presa di coscienza sulle dinamiche razziali e sulle esperienze vissute. Ho parlato con un sacco di gente che mi chiedeva molto perplessa “Oh, ma cosa ci fai qui?” Gli ho risposto “Io penso a questo tutto il tempo. Anch’io mi son vissuto la violenza della polizia… diversamente, chiaro, ma è comunque qualcosa che mi spinge ad esserci”. Penso che questo abbia aperto la mente ad alcuni. La maggior parte di loro non son di certo politicizzati, né han letto teorie antirazziste. Da un punto di vista militante dovrebbero leggerle, così da realizzare che saremmo un peso. Forse in fondo il modo con cui abbiamo contribuito è stato proprio quello di esserci senza essere semplici burattini. Mettendo sul piatto proposte e facendo cose con la gente senza quell’accondiscendente superiorità tipica dei bianchi.
A volte, come nella settimana di agosto, eravamo tra i pochissimi bianchi in giro. È stato piuttosto strano, per via di tutte le tristemente note vicende storiche. Ma poi, per qualche motivo, la presenza bianca è aumentata. Questa è un’altra questione interessante, di come sia potuto succedere…

Emma: Vuoi dire che i sinistroidi hanno innalzato il numero di bianchi?

Vera: Eh sì.

Cameron: E la situazione è diventata più “sicura”? Sono apparsi personaggi riconoscibili come, ad esempio, nuovi leader del movimento con cui parlare per non stare in un angolino spaventati e tagliati fuori in un modo che sotto sotto si basa su dinamiche razziali…

Vera: Beh, la OBS [Organization for Black Struggle – Organizzazione per la lotta nera N.d.t.] si è ingigantita in tutto questo. Ne faceva parte. Ed è stato un modo per cui i bianchi si son potuti sentire a proprio agio nella lotta e impegnarsi, da bianchi appunto.

Masie: Ma anche voi pensate che corresse un bel po’ di differenza tra il giorno e la notte per ciò che riguarda la composizione razziale? Perché le poche volte che son stata lì di notte, mi son detta “Qua siamo gli unici bianchi”.

Cameron: Chiaro.

Luca: All’inizio di più.

Vera: Anche in novembre.

Luca: Su South Florissant.

Vera: Vuoi dire West Florissant5.

Luca: Sì, West Florissant.

Cameron: South Florissant era più misto.

Vera: Eh sì, ogni volta che dicevo “Sbirri di merda”, c’era qualche nero o qualche gruppo di neri che si basivano “Oh mio Dio, quella bianca ha appena detto ‘sbirri di merda’.” E ridevano di me!

Emma: Spesso mi chiedevo se fosse perché son bianca o perché sono una donna.

Vera: Eh!

Luca: Entrambi, credo.

Emma: Non so se sia successo ad altre persone che non siano donne.

Cameron: Han riso in faccia anche a me quando l’ho detto. Altre volte mi è arrivata una canna dopo aver urlato qualcosa.

Masie: Io penso che la gente di me abbia pensato che fossi una poliziotta. Quindi non chiedo a nessuno il numero o come si chiamano o se li trovo su Facebook… perché penserebbero che son della polizia.

Raul: A volte la gente rideva di me ripetendo “sbirri di merda” con il mio accento. Penso però che potremmo aver dato un contributo per demolire la convinzione secondo cui ai bianchi non interessa scontrarsi con la polizia. O magari la prossima volta, magari tra anni, ci saranno molte più persone che hanno visto dei bianchi fronteggiare la polizia. E forse è un passettino in più verso la capacità di relazionarci con altri nelle situazioni di conflitto.

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Trauma

Emma: Son stata a pensare sull’impatto che ha la violenza su noialtri, e come possa essere esaltata negli ambienti anarchici. Nelle rivolte, nelle sollevazioni… qui, anche nelle notti dove non circolavano armi da fuoco, era una zona di guerra. Se davvero vogliamo sostenere o costruire ambienti di resistenza dove sia normale ci sia violenza… Sembra che gli squarci di mondo che vorremmo si aprissero la contengano necessariamente. A me la violenza non piace, ma mi piace ciò che dischiude. Ma in che modo la violenza ci segna? Come possiamo sostenerla e contemporaneamente evitare di diventare ciò che di essa odiamo? Violenza che può essere teorica o interpersonale, ad esempio, quanto teniamo in conto il prossimo etc.

Luca: Una delle cose a cui ho pensato è che comunque io continuo a contemplarla. Anche se abbiamo davvero attraversato diverse esperienze di violenza, forse siamo in quella piccola cerchia di persone a cui la violenza ha fatto effetto, in quella settimana e mezzo. Ho cercato di dare un senso personale a tutto ciò, e mi son reso conto che nonostante tutto è qualcosa che accetto. Non vorrei che le cose fossero andate diversamente. In nessun modo.

Emma: Avremmo potuto farne a meno, ma questo non può essere un ostacolo.

Vera: Beh, per me a volte è stato un problema. A novembre, quando eravamo in strada e si sentivano molti spari, mi sentivo preparata a causa di ciò che era già successo. C’è stato un momento in cui mi son detta “È tutto vero”. C’era un tizio che camminava in strada a fianco a me con una birra in una mano e un pistola nell’altra, e sparava a casaccio in aria. Mi son quasi detta “Basta”.

Luca: Non voglio dire che non ci abbia fatto effetto. Eravamo tutti assieme [in novembre] in quei momenti in cui ci dicevamo “Bon, andiamo a casa. Tutto ciò mi ricorda troppo quello che è successo”.

Cameron: Eravamo proprio in quel punto [dove hanno sparato al nostro amico in agosto].

Vera: Si torna all’idea per cui la nostra presenza non stava aggiungendo niente al riot. Sarebbe stato meglio non esser là, dato che non stavamo dando alcun contributo… Saremmo potuti essere altrove a provare, provare a far qualcos’altro, no?

Raul: Ma non l’abbiamo fatto. Siamo tornati a casa.

Masie: Secondo voi se racconto quello che è successo al nostro amico a cui hanno sparato, offendo l’uditorio? Mettere in conto che questo possa succedere ancora?

Emma: Non ci saremmo mai aspettati che potesse succedere, per cui penso vada bene far sapere che son cose che possono succedere.

Masie: Subito dopo aver scoperto che sarebbe sopravvissuto, le settimane successive ho sentito dire dai compagni “Per fortuna è finito tutto”. Che da certi punti di vista è vero, ma nella mia testa mi chiedevo “Ma se va tutto in vacca di nuovo, non è che la gente non userà più pistole in America, o perlomeno qui a St. Louis”. Potrebbe succedere di nuovo ai miei amici in futuro. Potremmo morire in futuro, vaffanculo. O…

Luca: Non solo la cosa delle pistole. Cioè, le forze armate dello stato, capito? Non penso che siamo andati molto lontani dal momento in cui avrebbero aperto il fuoco sulla folla. Ma forse tutto ciò esula dalla domanda.

Masie: Ok, ma non penso ci siamo andati così vicini.

Luca: Sto solo dicendo che non sarebbe stata una cosa fuori dal mondo. Pensa se fossero stati bersagliati da un bel po’ di spari. Tutto ciò a cui saremmo arrivati sarebbero stati poliziotti dal grilletto facile.

Cameron: Di tutte ‘ste robe ha parlato un bel po’ di gente, ma questa specie di esaltazione di situazioni del genere… da lontano, nei resoconti, si può scrivere di tutto su questa rivolta contro la polizia, contro lo stato, di quanto fosse bello e incredibile, in un certo senso esaltando il tutto come se fosse un set cinematografico. Ovviamente è una comprensione molto parziale. Per un po’ c’è stata la spinta, e forse c’è ancora, di persone che fanno “Dai, fare merda è troppo figo! Il meglio!” E io, in questo momento, sono interessato a questa rivolta in atto, che comprende molti aspetti. Come il fatto che la gente si ritrova e fa festa, si parla, mangia assieme e cose così. Si autorganizza per affrontare le cose. E i momenti di rivolta fanno parte di questo. Magari ne son la parte fondamentale. Ma…

Luca: Era proprio quello che volevo dire. Parlare della rivolta in generale, non solo dei suoi momenti di riot. Non è che non voglia momenti di scontro, ma secondo me è molto importante sottolineare il fatto che il riot è solo uno degli elementi della rivolta. C’è anche una certa cultura guerresca di cui non abbiamo parlato. Quando ne accennavo prima, mi riferivo a qualcosa di più della bellicosità da ghetto, ovvero a quella visione guerresca anche anarchica. Cioè, il fatto che tanto prima o poi finiremo in carcere, ci faranno il culo, moriranno compagni e ci sembra normale. Ce lo aspettiamo. È un aspetto della nostra lotta, e diamo per scontato che ce la sucheremo. Per dire, io ho dovuto lavorare su queste idee, tenendo conto dei miei traumi personali. Non è sbagliato pensare che sia terribile. Che sia mostruoso, orrendo, doloroso e durissimo. Bisogna lavorare su questo bagaglio culturale che ci portiamo dietro e di cui non parliamo troppo.

Emma: Eh, dobbiamo essere inflessibili e combattivi.

Cameron: Penso anche che ci siano persone che non siano scese in strada a causa di tutto ciò. Ci saranno state molte persone che avranno detto “Io non ci vado. Io odio i maledetti sbirri, ma là non ci vado, ci son le pistole”. Non so esattamente cosa pensino queste persone, ma penso che la situazione abbia scoraggiato molti, anche persone che per vita ed esperienza personale magari si oppongono a molte cose di questo mondo. Non ho in mente cifre, ma ho sentito davvero molte persone dir così. Ho visto molte persone spaventate, che urlavano agli spari, che piangevano. Questo è l’aspetto della cultura guerresca che è in ballo.

Luca: Molti pensano che siamo stati matti a metterci in quella situazione.

Masie: Stavo per dire qualcosa anch’io sul fatto che ci possano succedere cose molto brutte e che dobbiamo averci a che fare. Ci son persone che invece non se la sentono, o che se ne rendono conto all’ultimo e poi spariscono. E cambiano radicalmente vita, perché il modello dell’anarchico tipo è piuttosto monolitico, ed è incontrovertibile. E questo è forse il motivo perché la gente inizia ad infamare: “Cazzo, mo’ mi devo fare tutti ‘sti anni, me l’avevan detto che sarebbe potuto succedere, ma non riesco proprio a sopportarlo”.

Cameron: Questo sembra rapportarsi alla dicotomia secondo cui si è o una scheggia impazzita o uno inquadrato, uno che fa parte di movimenti o organizzazioni. In qualche modo si finisce per fare il gioco delle organizzazioni. Non c’è altro modo d’essere che non rientri in questa dicotomia. Non c’è un numero infinito di modi per impegnarsi. Si limita tutto a poche scelte.

Vera: Non è quello che stavi dicendo [Raul]? Ho pensato a quanto hai detto quando hai detto “Non abbiamo fatto niente, siamo semplicemente tornati a casa”.

Raul: Eh, sul trovare altri modi fantasiosi per dare un contributo pur senza essere per forza in strada. Vorrei sentire le idee di altri a riguardo, ma non penso che noi facciamo riferimento solo ad una cultura guerriera quando ci aspettiamo che ognuno sia fermo sulle sue posizioni, incurante di quando potrebbe accadergli, disposto a non fare passi indietro. So che è una cosa che esiste. È esistito per generazioni, esiste e c’è perfino tra noi, a volte. Ma in questa situazione, mi son reso conto che noi ci prendiamo carico un dell’altro. Quando lottiamo, quando torniamo a casa e piangiamo insieme. E lottando ci prendiamo cura dei nostri amici. Ascoltandoci a vicenda quando non siamo più all’altezza della lotta in corso (la maggior parte delle volte).
Ho ricavato molto dagli aspetti violenti e di scontro reale in ciò che abbiamo vissuto e mi son sempre sentito supportato dai miei compagni nel confronto diretto con la realtà, o meglio in questo scenario di guerra. Non ho mai sentito la necessità di essere semplicemente un duro. Potevo essere coraggioso quando me la sentivo e poi piangere dopo che ero stato coraggioso, così da esserlo ancora il giorno dopo.

Responsabilità e autonomia: “Ci sono anche le persone a casa”

Luca: Penso che abbiamo fatto delle belle cose riguardo all’attenzione reciproca, soprattutto la prima settimana e le settimane successive al ferimento del nostro amico. È emerso un pochino nelle dinamiche di azione e scontro, a seconda di chi si sentiva a suo agio nelle strade, e a quanto ci si avvicinava ai cordoni di polizia. Ma c’era anche gente che si è vergognata del fatto che non se la sentiva di stare dove si spingevano altri. Succede anche questo a volte. Ma in generale penso che la gente abbia provato a gestirsela al meglio che poteva. Direi due cose su come io mi sia vissuto il tutto, come se fossi stato un anarchico da sempre. E avere a che fare con tutto quello che è successo e stare a strettissimo contatto con i fatti relativi al ferimento del nostro amico, e infine cercare di chiarirmi il tutto, no?
Provo ad immaginarmi tutti i modi in cui potranno incidere sul lungo termine quello choc e tutta quella violenza. Guardandomi da fuori e provando ad immaginarmi dove esattamente è accaduto l’evento traumatico, come quando [a novembre] ho cercato di tornare all’incrocio dove il nostro amico è stato colpito. E andare quando era il momento, senza rimanere là impalato. Essere in grado di agire in uno spazio ancora più attraversato da colpi d’arma da fuoco e, letteralmente, fuoco e fiamme rispetto alla prima settimana di riot. Riuscire ad essere agile, sentirmi a mio agio in un ambiente, un terreno del genere. Finendo poi per andare da un terapista e sentirmi dire “Ciò che ti è successo è un casino. Davvero, un grosso casino. E non è normale”. E magari rispondergli “Vabbè, va’…”. Che poi vuol dire crescere e passare la tua vita da adulto immerso in un contesto del genere.

Masie: Anch’io mi son chiesta quando dire a qualcun altro di non fare qualcosa, dato che se poi fosse andata storta avrebbe potuto stare male, o quando dirmi “Boh, alla fine è la sua vita del cazzo. Non dirò a nessuno cosa fare o cosa non fare, né lo controllerò in alcun modo”. Ad esempio, ho fatto fatica a non mandare affanculo la polizia, soprattutto quando ero molto stanca. In diverse occasioni, negli anni, quando mi capitava di sproloquiare in faccia ad uno sbirro, molti amici mi dicevano che avrei dovuto smetterla. Un po’ per il mio bene, ma forse me lo dicevano anche per il loro, perché erano loro che poi avrebbero dovuto stare svegli tutta la notte finché non mi avrebbero rilasciato, no?
Una cosa così moltiplicatela per mille. Come dire “State andando in una zona dove sparano sulle persone, dove molti son quasi stati uccisi. Io potrei essere quello che porcoddio potrebbe seppellirti”. Io non riesco a gravare di una simile responsabilità qualcun altro. Per me è difficile. Perché in situazioni del genere, dove la gente si butta in strada per fare riot in North County e magari io son sfinita, e avrei bisogno di una notte si assoluto riposo, alla fine mi dico “Bene, realisticamente potrei essere quella che potrebbe tirarli fuori su cauzione o sulla fiducia stando in piedi tutta la notte”. Ha senso? Non sto dicendo che la gente non debba fare questo o quello, dico solo che poi ci sono conseguenze reali.

Louise: Queste son cose su cui ho certamente riflettuto. Ovunque ci sia la cultura guerresca di cui stiamo parlando, c’è chi non va a combattere, ci sono persone che stanno a casa che subiranno gravi perdite e dovranno trovare i modi per accettarlo. Persone che si dovranno aspettare sempre che qualcuno non torni, altre che dovranno affrontare il fatto che ai loro cari succedano cose tremende. Sono sicura che a Canfield questo sia ciò che molte donne nere vivono quotidianamente. In qualsiasi momento potrebbero ricevere una telefonata che le avverte che qualcuno è stato ferito da un’arma da fuoco, magari qualcuno che conoscono. L’aspetto spaventoso del fatto che qualcuno combatte, non è tanto il fatto che ci siano i guerrieri, quanto che ci sia anche chi rimane a casa.

Raul: Rispetto al movimento anarchico che esalta romanticamente la rivolta e il conflitto, vale la pena sottolineare anche gli aspetti più oscuri della faccenda. Io riesco a sognare e ad assemblare nella mia testa secondo piani strategici una rivoluzione sociale – o comunque un momento in cui il mondo si stravolge in modi che desidero – che non somiglia a scenari del genere. Ma in tutti quei momenti in cui ci siamo ritrovati in strada e tutto esplodeva, o giravano pistole a tutto spiano, ho anche pensato che forse quella era la forma con cui la rivoluzione si presenterà sempre. Rispetto a tutti quei momenti che hai sempre sognato, in cui il mondo cambia e diventa quella cosa in cui vale la pena vivere, per te come per la gente attorno a te, la realtà sembra essere un piano che dobbiamo necessariamente attraversare – a cui partecipare se vogliamo che le cose vadano per il verso che desideriamo. Se vogliamo davvero che il mondo cambi dobbiamo anche adattarci al fatto forse c’è comunque una realtà con cui dobbiamo avere a che fare ed imparare ad far fronte. E magari sarebbe più opportuno non romanticizzarla. Se abbiamo capito a sufficienza, non dovremmo avere quel feticismo per il solo scontro, ma forse potremmo avere una cognizione superiore di cosa sia realmente ciò che si trova ancora tra noi e il mondo che desideriamo. Purtroppo.

Pistole e possibilità

Vera: Dobbiamo fermarci un attimo? Temo che la discussione sia pesantuccia.

Masie: Quindi… se la gente ha le pistole, potrebbero spararti.

[risate]

Luca: Abbiamo appurato che è vero.

Emma: E potrebbe cadere un amico tuo, non solo gli sconosciuti. E potrebbe risultare una perdita profonda nella tua vita.

Raul: Non dovremmo feticizzare tale livello di scontro, ma non dovremmo neanche…

Vera: Evitarlo.

Raul: Esatto, non possiamo evitarlo. Non possiamo neanche avere il controllo di circostanze simili. Avvengono e basta. Potremmo evidenziare i vantaggi di non girare armati. Ma la gente lo farà comunque. Cosa faremo?

Luca: Eh, la faccenda del ruolo delle armi. Non è facile sapere esattamente cosa dire. Ma tutti sappiamo che han cambiato il corso degli eventi. Si è creato un ambiente profondamente inospitale, in cui le forze dell’ordine non sarebbero mai entrate a causa delle armi.

Masie: A volte la cosa era un po’ casuale e non era poi così tremendo. Tipo bastava sparare un po’ di caricatori in aria che la polizia spariva. Anche gli elicotteri.

Cameron: E la notte…è stata dura sopportare il fatto che il nostro amico sia stato colpito, ma nonostante questo, tutto era come al solito, ragazzini con le pistole che fumavano l’erba a cazzeggiare in giro.

Luca: Esatto, era proprio così. Erano tutti in giro.

Cameron: Qualcuno di noi ci ha anche parlato, no?

Raul: La notte del verdetto il fatto che qualcuno abbia iniziato a sparare alla polizia è stata la miccia che ha innescato azioni più collettiva. Qualcuno ha sparato dall’assembramento, e la folla si è spostata verso gli spari.

Vera: Intenzionalmente.

Raul: E quando si è spostata verso gli spari, coscientemente, la gente ha iniziato a spaccare vetri, a scontrarsi con la polizia…

Luca: Il momento che ha rotto la tensione… tutti erano in strada nella sera del verdetto e per un quarto d’ora dopo l’esito, tutti son rimasti impalati, immobili… non si muoveva una foglia, eravamo tutti là, fermi. Poi, ci son stati letteralmente sei spari ed è iniziato il delirio.

Vera: Qualcuno avrà detto “Ok, diamo il via alle danze”. E l’ha fatto.

Masie: La cui cosa non significa che devi sparare per far scoppiare il merdone.

Emma: Giusto. Senza pistole in giro, siamo noi contro loro, il nemico è chiaro. So che anche chi ha le pistole è ad ogni modo sempre contro lo stesso nemico, ma è un po’ come dire “Ok, ora ho una pistola, ora anche io ho potere”. E in effetti anche noi dovremmo avere potere, non lasciarlo solo alla polizia, ma ancora una volta, questa è il dato di fatto. Un po’ ti frena.

Masie: E può… in questo tipo di situazione, quando si possono fare diverse cose e ci sono attacchi diffusi, se qualcuno inizia a sparare la situazione può facilmente diventare un “Boh, ora ce ne scappiamo tutti a casa, la notte è finita”. Che poi se non c’è più niente da fare, se la notte è davvero finita, in effetti è un buon momento per sparare. Ma altre volte suona come un “Avete preso una decisione imponendola a tutti”.

Emma: Io davvero immagino che il mondo di cui sogniamo, e questi momenti di disordine e di apertura di possibilità, possa implicare la violenza. Tocca quindi riportarla su piano ordinario, essere preparati emotivamente, scansandone la glorificazione, il romanticismo. C’è anche qualcos’altro però nella dicotomia – o in ciò che io sento essere una dicotomia – tra l’essere spettatore e l’agire con decisione. I riot sono importanti, ma come si alimenta una rivolta, come si fa a non limitarla ad una scontro con la polizia, ma ad indirizzarla contro le nostre condizioni di vita? Eh, vogliamo la rivoluzione sociale.
E in qualche modo bisogna che le persone che approvano e che non vogliono attivamente scendere in campo abbiano comunque spazio o qualcosa da fare. Se qualcuno inizia a sparare e cosa può fare la gente che magari si spaventa e si allontana? Se non vuoi stare in mezzo agli scontri con la polizia, cosa puoi fare per dare comunque un contributo? Cioè, noi vogliamo trasformare tutto. Ogni relazione, tutto. Quindi il da farsi eccede la dimensione degli scontri – anche se ovviamente sono i momenti di scontro che aprono le possibilità a ciò che desideriamo. Di certo è brutale… ma ne vale la pena. Cioè, se per te ne vale la pena devi arrivare a questo punto.

Louise: Interessante il numero di armi da fuoco che circolavano… le persone con le pistole in un certo senso hanno fatto in modo che la sinistra e le organizzazioni potessero infamare tutti coloro che la notte stavano in strada, che potessero dire “Cari poliziotti ecco, prendete ‘sti matti, devono essere spostati se rimangono ancora in giro. Voglio sfasciare tutto e sparare a tutti, quindi prendeteli”. Tutto ciò ha davvero fatto in modo che la gente dicesse “Ci sono i non-violenti e ci sono quegli spostati, i violenti”. E tutto ciò è molto funzionale a loro, offrono il capro espiatorio perfetto. Cioè, di sicuro nella notte del coprifuoco questo discorso per loro è stato davvero utile. “Abbiamo detto a tutti di tornare a casa e son rimasti soltanto i fuori di testa di cui non abbiamo il controllo”.

Cameron: Ed è stato un ottimo punto a favore per la polizia, dato che da allora han potuto dire “Ora facciamo il cazzo che vogliamo”. Laddove prima, in presenza di manifestanti pacifici, non potevano. Ed è qui che hanno fatto gli arresti di massa.

Momenti di gioia

Emma: Dovremmo raccontare qualche momento esaltante.

Luca: Sì!!!

Vera: Una dei miei episodi preferiti è stato quella notte… quella notte quando eravamo tutti a Canfield [lunedì 18 agosto] e c’era quel ristorante…

Luca: Red’s?

Cameron: Quella griglieria?

Vera: Sì, Red’s, penso sia Red’s… e la polizia non stava arrivando a Canfield, quindi la gente era come se stesse giocando nell’area tra il concentramento vero e proprio e i cordoni di polizia. E ‘sto ragazzino appizza una molotov e la tira in mezzo alla strada. E tutti che gli fanno “Ouhhh! Eddai! Non sprecarle! Ma perché cazzo l’hai tirata qua?”

[risate]

Vera: Allora ne accende un’altra e versa un casino di benzina dentro questo Red’s e tutti che gli dicevano “Ok, questa la sfruttiamo bene!” Il ragazzino prende la rincorsa, la tira e incendia tutto… e tutti a brindare.

Cameron: E quando il fuoco inizia a sprigionarsi cedo qualcuno che corre verso le fiamme con un recipiente di qualcosa… mi son detto “Maddai, mo’ lo spegne”. Invece era altra benzina…

[risate]

Cameron: La versa tutt’attorno e non era esattamente quello che mi sarei aspettato. Di solito quando uno corre verso un incendio è perché lo vuole spegnere.

Luca: Tornando al ruolo dei media, quello di non far apparire le persone che c’erano… le ragazze. Tutte le ragazze in prima fila. Che non arretravano né tornavano a casa.

Emma: Anche quando quegli altri6 dicevano “Fate tornare le donne a casa”.

Vera: E molte donne li mandavano affanculo.

Masie: Lo dico, io mi son proprio goduta l’atmosfera festaiola in strada, mi è piaciuto fumare erba con i ragazzi…

[risate]

Luca: Io mi sono fatto una serata tipo festa in strada [giovedì 14 agosto], alla fine ero fuso e questo ha trasformato tutto… continuavo a dirmi “Tutto ciò è fantastico”.

[risate]

Raul: Eh, mi martellavi di messaggi “Devi assolutamente venire! È incredibile!”. Ho scritto anch’io un sms a Cameron chiedendogli se dovessi andare sul serio e lui mi fa “Luca è molto fuso”.

Cameron: Figo, eh… ma forse non necessariamente ci si doveva fiondare là.

Luca: La cosa ha reso il tutto più surreale e molto più bella. Ero bello rimbecillito ma me la stavo godendo… Beh, in un certo senso mi ha dato un attimo di respiro in quella settimana in cui siamo stati tutti super coinvolti, una settimana in cui succedeva di tutto di continuo e mi dicevo “ma va’, è tutto vero, mi sto vivendo davvero tutto…”

Emma: Bellissimo come il QuikTrip sia diventato un monumento. Tutti si facevano le foto là, e le facevano agli altri.

Raul: E facevano graffiti e feste…

Vera: … grigliando hotdog…

Luca: E tutti i ragazzini. C’erano sempre bambini e donne incinte… soprattutto al mattino, ma anche la notte tardi.

Masie: Ricordo che un’amica raccontava che sua figlia, la seconda notte dopo che era stato colpito Vonderrit Myers [il 9 ottobre], era lì che girava, facendo tutte le cose da bambino piccolo. Era là che girava con altri ragazzini della sua età, e la nostra amica chiedeva alle altre mamme “Non è che è da irresponsabili lasciare qua i bambini? Dato che il tutto potrebbe diventare pericoloso”. E le mamme le dicevano “Sarebbe da irresponsabili non tenerli qui. Devono esserci, dobbiamo insegnare loro cosa è successo”. Ho pensato che fosse magnifico, potente.

Cameron: Ci son stati psicoterapeuti infantili che ai telegiornali dicevano “Non portate i vostri figli in strada. Non hanno ancora gli schemi per capire la realtà”.

Luca: Che è la ragione invece per portarli.

Vera: Sono stata alla veglia per Vonderrit, e non c’erano molti compagni, ma c’era una donna con i suoi cinque figli, e uno stronzo in macchina fa “un altro delinquente che diventa un martire”, sproloquiando porcherie razziste. I presenti hanno attacato la macchina, dandogli calci e tirando robe e il tipo è fuggito. E la donna fa “Per i miei figli è stato importante vedere una cosa del genere. Vedere che la gente reagisce. Che non accetta ‘ste cose”.

Masie: E la gente che faceva giri in macchina.

Emma: Cristo, ce n’erano con su venti tipi! Certe macchine facevano fatica ad andare avanti.

[risate]

Vera: Sì c’erano un casino di macchine che andavano su e giù West Florissant.

Emma: È stato molto divertente il fatto che magari stavi seduto in macchina a mangiare e ti dicevi “Beh, ora ce ne andiamo a casa”, ma poi restavi e nel momento in cui decidevi davvero di andare poi succedeva qualcosa e a quel punto stavi. E questo per mille volte lungo una notte sola.

Raul: Lo slancio collettivo, la rabbia, la presa bene quando la gente ha rovesciato una volante. Ci son volute un tot di persone, bisognava dare tutto. Per ogni centimetro di macchina c’era qualcuno che ci dava dentro di brutto. Una cosa bellissima. E quanto fossero tutti felicissimi quando finalmente s’è capovolta.

Vera: Anche quella volante incendiata con le esplosioni dal cofano. Molto bello.

Masie: Eh, mi ricordo la prima notte di riot. Mi dicevo “Cazzo, c’è troppa gente sbardata al QuikTrip”. E dopo un’ora vedere che era stato incendiato, “Beh, un bel modo di fare…non ci saranno tracce”.

[risate]

Masie: Mi ricordo la prima notte che tornavamo a casa tutti assieme euforici e ci dicevamo “Ma davvero è successo tutto?”

Emma: Dobbiamo dire ancora qualcosa… o lasciamo ‘sto gran finale?

Vera: Lasciamo il gran finale.

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Infine, vi lasciamo il testo in formato PDF: riflessioni-sulla-sulla-rivolta-di-ferguson.pdf e una breve cronologia dal settimanale Internazionale, utile per orientarsi: cronologia.pdf.

Note

1 Il 14 luglio 2013 a St. Louis si tenne una manifestazione in occasione dell’assoluzione dell’agente di polizia George Zimmerman dall’accusa dell’omicidio del diciassettenne Trayvon Martin. La manifestazione portò ad un corteo di 800 persone che sfilò in centro a St. Louis. Le barriere erette dalla polizia furono spostate e oltrepassate, furono vergate scritte sui bus del trasporto cittadino, furono rovesciate masserizie sulla strada. La manifestazione si trasformò velocemente nel più rilevante corteo contro la polizia della storia recente di St. Louis. Questo corteo fu ai primi posti della classifica fino a Ferguson, che invece stravinse il campionato. Un breve articolo sul corteo, intitolato ”The storming of the bastille” si può trovare sul sito dialectical-delinquents.com.

2 A St. Louis, sulla Minnesota Avenue, la polizia locale ha sparato a LeDarius Williams, uccidendolo.

3 Il complesso di palazzine appena fuori West Florissant dove è stato ucciso Mike Brown, sito originario della presenza più combattiva che ha poi portato alla rivolta.

4 Sam’s Meat Market and Liquor, negozio sulla West Florissant Avenue ripetutamente saccheggiato durante la rivolta.

5 Le due strade principali dove è esplosa la rivolta a Ferguson son distanti diverse miglia tra loro, ma si chiamano entrambe Florissant. West Florissant è la strada principale vicino a Canfield Apartments, complesso dove è stato ucciso Mike Brown, e luogo dove è andato a fuoco il famoso QuikTrip. South Florissant è invece più sviluppato, si trova in una zona più composita a livello razziale; qui c’è il Ferguson Police Department e qui sono esplosi i disordini del 24 novembre, subito dopo la notizia dell’assoluzione emanata dal Grand Jury.

6 Nation of Islam e qualche membro del New Black Panther Party si son presi la briga di lanciare questo tipo di appelli.