Carta canta

 

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Non è certo di nostro gradimento fare l’esegesi delle carte tribunalizie, eppure è sempre necessario cercare di districare la matassa discorsiva con i suoi vari livelli di nodi attraverso cui si costruiscono le inchieste. Come già col caso della  Sorveglianza Speciale a Paolo, Fabio, Andrea e Toshi comminata il gennaio scorso, anche con questi dodici divieti di dimora tardo primaverili si ha a che fare con un impianto accusatorio che, pur stavolta nei limiti di un lavoro piuttosto raffazzonato, offre una piccola lezione di meta-diritto o di ciò che al diritto è sotteso.

Tralasciando la descrizione di come sarebbe andata la contestazione quel 24 ottobre dentro la sede della Ladisa S.p.A. con gli inerenti capi di imputazione di violenza privata per un presunto spintonamento e d’imbrattamento per due sacchi di letame,  è la seconda parte sulle esigenze cautelari e sulla scelta della specifica misura a essere sicuramente la più interessante.

Ecco, infatti, come esordisce il Gip Agostino Pasquariello per motivare la decisione presa rispetto ai dodici compagni:

Sono ravvisabili le esigenze cautelari di cui alla lettera C) dell’art. 274 c.p.p. È stato accertato, infatti, che i dimostranti appartengono all’ala radicale dell’area anarchica locale. Trattasi in particolare di soggetti i quali si pongono in atteggiamento antagonista nei confronti di Enti e Istituzioni pubbliche, manifestando un aperto contrasto con le scelte di politica governativa o di amministrazione locale che ritengono di non condividere. Nel caso in esame la protesta riguarda in particolare le politiche di immigrazione ed è stata indirizzata nei confronti di soggetti che, pur non avendo nessun ruolo nella formazione dell’indirizzo politico-amministrativo, svolgono tuttavia attività di supporto agli Enti preposti alla gestione del fenomeno migratorio”.

Il dottore del tribunale inizia con un assioma, ricordando che le esigenze cautelari sono ritenute opportune perché i dimostranti sono accertati come anarchici e quindi in ostilità nei confronti delle scelte di politica governativa.

Non che questo crei una qualche sorta di stupore, anzi. Sappiamo bene che il diritto non è una struttura rigida, ciò che lo sostiene è quell’insieme di norme che impongono un certo vivere comune.  Al di là delle condotte criminose cristalizzate in capi d’accusa, è l’ostilità contro questo substrato normativo a essere molto spesso presa in esame o perlomeno a svolgere il ruolo imprescindibile di cornice interpretativa a tutte le inchieste. Lo si vedeva bene nel faldone di motivazioni per la Sorveglianza Speciale ai quattro: sebbene fosse scritto chiaro e tondo che la maggior parte dei reati che compongono la biografia deviante dei compagni non siano poi così gravi, i giudici hanno intravisto una progettualità e la teorizzazione di un metodo di intervento, dotato di «potenzialità estensiva e dirompente» in un periodo di crescente povertà, che vorrebbe minare in primis proprio quel sistema di norme basato sullo sfruttamento sempre più pervasivo di una certa fascia di popolazione.

Tornando ora alle carte di quest’ultima inchiesta, a onor del vero, visto che le motivazioni partono da una descrizione sociologica della suddetta soggettività anarchica e non dai reati specifici, bisogna precisare al signor Pasquariello che la questione non è la condivisione di alcune specifiche scelte governative ma quella dell’inimicizia verso tutte le forme di governo. Complementariamente a ciò rientra anche il cercare di contrastare tutti i soggetti, soprattutto quando hanno una responsabilità materiale come Ladisa dentro ai Cie, che costituiscono dei tasselli nella gestione dello sfruttamento e della reclusione.

Il Gip tuttavia, pur non riuscendo a cogliere in maniera precisa ciò che spinge gli imputati, offre comunque una visione abbastanza chiara del diritto neoliberale di cui è portatore: al di là del fatto che certi enti non abbiano un ruolo nella formazione de “l’indirizzo politico amministrativo”, lo Stato ha il dovere di difenderli parimenti perché sono il supporto imprescindibile attraverso il quale la gestione  della cosa pubblica funziona. Come altrimenti si reggerebbero i rapporti di dominazione se non fossero accompagnati da strutture economiche anche piccole ed esternalizzate rispetto a quelle prettamente amministrative?

A dimostrazione di ciò, sfogliando le pagine, si scopre che il Pm Rinaudo ha chiesto anche l’interruzione di pubblico servizio perché Ladisa, oltre che ai Cie, fornisce i pasti a scuole e caserme. Il Gip non ha ritenuto ci fossero gli elementi per sostenere questo punto specifico ma non è detto che ciò che è uscito dalla porta del retro in sede cautelare, non rientri dal portone durante il processo.

Andando avanti, ecco come continua il nostro funzionario del tribunale:

“Le loro azioni risultano essere sorrette da convinzioni ideologiche talmente radicate da giustificare, nella loro ottica, la perpetrazione – non appena se ne presenterà l’occasione – di condotte similari a quelle del presente provvedimento. Dagli atti emergono, infatti, tratti di personalità che denotano come gli indagati non solo non hanno nessuna consapevolezza della gravità delle loro azioni e dei danni arrecati, ma ritengono i beni giuridici lesi dalle loro azioni chiaramente subvalenti rispetto alle motivazioni che sorregono la protesta”.

Del resto non ci si può certo aspettare che il togato in questione abbia remore nell’esercitare una certa incoerenza logica quando scrive di ideologia contraddicendosi la frase dopo.  Prima afferma che le condotte sono fortemente sorrette da convinzioni ideologiche radicate, per poi subito dopo smentirsi affermando che non vi è nessuna consapevolezza riguardo alla gravità delle azioni. Che si accordi con se stesso!

Sarebbe facile rispedire l’epiteto poco gradito di ideologici al mittente, ma noi siamo più pragmatici e non partiamo dal concetto di ideologia, quanto piuttosto dalla lotta ai rapporti di dominazione che vediamo ogni giorno sotto ai nostri occhi, che attraversano il mondo passando anche per la repressione giuridica. Certo, il diritto non esaurisce l’esplicarsi delle forme di potere sugli individui, ma è uno strumento fondamentale attraverso cui si passano al vaglio le condotte delle persone affinché il sordido reale continui a riprodursi secondo le esigenze economiche. A questo proposito – ci venga perdonato l’infelice paragone che ha solo l’intenzione di fornire un esempio della gerarchia degli interessi in gioco e non di reclamare una qualche sorta di giustizia per i putridi pasti serviti dentro il Cie – come altrimenti spiegare che non v’è stata nessuna inchiesta rispetto alle larve trovate nel cibo e fotografate dai reclusi, ma una pedante sulla contestazione che ne è seguita? A qualcuno questo sì verrebbe da definirlo ideologico, noi sappiamo invece che sta nella funzionalità economica del diritto avere delle priorità criminose da perseguire. Detto in altri termini e allargando un poco lo sguardo a partire da questo esempio specifico, in un’epoca in cui la fortezza Europa è assediata da enormi flussi migratori e che ha tutta l’urgenza di trovare una maniera per razionalizzarli, e così incrementare i processi di sfruttamento interni, i meccanismi di controllo e deterrenza sembrano tendere ad un funzionamento sempre più efficace. La priorità sarà avere sempre disponibili concorrenti alle gare d’appalto per la gestione dei vari servizi per l’esercizio del Cie, come appunto una ditta che serve pasti, e poi togliere di mezzo chi gli si oppone all’interno come all’esterno dei Centri.

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Terminiamo ora con le ultime battute di queste carte e la richiesta delle misure cautelari.  Il solito Rinaudo aveva chiesto per i reati evidenziati – che un tempo avrebbero portato plausibilmente solo a una denuncia a piede libero – gli arresti domiciliari per chi tra i dodici è già passato in giudicato almeno una volta, l’obbligo di dimora nel comune di Torino e le firme quotidiane per gli altri, sette dei quali peraltro già gravati dall’obbligo di presentazione quotidiana dalla polizia. Il Gip Pasquariello ha pensato di fare un pacchetto unico e disporre per tutti il divieto di dimora dal comune in cui tutti da anni  vivono, unico provvedimento – a sua detta – in grado di allontanare la loro ostinazione a lottare dai luoghi di manifestazione del dissenso.

Ecco infine le alquanto significative parole spese per gli imputati incensurati:

“lo stato di incensuratezza è in sé irrilevante ai fini della sussistenza di esigenze cautelari anche nei loro confronti. È noto, infatti, che l’incensuratezza non dimostra automaticamente l’assenza di pericolosità sociale del soggetto, potendo questa essere desunta anche dai comportamenti o dagli atti concreti dell’agente, oltreché dalle specifiche modalità e circostanze del fatto-reato, e soprattutto potendo il giudizio basarsi sulla valutazione della specifica personalità dell’indagato”.

Insomma, al di là dell’infrazione o meno del sistema di leggi cui si accennava sopra, pare che il giudizio sui compagni si basi su una sorta di spessore ontologico: vieni punito per quello che fai ma la tua condizione giuridica in soldoni deriva largamente da ciò che sei, dall’identità criminosa forse più che dalla sua corrispondente condotta. È chiaro che questa categorizzazione serve a far sì che le procedure giudiziarie siano più veloci perché inserite in un quadro interpretativo dei contesti criminosi, il quale deve essere immediato per il giudice che firma misure cautelari e pene. Non ci è dato sapere quali siano questi “comportamenti e atti concreti” che, pur non costituendo infrazione legale, possono essere comunque passati al vaglio da pubblici ministeri e giudici, perché nelle carte non vengono menzionati esplicitamente. Ciò che sappiamo è che al momento questo è più che sufficiente per stravolgere con estrema facilità le nostre vite. Uno stavolgimento che non siamo più disposti ad accettare!