Padalino e compagnia cantante

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L’udienza del Riesame dell’operazione del 29 novembre si è svolta stamane mentre fuori si teneva un presidio solidale. Sul marciapiede di fronte al tribunale si è accalcato un folto gruppo di persone: qualche occupante della casa dove vivono alcuni degli arrestati, solidali ancora più motivati dal fresco aggravamento delle misure, qualche partecipante dell’assemblea contro gli sfratti e alcuni compagni da fuori città. Attendendo la fine dell’udienza, non solo per scaldare i piedi intirizziti, i presidianti si sono mossi in un piccolo corteo attorno all’isolato del Palagiustizia. Srotolato uno striscione che recitava “Meglio senza salario che Ufficiale Giudiziario”, il gruppo si è fermato davanti all’Ufficio Notifiche Esecuzione e Protesti, il luogo da cui partono gli ordini di sfratto e i funzionari addetti all’esecuzione. Come se non bastasse gli ufficiali giudiziari sono anche responsabili di vari riconoscimenti all’interno delle indagini che stanno colpendo chi resiste agli sfratti, è il caso delle identificazioni dell’ufficiale Giuseppe D’Angella in occasione degli ultimi arresti.

Dei tredici colpiti, erano in aula i sei a cui la polizia è riuscita a notificare l’aggravamento di misura rispetto al divieto di dimora a Torino, alcuni scortati direttamente dal Lorusso e Cutugno, mentre qualcuno arrivato dalla propria casa trasformata in luogo di detenzione. Erano presenti anche Silvia, Stefano e Daniele, usciti da poco dal carcere dove erano costretti sin dal primo giorno dell’ordinanza e ora agli arresti domiciliari; Antonio, invece, non ha ricevuto l’autorizzazione a presenziare perché la presidente di commissione del riesame Domaneschi non ha autorizzato la traduzione all’udienza. Si è appellata ad alcune sentenze di Cassazione che sanciscono che la richiesta, per chi come Antonio era già detenuto da giorni, doveva essere fatta nello stesso momento in cui veniva richiesto il Riesame stesso. Cavilli e procedure speciali, odiose, utilizzate in maniera eccezionale da un’odiosissima e già nota giudice che ha impedito così ai compagni presenti in aula di salutare un compagno da tempo rinchiuso.

La giornata tribunalizia si è svolta di fatto con la lettura di un comunicato da parte degli incriminati che sostiene la volontà di continuare a vivere e a lottare in questa città contro qualsiasi dettame volto all’allontanamento, l’arringa dei difensori e il farfugliamento dell’accusa, ovvero del fulgido Pm Andrea Padalino.

Un’argomentazione piuttosto scarna e mal condita la sua, basata non sulla descrizione del fatto specifico, ovvero la resistenza a uno sfratto il 2 maggio scorso in Barriera di Milano, ma sulla lotta in generale contro gli sfratti. Il 2 maggio – sostiene il Pm con arguzia tutta sua – non è un episodio sporadico e benché non ci sia molto da dire su quella mattinata bisogna tenere a mente l’ostinazione degli imputati a far parte delle lotte.

Bene, siamo fin qui d’accordo con lui. Del resto non ci stupiamo delle possibilità del diritto che, meglio assortite delle strade di Dio, permettono a un Pm all’udienza di Riesame per un fatto specifico di sostenere la sua accusa annoverando tutt’altro: il quartiere, episodi di resistenza precedenti e successivi, attitudine di compagni e compagne. Viene da chiedersi se Padalino, con tanta acutezza da non poterla contenere dentro alla toga, non sia quanto mai nostalgico di inchieste all’odor di associazionismo.

Di che stupirsi poi, si fa pourparler, tutto fa brodo e Padalino se lo mangia tutto.

Che stia attento alle congestioni.