Un caldo sabato tra grano e cemento

img-20170625-wa0000.jpg

La giornata inizia nel caldo torrido del tardo pomeriggio torinese sul pratone davanti ai blocchi B e C del carcere delle Vallette. Il tempo di montare l’impianto e salutare i detenuti con qualche slogan e petardone e da dentro molti reclusi fanno subito sentire la propria voce unendosi all’urlo: «Libertà».

Dal microfono si informano tutti dello sciopero della fame iniziato mercoledì da Antonio contro l’ostruzionismo del Gip Busato, si legge la sua lettera sulle condizioni di detenzione nel blocco C e quelle dei compagni che hanno provato a resistere al prelievo del Dna. Alcuni petardoni risultano particolarmente graditi ai detenuti perchè rimbombano all’interno del perimetro del carcere, con i poliziotti schierati lungo le recinzioni che si agitano e cercano inutilmente di scovare chi li ha lanciati, senza scorgere però nessuno grazie al riparo offerto dal grano seminato in tutto il pratone. Con altrettanta attenzione, a giudicare dalle urla che arrivano dalle celle, vengono ascoltati i racconti di quanto accade tra le strade di Torino: del pestaggio di Ibrahima da parte dei poliziotti in Porta Palazzo, dei fatti di piazza Santa Giulia e delle sempre più frequenti retate che affliggono in particolar modo alcuni quartieri. Si cercano di condividere con chi è recluso sia le difficoltà di far fronte alla violenza della polizia, di resistere e portare avanti delle lotte incisive, tanto dentro quanto fuori dal carcere, sia la necessità di provarci comunque perchè altre possibiltà, a meno di tener la testa china e subire in silenzio, non ci sono. Si informano quindi i detenuti che terminato il presidio è in programma un corteo in Barriera di Milano, perchè la lotta contro il carcere non può che cominciare dalle strade dei quartieri da cui proviene, e in cui viene prelevata, la maggior parte di coloro che andranno poi a infoltire la popolazione detenuta.

gentaaa.jpg

Ai giardini di via Montanaro i manifestanti arrivano alla spicciolata, man mano che si affievoliscono il caldo e la luce del giorno. La scelta della Questura torinese, presente solo con una decina di agenti in borghese, è evidente: visti i contenuti del corteo e i fatti degli ultimi tempi meglio che i blindati della Celere non si facciano vedere e intervengano solo in caso di assoluta necessità. Spiegate al microfono le ragioni della manifestazione, il corteo parte come molte altre volte lungo corso Giulio Cesare e giunto all’incrocio con via Palestrina devia però verso corso Vercelli. Gli uomini della polizia politica restano tagliati fuori e, colti alla sprovvista, non sanno cosa fare e non se la sentono da soli di seguire la manifestazione lungo questa via laterale. Nel frattempo cori, interventi al microfono e scritte sulle vetrine di una banca esortano i passanti a non girarsi dall’altra parte davanti ai controlli della polizia, a mettersi in mezzo e non lasciare nessuno da solo. Le persone sedute sulle panchine e quelle che stazionano fuori dai bar lungo il percorso sembrano ascoltar con maggior attenzione del solito le parole che escono dalle casse dell’impianto. Non manca anche qualche applauso e grido d’approvazione. Il corteo prosegue con un’altra deviazione per tornare su corso Giulio Cesare, i pannelli del cantiere di un centro commerciale in costruzione vengono utilizzati come tatzebao e si imbocca quindi corso Palermo dove si incontra anche qualche faccia conosciuta durante i picchetti antisfratto. Giusto il tempo di qualche scritta e intervento al microfono e il corteo raggiunge i giardini di via Alimonda, dove la manifestazione si conclude con un murale che riassume le ragioni delle iniziative di queso sabato: Resistere alla violenza della Polizia, Giada, Fran, Camille, Antonio, Fabiola e Antonio liberi.

Durante la realizzazione della scritta tra bambini che giocano nel parchetto e chiedono insistentemente di poter usare le bombolette e istruzioni su come farlo, qualcuno ci informa che i blindati della Celere che non abbiamo incontrato per tutta la durata del corteo sono stati avvistati in largo Brescia davanti, manco a dirlo,  al nuovo palazzo della Lavazza.