Contro l’abitudine

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Ecco qua una lettera scritta da Antonio, arrivata una manciata di giorni fa dal carcere, prima che il Tribunale del Riesame modificasse le misure.

 

“Vallette, 05 agosto 2017


Ed eccoci di nuovo qui, nelle celle di un carcere.

Siamo accusati nuovamente di esserci messi “in mezzo”, di aver tentato d’impedire l’ennesimo rastrellamento d’immigrati nel quartiere in cui viviamo.

Bloccare una retata è un obiettivo molto arduo e le forze dell’ordine, ormai, si presentano in tenuta anti-sommossa, a cavallo addirittura, come successo a Milano, e svolgono una vera e propria operazione militare.

Solidarizzare con in fermati e rendere “visibile” il rastrellamento sono, ahimè, il magro risultato che si riesce ad ottenere.

Può sicuramente sembrare strano sentir parlare di “visibilizzazione” di un evento enorme come una retata della polizia nel pieno centro di un quartiere, un contesto in cui volanti, camionette, celere con caschi e manganelli non passano certo inosservati.

Ed è proprio questo il punto. In questi tempi bui, i militari armati fino ai denti che passeggiano nelle nostre strade e i rastrellamenti su base etnica che tanto hanno fatto inorridire la democrazia del dopo guerra, sono le consuetudini della vita di tutti i giorni. La normalità, si sa, è fatta di barbarie.

È quella stessa normalità che aleggiava nei cieli dell’Europa del passato, quel mondo degli aguzzini “che eseguivano solo gli ordini” e delle soluzioni tecniche. Le piazze sono le stesse dove l’indifferenza dei passanti di allora fa eco alle finestre chiuse dei palazzi di oggi.

La caccia all’immigrato non serve solo a mantenere sotto la morsa una porzione della popolazione, essa è un aspetto della più generale guerra ai poveri di cui la polizia è il braccio armato.

Inoltre, la securizzazione dell’emigrazione, che sta raggiungendo negli ultimi anni vette inimmaginabili, ha lo scopo di individuare nell’immigrato, attraverso la narrazione politica e mediatica, il falso colpevole della miseria in cui lo stato ci ha impantanato.

È proprio nei quartieri periferici delle città, dove le famiglie sotto sfratto vengono sbattute fuori casa e dove si arranca in lavori iper-sfruttati, che serpeggia l’incubo della guerra tra gli esclusi.

La grande truffa è servita e troppi ci sono cascati.

Impedire che tutto ciò avvenga, da parte di chi ha deciso di non vivere da miserabile, è il motivo per cui si è costantemente incarcerati e allontanate, il motivo per cui si viene pestate e umiliati nelle questure.

Nessun problema tuttavia; è lo stesso motivo per cui resistiamo digrignando i denti e ci organizziamo contro la brutalità che ci circonda.

Un detenuto della mia sezione mi ha detto: “A fare la guerra allo Stato si perde sempre”, certo, sono d’accordo, si perde tutto, proprio tutto, ma non la dignità.

Tutti e tutte libere,


Antonio”