Parole di straforo

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Da qualche giorno nel carcere di Gorizia tutta la posta in entrata e in uscita, prima di arrivare nelle mani di Greg e dei suoi destinatari, è letta da un secondino. La Procura ha infatti richiesto un provvedimento di censura convalidato dal Gip dell’inchiesta il quale, non sazio di firmare, gli ha nuovamente negato negli scorsi giorni gli arresti domiciliari sostenendo che i possibili ospitanti non erano idonei perché genitori di una compagna.

Nonostante la censura una lettera giunta da poco è riuscita a serpeggiare tra le maglie della burocrazia penitenziaria anticipando l’emissione del provvedimento. Oltre a un modo di pensarsi e muoversi davanti alla repressione, Greg ci descrive una serie di accadimenti che in qualche modo si inseriscono sull’onda lunga delle proteste, seppur in buona parte svincolate tra di loro, che questa estate hanno coinvolto, da Pisa a Sassari, le carceri della penisola.

Riportiamo qui di seguito il testo

Cella 1.2 della c.c. Gorizia, 27 agosto 2017

“Voglio fare di più. Non si tratta solo di resistere. Voglio tornare ad immaginare mondi nuovi. Voglio riappropriarmi di un’originalità viva, radicalmente altra. Voglio capire che sottrarmi alla cattura non significa solo non farmi arrestare ma anche non farmi prendere, in tutti i sensi. Non farmi concentrare nei campi del discorso nemico, non lasciare che siano altri a decidere il pugno di parole che mi serve per descrivere ciò che sono e ciò che voglio.”

 Ispirato dal dialogo II dell’opuscolo “Dialogo sui minimi sistemi”
Grazie agli esploratori e alle esploratrici disperse e coatte del regno di Ade

“Fra ciò che vorrei essere e ciò che sono adesso, c’è il mio percorso”

“Raccontami una storia con una bella fine!
– Non esiste!
– Una bella fine?
– Una fine” 

… a chi ha vissuto andarsene un essere amato raggiungere, su quattro zampe o su due gambe, le stelle.

Ciao a tutt*!
Dal regno delle galere che prima o poi faremo cadere scrivo per salutarvi e raccontarvi due cosine. Qua continuo a camminare, a viaggiare e a correre assieme a voi, dentro e fuori, scrivendoci o pensandoci, e dopo questo primo mese di carcerazione sto accelerando: cresce la concentrazione e la forza che ne deriva. Spero di non essere di lunghi pipponi (ma è già troppo tardi) perché piacciono di più guardandoci. Solo che voglio accennarvi due o tre cose sulle quali mi appoggio in questo periodo per rinforzarmi.
Sono stato per tre mesi sotto mandato di cattura e come sapete sono stato arrestato in Italia. 
Sento la repressione come qualsiasi atto che mi impedisce di decidere, essere, fare, desiderare, consentire, agire. In questi mesi mi sento dunque concentrato sul non scivolare troppo verso l’autorepressione, che per me è l’ultimazione del progetto repressivo, essenza del potere. Concentrarsi quindi ad interrogare e valutare, fra precauzioni e rischi, desideri e paranoie, vita e autorepressione. Questo periodo è stato di grande intensità per cercare di trasformare una situazione di merda in occasioni, belle e forti, di continuare.

“Cospirare è essere, respirare insieme”. Ho continuato a nutrirmi della solidarietà degli incontri e della forza dei pensieri, di un libro come “in incognito, esperienze che sfidano l’identificazione” o delle parole di quell’altro companero che “ha scelto” di prendere i sentieri della latitanza e le strade dell’autostop…verrà l’ora di scambiarsi le nostre esperienze intorno a carriole di birrette!
Insomma mo’ continuo a lavorare sulla mia “fortuna nella sfiga” (tanta solidarietà dentro e fuori), sul mettere da parte la speranza (si sa quando si entra non si sa quando si esce), sul cercare di non preoccuparmi in quanto inutile (mi prendo male due volte se la cosa per la quale mi preoccupo accade e una volta sola se non succede).

Odio l’espressione “finire dentro”. E’ un passaggio che può durare tanto tantissimo (per alcun* una vita…) e anche se un giorno è già troppo, qua non finisce la mia voglia di esserci. Cercare poi di “smaterializzare” la maggior parte delle cose e delle relazioni con il fuori (rifiuto dei colloqui, delle telefonate, sfasamento o assenza della posta), ma nutrire lo stesso la testa, il corpo…il cuore. Il cuore che batte, senza fermarsi mai, pompando l’amore e la rabbia che continuiamo a costruire, ad affinare ed affilare, che in me in questo periodo sento indistruttibili.

Zittire un secondino prepotente, fare scappare gli sbirri, vedere andare in fumo strutture di potere e col sorriso a tutta velocità mettersi in mezzo, mandarli a cagare, tirare lo sciacquone o compostare per bene. Anche prendersi il tempo, attent* a se stess* e agli/alle altr*, curarsi, divertirsi, gioire, astrarsi per capire meglio, imparare, parlarsi, guardarsi. Dentro come fuori.
La situazione qua dentro impedisce spesso di alzare la testa e di esplodere come vorremmo. La pazienza aiuta la concentrazione ma frena la passione, quest’ultima però non sparisce, si sposta solo verso la determinazione di volerla vivere ancora più intensamente. Anche se ogni tanto ci presentano il conto che siamo costretti a pagare, loro fanno una vita, povera e senza sapori, da spie e da servi dei servi.
Passato dunque questo primo periodo di richieste rigettate, bisogna pure raccontare qualcosa di interessante quando si scrive, come diceva quel caro guaglione unto d’olio dalla testa ai piedi. Per dieci giorni dal sedici al ventisei di agosto in questo carcere c’è stata una protesta dei detenuti che hanno aderito all’appello chiamato “La Satyagraha”, organizzato dai Radicali. Riunioni fra detenuti e ricerca di organizzazione collettiva hanno creato stimoli, confronti e agitazione rompendo un po’ la “pace sotto ricatto” caratterizzante questi luoghi. Ci sono stati dieci giorni di sciopero del carrello da parte di tutti i cinquantacinque detenuti (chi non poteva fare la spesa come me era aiutato dagli altri), fra i quali una quindicina sono stati in sciopero della fame per cinque giorni, da tre a cinque battiture di dieci minuti ciascuna al giorno. Momenti di presa bene si sono scontrati poi a sconforto e presa male quando, volendo far diventare più dura la protesta (accenno di sciopero totale e di sciopero dei lavoranti) da parte di alcuni l’unità si è rotta. Anche quando si è saputo che “solo” quattromila o cinquemila detenuti sui cinquantasettemila in Italia hanno aderito allo sciopero. C’era un po’ di speranza di strappare qualcosa al Ministro Orlando anche se non c’erano grosse attese. Neanche il Garante dei detenuti è venuto qua con il “suo obbligo” in caso di sciopero della fame collettiva. Aldilà del fatto che non voglio costruire dei percorsi di lotta legati alle istituzioni politiche, questa protesta (alla quale ho partecipato in solidarietà a* detenut*) dimostrava quanto siano necessarie delle basi solidissime di strumenti e rapporti per rompere l’isolamento e il distacco fra fuori e dentro. Noi da qui non abbiamo avuto nessun eco di questi dieci giorni tranne i pipponi su radio Radicale. Mi sono/ci siamo ritrovati impreparati e senza aver prima preparato gli strumenti che potevano, in tanti modi diversi, velocizzare e agevolare le comunicazioni. Ho fatto dei begli incontri, che potranno servire per le eventuali prossime volte, per pensare, creare, rinforzare gli strumenti, gli accordi e le idee per sostenere le proteste che una o più persone porteranno avanti.
Da qui io voglio continuare, a livelli diversi di questa protesta specifica, a creare curiosità e complicità reciproca con chi mi sta intorno, punto principale “dell’esserci”. Lotta e solidarietà esistono qui dentro anche se i margini di manovra sono molto ristretti dai ricatti e dai trasferimenti che sono molto usati qui.
Penso che le lotte contro l’esistente abbiano a che fare con il carcere che non è da interpretare mai come “più ci reprimono più siamo nel giusto”, ma come il fatto che il carcere e la repressione colpiscono i nostri sogni di libertà.
E i sogni sono fatti per essere realizzati.
Il viaggio è lungo, le strade esistono. Ci si vede domani.

Un abbraccio caloroso, anzi due, per te Paska e te Vespe, per i miei complic* torines* e per tutt* quell* che, a proprio modo, distruggono quest’esistente.