L’importante è partecipare

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Uso civico dei beni comuni. Questo il titolo tutt’altro che accattivante di un dibattito che si terrà lunedì 5 febbraio a Torino in via Verdi 9, e che con ogni probabilità non avrebbe attirato granché la nostra attenzione se la location non fosse quella della Cavallerizza Reale e le guest stars invitate all’evento non fossero la sindaca torinese Chiara Appendino e il suo collega partenopeo Luigi de Magistris. Al centro della discussione le regole da rispettare nell’utilizzo di spazi come quello di via Verdi 9 così che possano essere vissuti come beni comuni e, visti gli ospiti della serata, come un bene per i Comuni. Sotto questo punto di vista l’esperienza sicuramente più significativa è quella napoletana, e non a caso, domenica pomeriggio, è previsto un incontro in cui i cavallerizzi  chiederanno qualche consiglio utile sul che fare? ai loro colleghi partenopei. Il felice connubio tra Giggino ‘a manetta e una parte consistente dei centri sociali napoletani ha fatto scuola: il primo ha fornito garanzie contro lo sgombero e i secondi si sono adoperati per sostenere l’ex magistrato alle elezioni.

Nell’aiutare Giggino a far campagna elettorale, molti centri sociali napoletani hanno contribuito a diffondere l’immagine dell’Anomalia-Napoli città accogliente verso tutti, a dispetto del pugno di ferro mostrato dall’amministrazione partenopea contro venditori abusivi, rom e altre categorie inadatte a comparire in primo piano su una cartolina turistica. Fornire qualche voto e tentar di soffocare qualsiasi critica teorica e pratica è sicuramente un’attività già degna di nota, ma la loro riconoscenza per la Giunta non si è fermata al piano dell’immaginario e hanno quindi tentato di confrontarsi anche con quei problemi materiali che, specie in tempi come questi,  un Comune si trova a dover affrontare. Abbandonando il terreno ormai antiquato del conflitto, il carrozzone pro-de Magistris ha deciso di rinunciare a qualsiasi contrapposizione e lavorare in sinergia con il Comune, destinando una parte degli spazi da questo garantiti, alla fornitura di qualche servizio e prestazione – come l’accoglienza, la formazione linguistica, l’assistenza sanitaria e l’attività culturale – che oggi il pubblico non riesce più a fornire con l’ampiezza di un tempo. Nessuna velleità di farla finita con il capitalismo o per lo meno di contrastarne l’avanzata, ma l’idea di poter partecipare al suo sviluppo, fornendo un’assistenza tout-court ad alcune categorie svantaggiate di persone e contribuendo in questo modo a definire i contorni dell’esclusione sociale. Nessuna lotta, nessuna crepa nell’attività di chi governa. Solo partecipazione.

Vien da chiedersi se non sia stata proprio tutta questa partecipazione a solleticare quelli di Je so’ pazzo a intraprendere la via che porta ai Palazzi tirando su l’ennesimo, noioso carrozzone chiamato “Potere al Popolo”. L’importante è partecipare, dai beni comuni alle poltrone da spartirsi.  

Molto più indietro, come dicevamo, si trovano i loro colleghi torinesi. Un po’ perché incamminatisi più tardi lungo il sentiero battuto nel capoluogo campano, un po’ anche per vocazione e retroterra culturale. L’unica competenza che oggi la Cavallerizza potrebbe sbandierare, per svolgere un lavoro socialmente utile al Comune, è difatti la produzione artistica e culturale. Un ventaglio d’attività più ristretto rispetto a Napoli, ma in un settore comunque importante, visti i processi di riconversione produttiva in atto ormai da tempo sotto la Mole. E poi chissà che domani altre realtà politiche cittadine non si uniscano anche loro a questo percorso fornendo i loro servigi in altri ambiti, come ad esempio quello della seconda accoglienza, molto ambito di questi tempi.

Interessanti sotto questo aspetto le regole abitative che, non senza attriti  e forti contrasti interni, la Cavallerizza sta cercando di darsi nell’utilizzo civico dei suoi spazi: la possibilità di vivere negli appartamenti presenti al numero 9 di via Verdi dovrebbe diventare a tempo determinato e a rotazione. Un modello molto più in linea con le soluzioni abitative del “nuovo” Welfare, come i Social Housing, che non con le occupazioni tradizionali.

Quali che siano le regole d’ingaggio che gli abitanti e i fruitori della Cavallerizza riusciranno a darsi nel tempo, e indipendentemente dai settori di cui riusciranno ad occuparsi insieme ad altre realtà cittadine, affiancando le istituzioni nel loro lavoro, ci sembra che il termine etimologicamente più preciso per definire il loro ruolo, sia quello con cui normalmente si apostrofa chi presta la propria opera in favore dei governanti. Servi.

Novità dell’ultima ora, proprio mentre stavamo per pubblicare quest’articolo i sindaci di Torino e Napoli hanno dato buca e saranno sostituiti da qualche personaggio minore delle loro amministrazioni. Non ci è dato conoscere il motivo di questo cambio di programma. Sarà il timore di possibili contestazioni o lo scarso peso politico dei cavallerizzi, chissà. Sia come sia, non cambiano le brevi riflessioni che abbiamo approntato, né la definizione che chi gestisce lo stabile di via Verdi 9 si merita.