Corrispondenze da Kasserine

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(Attenzione! Per motivi tecnici l’incontro è stato spostato al giorno successivo, ovvero venerdì 2 marzo)

A gennaio 2018 una nuova finanziaria varata dal governo porta a un innalzamento dell’Iva, alla creazione di nuove tasse e di conseguenza ad un aumento sensibile del costo della vita.
La voce degli sfruttati non si fa attendere e le periferie si infiammano, seguite anche dai grandi centri urbani. Prima l’entroterra, poi Tunisi e la costa, come nel 2011, come durante la rivoluzione dei “gelsomini”.
Ogni anno da quel 14 gennaio 2011, le strade della Tunisia si infiammano, quasi a indicare una promessa disattesa, a evidenziare la correlazione impossibile tra progresso democratico e progresso sociale.

Nella divisione internazionale del lavoro la Tunisia è diventato un paese caratterizzato dall’estrazione di materie prime, sopratutto gas naturale e minerali, da esportare nei paesi produttori e ciò ha provocato una disoccupazione molto alta, cronica, impossibile da assorbire – quella giovanile è attestata al 30% -.
Come altri paesi la cui economia poggia principalmente sulla rendita energetica anche in Tunisia la forbice sociale si allarga sempre più, ed è evidente la discrepanza che c’è tra i manager delle industrie estrattive e l’estrema povertà dei villaggi che si trovano nei pressi di questi siti: gli impianti minerari, per le loro caratteristiche e grazie alle nuove tecnologie, hanno sempre meno bisogno di forza-lavoro, cosicché chi vive di fianco a questi siti, oltre a vedere la propria terra devastata non ottiene in cambio neanche dei posti di lavoro. Una questione molto sentita e al centro delle proteste del maggio 2017, quando un gruppo di abitanti di Tataoiune ha occupato uno dei siti estrattivi per protestare contro la mancata redistribuzione degli enormi guadagni fatti da queste aziende. Una protesta che è continuata per settimane e ha registrato anche un morto tra le fila dei manifestanti.
In Tunisia si registrano enormi differenze anche tra le città dell’entroterra e la capitale, le prime afflitte da condizioni di povertà estreme, con tassi di disoccupazione che sfiorano il 50%, le altre più ricche ma con una popolazione giovanile relativamente colta, inattiva e annoiata.
A causa di questa situazione, sono sempre di più i tunisini che emigrano: nel 2017 i tunisini sbarcati nelle coste italiane sono stati il 346% in più rispetto all’anno precedente.
Impossibile non accostare le immagini della Tunisia che in strada cacciava Ben Alì e i suoi, con quelle degli allora Cie, sconquassati da rivolte e incendi negli anni che vanno dal 2011 al 2013; il filo che le unisce è rappresentato dalla rabbia di giovani generazioni che dopo aver provocato la destituzione di una classe di governanti, subito sostituiti da altri, una volta giunti in Italia hanno trovato ad attenderli solo delle gabbie.
La storia sembra ripetersi: giusto qualche mese fa i reclusi, per la maggior parte tunisini, dell’hotspot di Lampedusa hanno portato avanti uno sciopero della fame sostenuto da vigorose proteste di parenti e amici in Tunisia; qualche settimana fa, lo stesso centro di detenzione che rinchiude, guarda caso, solo tunisini è stato teatro di scontri tra detenuti e forze dell’ordine.

Di questo e di altro parleremo venerdì 2 marzo, alle ore 21, all’Asilo Occupato di via Alessandria 12 con un compagno, in diretta da Kasserine.