Le finestre rotte

Di nuovo polizia a chiudere le vie. Ancora polizia a mettere sotto assedio il quartiere.

Giunta al portone di via Borgo Dora 39 alle 7 di mattina ha sfondato il portone, bussato alle porte degli appartamenti per metà sotto sfratto, altri occupati, molti già abbandonati in seguito alle minacce dell’ufficiale giudiziario, ha poi forzato gli inquilini a preparare le valigie.

Giusto il giorno prima davanti al portone si erano radunati abitanti della casa sotto sfratto, amici, solidali e vicini di casa ad aspettare l’ufficiale giudiziario, che dopo ore di attesa era giunto stringendo in mano una manciata di rinvii per il 13 di agosto, di fatto carta straccia. I media parlano di sgombero dell’occupazione fatta dagli anarchici, dove vivono molti immigrati. Tralasciando quanto poco le descrizioni della controparte rispecchino i percorsi di lotta, o piccoli pezzi di essa, c’è da domandarsi se in questo modo debbano giustificare l’atto intimidatorio che hanno fatto contro i più poveri del quartiere, piuttosto che la forzatura stessa della normale procedura di sfratto perché – va detto chiaramente – il procedimento formale dovrebbe garantire  agli sfrattandi la permanenza nell’alloggio fino alla data ufficiale dell’esecuzione qualora ci sia. Invece qui questore, sottoposti e lacchè hanno parlato tout court dello sgombero di un’occupazione. La polizia, trascendendo i codici, è continuamente e costitutivamente creatrice di diritto e di leggi, e questa ne è l’ennesima prova in tempi in cui il potere dell’organo pare essere cresciuto verso una valenza sempre più sfacciatamente politica. Di questa operazione infatti parla De Matteis – presente sul luogo -, non attenendosi a una valutazione tecnica, ma tracciando un discorso di significato sociale e morale. Appare palese infatti che sia stato dispiegato quell’apparato anti-sgombero già visto con l’Asilo occupato di via Alessandria 12, seppur in miniatura.

La palazzina non è stata solo svuotata con l’utilizzo di un numero esorbitante di forze dell’ordine, ma la celere e i poliziotti hanno continuato a sorvegliare la zona, modificando la vita di quell’isolato. Durante la giornata dello sgombero chi doveva attraversare la zona rossa era obbligato a mostrare i documenti. Il giorno seguente, il balon ha subìto delle interruzioni: per alcune centinaia di metri non c’erano le usuali bancarelle di vestiti vintage e borse di pelle, libri usati e ninnoli vari ma le divise a larvare sull’uscio del 39.  

Un occhio e orecchio attento avrà inoltre notato che la celebrità del palazzo di via Borgo Dora 39 è stata portata alla ribalta nelle settimane appena prima lo sgombero. Vari giornali e giornaletti, assieme a trasmissioni Tv e pure radio a emittenza nazionale hanno parlato delle luci e delle ombre del palazzo. Ristrutturazioni mancate e degrado, per non parlare della comparsa della figura di una fattucchiera, la vera responsabile con le sue magie della resistenza di via Borgo Dora, oltre che criminalizzata e accusata di approfittarsi della “povera gente”! Anche qui, come nei mesi precedenti allo sgombero dell’Asilo, una letterale messa in scena, a metà tra il voyerismo della cronaca e l’infido intrigo del noir.

Ritornando sul fatto dell’occupazione e sullo zampino degli anarchici in questa faccenda. Tanti abitanti della palazzina, alcuni più convinti di altri, hanno deciso oramai diversi anni fa di non essere sbattuti fuori dal nuovo acquirente, l’imprenditore Manolino. Una volontà rafforzata dal parlare assieme e sostenersi all’interno della casa, in quartiere, poi, esisteva un’assemblea di persone che si organizzavano contro le minacce di sfratti, proponendo picchetti solidali per strappare tempo, rinvio su rinvio, e l’occupazione come risposta alla perdita della casa; persone che si sono incontrate e hanno deciso di darsi una mano nel trovare e difendersi un tetto sopra la testa. Gli anarchici in tutta questa faccenda, o sarebbe più corretto dire un gruppo di compagni e compagne accomunati da una prospettiva definita in questo percorso, hanno facilitato gli incontri e stimolato tra alcuni sfruttati l’ipotesi di risolvere i problemi con la lotta. Gli anarchici da mo’ abitano in quartiere, da mo’ stanno fianco a fianco a chi sceglie di lottare e non accettare le solite sorti sfigate e misere. Si osa e si scommette assieme, sfidando il regolare procedere delle cose, scandendo le scelte attraverso le proprie necessità, valutando ciò che può essere giusto, ma nella lotta nessuno ha mai sovradeterminato le decisioni altrui: chi aveva bisogno di una casa ne ha trovato una vuota, chi stava per essere buttato in strada ha deciso di tenersela.

Costoro non sono vittime degli “anarchici” che li volevano forzare a resistere, né della sorte o della loro incapacità di stare al mondo, sono uomini e donne che assaggiano quotidianamente sui loro corpi cos’è la ferocia del capitalismo, della sua politica e del suo braccio armato.

Intanto è passato qualche giorno dallo sgombero, alla palazzina degli operai stanno riparando le finestre rotte, tirando a lucido ballatoi storti e persiane cigolanti. È il fascino del porto di mare, in un borghetto in via di riqualificazione che è tutto un programma.

Gira voce che il sabato appena passato sia stato l’ultimo balòn, che la prossima settimana avverrà la grande cacciata.

Per chi tutto questo è ancora un caso?