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L’estate è stata calda in corso Brunelleschi, scaldata ulteriormente dai fuochi appiccati a cadenza pressoché giornaliera, dalle rivolte, dallo stato di agitazione continuo e ostinato dei detenuti. Il Centro è un recinto e chi vi è rinchiuso passa le giornate ammassato, ogni sezione costringe circa quaranta uomini a una vita di rigida incuria.

Le sezioni agibili pare siano al momento quattro, quella verde è probabilmente fuori uso a causa delle rivolte e anche la cancellata interna fino alla settimana scorsa era danneggiata di misura. Dopo tre giorni di lavoro, un fabbro ha terminato aggiustamenti e modifiche ai cancelli e alle reti nella zona del campetto, spazio dedicato all’aria, rinforzando così il primo perimetro di ferro compromesso dai tentativi di evasione e danneggiamento delle ultime settimane.

La rabbia dentro è sempre strisciante e cerca di riprendere vigore collettivo, nel mentre arrivano notizie di riottosità individuali e  scioperi della fame, in particolare quello di un ragazzo georgiano, Amlet, che digiuna ormai da venti giorni chiedendo di non essere deportato nel suo paese di origine ma di poter tornare in Polonia, dove ha famiglia e documenti. Qualche giorno fa ha provato a evadere: stufo di aspettare il medico che non arrivava nonostante stesse molto male, ha cercato di scavare un buco sotto la recinzione ma è stato scoperto; gli hanno contestato danneggiamento, per cui l’hanno rinchiuso due giorni alle Vallette e rispedito di nuovo al Cpr. Sebbene abbia ricevuto un foglio dal tribunale di Torino in cui si sollecita la sua scarcerazione anche da corso Brunelleschi per via delle sue condizioni di salute, ancora viene tenuto dentro.

Non si arrende e vuole resistere.