Elementi di storia patria: l’Elmo di Scipio

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La presenza italiana nel progetto di ricerca che ha partorito il rapporto UO 2020 non ha certo avuto il candore di una cenerentola. L’Italia in questo campo si è offerta di sviluppare nuove specializzazioni e di formare personale addestrato a muoversi e combattere negli ambienti urbani, in cui bisogna (in ottemperanza alle linee strategiche sopra tracciate) isolare quartieri, edifici, abitazioni, ma anche padroneggiare impianti idrici, di telecomunicazione e di distribuzione dell’energia.

In effetti gli Stati Uniti e la Gran Bretagna considerano il Belpaese come uno dei migliori fornitori di personale addestrato a operazioni antisommossa, a partire dai reparti dei Carabinieri inquadrati nella MSU[64].

Gl’interventi in Libano, dapprima (1982-84, la prima consistente missione delle Forze Armate Italiane al di fuori del territorio nazionale dopo la fine della Seconda Guerra mondiale)[65], e poi in Iraq, nei Balcani, in Afghanistan ecc. scandiscono le tappe di un crescente impegno sbirresco-internazionale dell’“ Elmo di Scipio”, sia in proprio sia per conto terzi[66]. Tuttavia, lungo l’intero arco della storia dell’apparato militare italiano spicca la sua precipua funzione controinsurrezionale. Limitiamoci in questa sede al secondo dopoguerra.

A partire dalla prima consegna di autoblindo e armi automatiche al battaglione mobile dei Carabinieri di Milano, nel 1945, “il compito principale assegnato alle nostre Forze Armate in ambito NATO, oltre al contenimento di un eventuale e sempre più improbabile nemico orientale[67], è stato fin dall’inizio, e rimane tuttora, quello della difesa interna del territorio. Fin dal momento della ricostituzione delle prime unità, il potenziale nemico è il partigiano, l’operaio, il contadino: in una parola, il proletario in lotta”[68]. Negli anni successivi, questa impostazione sarà costantemente perfezionata, in ossequio alle dottrine CIA sulla controinsurrezione e sulla guerra psicologica[69].

A partire dagli anni Sessanta, l’elaborazione teorica controrivoluzionaria degli ambienti militari nostrani, la nascita di nuovi corpi, il coordinamento interforze[70], le attività addestrative e gl’interventi s’intensificano. La lista è lunga e potrà sembrare ridonante, ma fornisce un buon quadro dell’insistenza operativa delle FF. AA. italiane: le operazioni “antiterrorismo” condotte in Alto Adige (1961-68)[71]; la costituzione (gennaio 1963) della Brigata Paracadutisti “Folgore” da parte del capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il generale “golpista” Giuseppe Aloia[72]; la formazione dell’XI brigata meccanizzata dei Carabinieri[73] (aprile 1963) da parte del generale Giovanni De Lorenzo (pure lui “golpista”); il “rumore di sciabole” del giugno-luglio 1964 (“Piano Solo”: il colpo di Stato rientra solo dopo il cedimento dei socialisti sul programma di governo), accompagnato da una grande esercitazione NATO denominata “Corazza Alata” (luglio 1964); l’esercitazione “Vedetta Apula” in Puglia e Basilicata (giugno 1965), chiaramente ispirata alle operazioni Search and Destroy condotte in quel periodo dagli americani in Vietnam[74]; l’esercitazione “Delfino” (omonima dell’operazione del ’54) nella zona di Trieste (aprile 1966)[75]; la seconda esercitazione NATO denominata “Corazza Alata”, con l’intervento delle formazioni Stay Behind (luglio 1966); la partecipazione di elementi dei Btg. Carabinieri e Sabotatori della Brigata Paracadutisti “Folgore” con compiti di antiterro- rismo in Alto Adige (1966-70); le esercitazioni congiunte tra la “Folgore” e i paracadutisti inglesi in Sardegna[76]; la sorveglianza delle tratte ferroviarie S. Eufemia Lametia -Villa S. Giovanni (1970-71) e Chiusi-Bologna (1975-76, 1978-79); la vigilanza degli aeroporti di Milano-Malpensa e Roma-Fiumicino (1975- 76); le esercitazioni condotte dalle divisioni corazzate “Ariete” e “Centauro” e dalla divisione meccanizzata “Mantova” fra il 1976 e il 1977; l’intervento degli M-113 dei Carabinieri a Bologna nel marzo 1977; l’impiego dell’Esercito in funzioni d’ordine pubblico durante il sequestro Moro. Elemento stabile nel controllo interno è il VI Corpo d’armata, da sempre destinato ad agire in funzione antiguerriglia, in cooperazione con i battaglioni mobili dei Carabinieri e della Celere concentrati in Emilia, in Puglia e nel Lazio.

Alle sperimentazioni sul campo si affiancano importanti momenti di progettazione e riflessione dottrinale, sempre in funzione controinsurrezionale. Spiccano fra gli altri: i corsi superiori della Scuola di Guerra di Civitavecchia dedicati alla “guerra non ortodossa”[77]; la XVIII sessione del Centro Alti Studi Militari (strettamente collegato al Defense College della NATO) in cui si discute di “fronte interno”, “difesa civile” e della risposta politico-militare da dare “nel caso di consistenti tentativi di sovversione”; il convegno all’Hotel Parco dei Principi di Roma sulla “Guerra rivoluzionaria” organizzato dall’Istituto di Studi Militari “Alberto Pollio” (maggio 1965), momento di coagulo teorico-operativo della “strategia della tensione”[78] (“destabilizzare per stabilizzare”; “parade” e “réponse”, secondo la terminologia impiegata nella guerra non dichiarata, studiata e praticata dall’OAS fino al 1962 in Algeria).

Nel 1975 le Forze Armate italiane si ristrutturano lungo i seguenti assi: aumento dell’efficienza di tutte le armi e specialità, armamento ed equipaggiamento migliorati, diminuzione della percentuale dei militari di leva rispetto ai professionisti e accorciamento della durata della ferma obbligatoria, riduzione dell’organico complessivo delle truppe (con una conseguente maggiore possibilità di selezione nel reclutamento e un’accresciuta concentrazione dei mezzi a disposizione delle singole unità), costituzione di un’infrastruttura logistica e comunicativa delle FF. AA. (e naturalmente dei Carabinieri e della NATO) completamente autonoma da quella civile e in grado di sostituirvisi in caso di necessità.

Verso la metà degli anni Ottanta viene costituita la FIR (Forza di Intervento Rapido), basata su di un complesso interforze, alle dipendenze del Capo di Stato Maggiore della Difesa. Compiti della FIR sono: “integrare le Forze della Difesa Territoriale con interventi preventivi o repressivi; inserirsi in contingenti multinazionali a disposizione dell’ONU; costituire forza armistiziale in ambito internazionale; garantire lo sgombero di comunità italiane minacciate all’estero”.

Dopo l’89, le missioni delle Forze Armate sono state ridefinite in: “difesa dello Stato; difesa dello spazio euroatlantico; contributo alla realizzazione della pace e della sicurezza nazionale; concorso a compiti speciali”.

Alla metà degli anni Novanta viene avviato il passaggio al reclutamento volontario[79] con la progressiva riduzione della coscrizione, la sua completa sospensione (2000) e, infine, l’abolizione del servizio militare obbligatorio (a partire dal 1º gennaio 2005)[80].

Il “Nuovo Modello di Difesa” italiano, il cui progetto è stato elaborato dal ministero per la Difesa guidato da Rognoni (governo Andreotti) nel 1991, è incentrato sulla “tutela degli interessi nazionali, nell’accezione più vasta di tale termine, ovunque sia necessario”, entro un contesto internazionale in cui, caduto il Muro di Berlino, il nuovo confronto avviene nell’area mediterranea “tra una realtà culturale ancorata alla matrice islamica e i modelli di sviluppo del mondo occidentale”. Allo stato attuale, “il Medio Oriente e, in misura minore, alcuni Paesi del litorale nord-africano rivestono una valenza strategica particolare per la presenza delle materie prime energetiche necessarie alle economie dei Paesi industrializzati, la cui carenza e indisponibilità costituirebbe elemento di grave turbativa degli equilibri strategici in fieri”. Il pericolo attuale, secondo il “Nuovo Modello di Difesa”, sta nelle tendenze “al sovvertimento delle attuali situazioni di predominio regionale, anche per il controllo delle riserve energetiche esistenti nell’area”. L’interdipendenza tra gli Stati, si afferma nel documento, “ne estende la sfera degli interessi vitali ben oltre i limiti dei confini territoriali”. Perciò le misure da adottare “devono prevedere anche l’eventualità di interventi politicomilitari, tendenti alla gestione internazionale delle crisi, nonché azioni, coordinate con gli alleati, intese ad assicurare la tutela degli interessi vitali, delle fonti energetiche, delle linee di rifornimento e la salvaguardia dei beni e delle comunità nazionali operanti in quei Paesi”. La nuova strategia militare nazionale è quindi ispirata al concetto di “prevenzione attiva”, intesa come “concorso permanente dello strumento militare alla politica nazionale”[81].

“Concorso permanente dello strumento militare alla politica nazionale”: ciò significa, nuovamente, utilizzo dell’esercito per azioni di polizia, controllo e presidio dei territori. E allora vai con altri due decenni d’interventi militari, in collaborazione beninteso con le Forze dell’Ordine o gli organi della Protezione Civile: contro la “malavita organizzata” nelle operazioni “Forza Paris” in Sardegna (1992)[82], “Vespri Siciliani” (1992-98, il primo intervento in grande stile nel dopoguerra, per ragioni di ordine pubblico), “Testuggine” alla frontiera italo-slovena (1993-95), “Riace” in Calabria (1995)[83], “Partenope” in Campania (1994-98); per il controllo delle coste in occasione degli esodi massicci dall’Albania (1991-97); per la sorveglianza di obiettivi “sensibili”, in occasione del G8 a Genova (luglio 2001), su tutto il territorio nazionale all’indomani dell’11 settembre 2001 (operazione “Domino”)[84] e durante le Olimpiadi invernali di Torino (2006); a fronte di pubbliche calamità, quali alluvioni, incendi e terremoti[85].

Da quando l’Italia si è impegnata a fornire personale nelle “guerre umanitarie”, alcune aree militari sono state attrezzate per ricostruire ambienti urbani e rurali dove si addestrano carabinieri, parà, assaltatori e bersaglieri prima di essere inviati all’estero[86], mentre gli stessi reparti di polizia militare compiono un addestramento “sul campo”, nel reale ambiente metropolitano, svolgendo funzioni d’ordine pubblico sul territorio nazionale[87]; sono gli stessi che grazie ai vari “pacchetti sicurezza” vediamo operare nelle grandi città e a guardia di siti di rilevanza nazionale, quali discariche, centrali nucleari in costruzione, termovalorizzatori ecc. Va ricordato che il 24 gennaio 2009 il premier Berlusconi ha ripreso la proposta del ministro degli Interni Maroni, condivisa dal ministro della Difesa La Russa, di aumentare di dieci volte il numero dei militari nelle strade portandoli a 30 mila. Il governo italiano mostra qui tutta la sua aitanza, fino ad anticipare gli altri Paesi nel passaggio alla “fase due” della militarizzazione delle aree metropolitane[88].

Poco prima del Natale 2008 il ministro degli Esteri Frattini ha annunciato che AFRICOM, il comando unificato statunitense per le truppe di terra e di mare per l’Africa, troverà posto a Napoli e a Vicenza[89]. A Napoli sono di stanza anche le task force navali e di pronto intervento nel Corno d’Africa (nel territorio campano si trovano ben sette basi militari: USA e NATO)[90]. E proprio per potenziare AFRICOM, gli Stati Uniti hanno costituito due nuovi corpi: i Marines per l’Africa (MAFORAF) e il 17º Stormo dell’aeronautica militare USA (AFAFRICA). Quest’ultimo opererà soprattutto da Vicenza e Sigonella, oggi la più grande base aerea nel Mediterraneo[91].

Nello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano è il Reparto Logistico (Progetto tecnologie avanzate) a curare l’applicazione di quanto appreso nel gruppo di lavoro NATO Urban Operations in the Year 2020 [92].

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Note:

[64]Multinational Specialized Unit (Unità Specializzata Multinazionale), corpo d’élite per operazioni internazionali nato nel 1998 su richiesta dell’Alleanza Atlantica, sotto il comando di un ufficiale dei Carabinieri. Impiegata nei Balcani nell’ambito delle missioni NATO, la MSU ha il compito di fondere il controllo bellico del territorio e la gestione di polizia tradizionale.

[65]A questa prima missione fu posta fine all’inizio dell’84, dopo gli attentati che colpirono l’Ambasciata statunitense (18 aprile 1983: 71 morti e 160 feriti), la base dei Marines e quella dei paracadutisti francesi (23 ottobre: rispettivamente, 230 e 85 morti) e, infine, dopo lo scoppio di combattimenti nei quartieri sciiti prossimi a Chatila e alle posizioni ITALCON (24 dicembre) e nei quartieri musulmani di questo settore, con il coinvolgimento delle italiche truppe, fatte segno a fuoco di artiglieria e di armi automatiche (16 gennaio 1984): quindici giorni dopo, gl’inglesi abbandonano il Libano, seguìti il 15 febbraio dai Marines USA, che si imbarcano sulle navi della 6ª Flotta, e dal grosso del contingente italiano, che rientra con la Bandiera sventolante ma con le pive nel sacco (20 febbraio).

[66]Attualmente l’Italia è impegnata in 33 missioni, in 21 Paesi, in tre aree geografiche, con l’impiego di quasi diecimila soldati. Dopo quello in Libano, gl’interventi militari, sotto diverse sigle (ONU, NATO o altro), si infittiscono: 1982, Mar Rosso, la Marina Militare è presente per garantire la navigazione nello Stretto di Tiran (e non se ne è ancora andata). 1990-91, l’Italia partecipa alla Prima Guerra del Golfo. 1991, inizia la penetrazione militare in Albania. 1991, comincia la presenza in Bosnia Herzegovina, poi estesa al Kosovo e tuttora in corso, con la partecipazione di tutte le strutture militari, comprese polizia di Stato e Guardia di finanza (circa 2500 uomini). 1991, partecipazione italiana all’operazione di “peace-keeping” Provide Comfort in Kurdistan. 1992-95, Esercito, Marina, Aviazione e Carabinieri sono in Somalia (Restore Hope, operazione “umanitaria” condotta, col beneplacito del PDS, per “restituire la speranza” a un Paese in precedenza riempito di armi e rifiuti tossici sotto la bandiera santa degli “aiuti allo sviluppo”). 1998-99, partecipazione italiana alla forza multinazionale, inquadrata nell’operazione NATO Joint Guarantor, in Macedonia. 1999, partecipazione italiana a Allied Harbour, in Albania. 1999, l’Italia partecipa alla KFOR sotto comando NATO con una Multinational Task Force -West (MNTF-W), in Kosovo: iniziata il 12 giugno 1999, la missione è tuttora in corso]. 2001, intervento in Afghanistan, ancora in corso, con circa 2500 militari, tra Esercito, Marina, Aviazione e Carabinieri (all’interno dell’International Security Assistance Force. 2002-03, partecipazione all’operazione NATO Amber Fox -Allied Harmony, in Macedonia). 2003, intervento nella Seconda Guerra del Golfo, conclusosi per dare spazio a una nuova intrusione in Libano, dove sono impegnati circa 2500 soldati. 2008, presenza italiana in Georgia.

Oltre a queste operazioni di maggior impegno, dal 1979 le Forze Armate italiane hanno realizzato un centinaio di missioni di diversa natura, dal soccorso ai terremotati al controllo dei confini, che, seppur di piccola entità, costituiscono pur sempre preziose occasioni di esercitazione e sperimentazione. Le missioni militari hanno così toccato i quattro angoli della Terra, dal Kashmir al Guatemala, incentrandosi soprattutto sull’area d’interesse dell’imperialismo italiano: Balcani, Mediterraneo, Medio Oriente e Corno d’Africa. Cfr. Le guerre dell’imperialismo italiano: lotte proletarie e prospettiva internazionalista. Granuli d’“altra storia” contro l’impotenza dell’odierno movimento antiguerra, a cura di D.E. e Calusca City Lights, Edizioni Calusca City Lights – Centro di documentazione “Porfido”, Milano-Torino, 2008, p. 22.

In precedenza, nei primi anni Cinquanta, l’Italia aveva partecipato alla guerra di Corea sotto i simboli della Croce Rossa, realizzando un ospedale da campo con 100 letti, portati poi a 200, gestito da militari: si apriva così il capitolo dell’“imperialismo umanitario”. A questo proposito, è da segnalare la missione Indus, svolta nel quadro degli aiuti forniti al Pakistan, dopo il terremoto dell’8 ottobre 2005, dall’Alleanza Atlantica (Euro-Atlantic Disaster Response Coordination Centre). La NATO Response Force (NRF), forte d’oltre 25 mila uomini (appartenenti alle forze terrestri, marittime e aeree), è stata attivata per la prima volta proprio per intervenire “umanitariamente” nel Pakistan colpito dal sisma. Nell’estate 2006, la NRF ha realizzato la prima grande esercitazione di dispiegamento a Capo Verde (Africa occidentale). Oggi uno dei suoi maggiori centri operativi è a Solbiate Olona (Varese).

[67]Da segnalare è la cosiddetta “operazione Delfino”, con la quale nel 1954 il governo Pella fece pervenire segretamente a Trieste carichi di armi, distribuite poi dalla divisione “Gorizia” alla Brigata Italia e al Terzo Corpo Volontari della Libertà (due formazioni clandestine nate in funzione antislava e anticomunista) e quindi finite nelle mani del “principe nero” Junio Valerio Borghese e di appartenenti alla Xª MAS. Cfr. JACK GREENE – ALESSANDRO MASSIGNANI, Il principe nero. Junio Valerio Borghese e la Xª MAS, Mondadori, Milano, 2007.

[68]La macchina militare si laurea in dottrina della controrivoluzione, in “CONTROinformazione”, a. VI, n. 15, giugno 1979, p. 47. Cfr. anche DANIELE GANSER, Nato’s Secret Armies. Operation Gladio and Terrorism in Western Europe, Frank Cass, London, 2005; ALEXANDER L. GEORGE (a cura di), Western State Terrorism, Polity Press, Cambridge (Mass.), 1991, in particolare il saggio di MICHAEL MCCLINTOCK, American Doctrine and Counterinsurgent State Terror, pp. 121-154.

La teoria della “controinsorgenza” venne elaborata nell’immediato dopoguerra, principalmente come risposta alla Rivoluzione cinese. Secondo gli analisti statunitensi, la vittoria del PCC avrebbe dimostrato il ruolo strategico della guerriglia nella conquista del potere, soprattutto nell’èra nucleare. Se questa teoria era stata elaborata in riferimento soprattutto al Terzo Mondo e ai movimenti di liberazione nazionale, la teoria della “guerra rivoluzionaria” meglio si confaceva alle dinamiche presenti in aree più avanzate. A sintetizzare in qualche modo le due provvide il generale William Childs Westmoreland (già collaboratore della CIA nell’elaborazione dell’Operazione Chaos tesa a contrastare il “comunismo” nel mondo e nel Sud- Est asiatico in particolare, nel 1963, e poi capo delle truppe americane in Vietnam), con le sue direttive su come opporsi sul campo all’“avanzata comunista”, come utilizzare il terrorismo e l’infiltrazione a favore della “stabilizzazione”, come controllare forze armate e governi di Paesi “ospiti” e “amici”.

Nel 1970, Westmoreland redasse il Field Manual 30-31, che aggiornava e sviluppava i concetti dell’Operazione Chaos, così come le appendici FM 30-31 A e FM 30-31 B, dove si trovano descritte le operazioni False flag: “I servizi segreti dell’esercito degli Stati Uniti devono avere i mezzi per lanciare operazioni speciali che convincano i governi ospiti e l’opinione pubblica della realtà del pericolo insurrezionale. Allo scopo di raggiungere quest’obiettivo, i servizi americani devono cercare d’infiltrare gl’insorti per mezzo di agenti in missione speciale che devono formare gruppi d’azione speciale tra gli elementi più radicali”.

[69]Benché in quegli anni l’ideologia del secondo conflitto mondiale come guerra “antifascista” sia ancora fresca di conio, gli eserciti dei “Liberatori” fanno lestamente proprie le dottrine di controguerriglia fiorite nella Germania nazista fin dalla seconda metà degli anni Trenta, cogliendo la “validità intrinseca dei criteri operativi adottati [dalla Wehrmacht e dalle SS], tanto è vero che essi riappaiono, quasi immutati, negli anni Cinquanta e Sessanta in Algeria e in Vietnam”. ALESSANDRO POLITI, Le dottrine tedesche di controguerriglia (1936-1944), Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma, 1991, pp. III-IV.

[70]Il 19 maggio 1961, il capo della polizia Angelo Vicari emana la circolare 442/4567 sui piani di emergenza per il controllo dell’ordine pubblico da parte dei diversi corpi armati dello Stato.

[71]Cfr. [MAURIZIO GRETTER], La guerra dei tralicci. Zone bianche al riparo dalla lotta di classe, perquisizioni, arresti, detenuti sudtirolesi torturati: l’irredentismo di Stato come palestra dell’antiguerriglia, in “CONTROinformazione”, Milano, a. IV, n. 9-10, novembre 1977, pp. 42-61; ora in Maurizio Gretter. Un seme di libertà. Scritti e testimonianze dell’impegno sociale e giornalistico di Maurizio Gretter, a cura di Attilio Baldan, Massimo Fotino, Gian Carlo Salmini, Editrice Temi, Trento, 1986.

[72]A questo fine Aloia si era recato prima in visita negli Stati Uniti a Fort Bragg, sede della Special Warfare School, appena potenziata dal presidente Kennedy per far fronte agl’impegni in Vietnam, del Comando dell’Esercito Strategico Statunitense e della 82ª Divisione aerotrasportata.

[73]Fiore all’occhiello delle FF. AA., questa brigata meccanizzata in realtà equivale, per organico e mezzi, a quattro normali brigate di fanteria.

[74]Forse non tutti sanno che… Samuel Phillips Huntington (1927- 2008), politologo statunitense affermatosi alla metà degli anni Settanta per aver sviluppato in ambito Trilateral le implicazioni della “crisi della democrazia” (Rapporto di Kyoto) e ritornato in auge dopo l’11 Settembre per la sua teoria sullo “scontro di civiltà” (The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order), iniziò la sua carriera d’assassino col calamaio nel 1968 predicando bombardamenti terroristici talmente estesi da “produrre un’altrettanto importante migrazione dalle campagne alle città”, così da annientare la “base di consenso” rurale dei vietcong (“Foreign Affairs”, n. 64, 4 luglio 1968).

[75]Questa esercitazione, che vide la partecipazione di elementi di un nucleo propaganda (P/4), di un nucleo di evasione ed esfiltrazione (E/4) e di un’unità di pronto impiego (Stella marina), era destinata a sviluppare “su base sperimentale, temi concernenti le operazioni caratteristiche della guerra non convenzionale in situazioni di insorgenza e controinsorgenza”, tramite il compimento di “azioni di provocazione, quali aggressioni e attentati da attribuirsi all’avversario, e la diffusione di materiale di disinformazione”.

[76]Il 9 novembre 1971 un velivolo Lockheed C-130K Hercules inglese, diretto in Sardegna, si inabissò nelle acque della Meloria, antistanti Livorno, con il suo carico di 46 paracadutisti della “Folgore” e sei aviatori britannici. Su di un muro dello stadio livornese, nei giorni successivi, apparve (come pure a Parma e Pisa) una scritta: “46 paracadutisti morti = 46 fascisti in meno – niente lacrime”, antesignana degli striscioni “10, 100, 1000 Nassiriya” che han più volte campeggiato in alcuni settori dello stesso stadio.

[77]Con l’espressione “guerra non ortodossa” si intende il complesso delle attività vòlte al combattimento asimmetrico e non corrispondenti ai canoni della guerra tradizionale. La “guerra non ortodossa” non mira a occupare fisicamente un territorio, bensì a conquistare il cuore e le menti dei civili residenti nell’area delle operazioni e a danneggiare le infrastrutture (civili e militari) del nemico, tramite azioni dirette, sabotaggi o impiego di civili. La “guerra non ortodossa” non esclude rapimenti, eliminazioni mirate, allestimento e supporto di strutture clandestine di combattenti a fini controinsurrezionali o di controguerriglia. Tra le attività previste vi sono le UMO (Operazioni militari non convenzionali) e le OCS (Operazioni dei Servizi Clandestini, ovvero di strutture coperte, quindi formalmente inesistenti, dei servizi segreti). Le UMO sono operazioni condotte in territorio nemico (o occupato dal nemico) da forze speciali appositamente addestrate ed equipaggiate (quali le Special Forces e la Delta Force statunitensi, lo SAS inglese e, in Italia, il IX battaglione, oggi reggimento, della “Folgore” e il Comsubin della Marina). L’organizzazione Stay Behind e la struttura coperta del SISMI (V Sezione, poi VII Divisione) erano incaricate delle OCS previste in Italia dai comandi NATO (Supreme Headquarters Allied Powers Europe, SHAPE).

[78]In proposito, lo studio più aggiornato è quello di MIMMO FRANZINELLI, La sottile linea nera. Neofascismo e servizi segreti da Piazza Fontana a Piazza della Loggia, Rizzoli, Milano, 2008.

[79]La tendenza alla sostituzione degli eserciti nazionali di massa, sórti nell’Ottocento, con quelli professionali incominciò ad affermarsi in molti Paesi europei già nel corso del decennio precedente. A proposito dello sfondo politico di questa trasformazione, non si può non ricordare almeno che negli Stati Uniti la coscrizione venne sospesa a seguito della Guerra in Vietnam…

Sulla genesi degli eserciti di coscritti nel processo di costruzione degli Stati-nazione, cfr. la sintesi storica di PIERO DEL NEGRO, Guerra ed eserciti da Machiavelli a Napoleone, Laterza, Roma-Bari, 2001.

Sull’antimilitarismo e sulle posizioni del movimento proletario di fronte alle guerre e agli eserciti, tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento, diamo qui alcuni suggerimenti di lettura (giocoforza incompleti): L’antimilitarismo oggi in Italia. Antologia, a cura di Giorgio Rochat, con la collaborazione di Franco Gianpiccoli, Eugenio Rivoir e Marco Rostan, Claudiana, Torino, 1973; FABRIZIO BATTISTELLI (a cura di), Esercito e società borghese, Savelli, Roma, 1976; JEAN-JACQUES BECKER, Le Carnet B. Les pouvoirs publics et l’anti-militarisme avant la guerre de 1914, Klincksieck, Paris, 1973; BRUNA BIANCHI – FABIO CAFFARENA – MARCO GERVASONI ET AL., Militarismo e pacifismo nella Sinistra italiana. Dalla Grande Guerra alla Resistenza, Unicopli, Milano, 2006; FRANÇOIS BOCHET, A proposito della Seconda Guerra mondiale, dattiloscritto, Milano, 2002 (edizione originale: “Episodes”, n. 2, 1989); [AMADEO BORDIGA], Il proletariato e la guerra, “Quaderni del programma comunista”, n. 3, giugno 1978; GIANPIERO BOTTINELLI – EDY ZARRO, L’antimilitarismo libertario in Svizzera, La Baronata, Lugano, 1989; PHILIPPE BOURRINET, Alle origini del comunismo dei consigli. Storia della sinistra marxista olandese, Graphos, Genova, 1995, in particolare il cap. 3: “Alla prova della Grande Guerra (1914-1918)”; MARTIN CEADEL, 68 A CHI SENTE IL TICCHETTIO Oxford, 1980; GINO CERRITO, L’antimilitarismo anarchico in Italia nel primo ventennio del secolo, RL, Pistoia, 1968 (reprint: Samizdat, Pescara, 1996); CHRISTIAN CHARRON, L’antimilitarisme et son expression littéraire à la fin du XIXe siècle en France, Université de Bordeaux III, marzo 1977; YOLANDE COHEN, Les jeunes, le socialisme et la guerre, L’Harmattan, Paris, 1989, coll. “Chemins de la mémoire”; MARY DAVIS, Sylvia Pankhurst, a life in radical politics, Pluto Press, London, 1999; LAURA DE MARCO, Il soldato che disse no alla guerra. Storia dell’anarchico Augusto Masetti (1888-1966), Spartaco, Santa Maria Capua Vetere (Caserta), 2003; PATRIZIA DOGLIANI, Internazionalismo ed antimilitarismo. 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[80]In vista di questa trasformazione, il “Nuovo Modello di Difesa” già nel 1991 poneva la necessità di veicolare “una migliore immagine del volontario, prevedendone l’impiego in tutti i ruoli propri del combattente, al fine di indirizzare le scelte della vita militare per motivazioni diverse da quelle semplicemente occupazionali”.

In merito, il generale Goffredo Canino, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano dall’aprile 1990 all’ottobre 1993 (all’epoca dell’operazione “Ibis” in Somalia), ha scritto che “quello di cui abbiamo bisogno è, per così dire, un volontario da combattimento e non da caserma, con la prospettiva non legata alle discoteche di S. Marinella o di S. Severa, ma ai tuguri albanesi o alle macerie di Mogadiscio, […] persone addestrate a difendersi per difendere interessi collettivi senza incertezze o dubbi morali e con i mezzi adatti per farlo”.

La Regola – manco fossero monaci guerrieri! – è assai chiara: “Non è un lavoro per gente qualunque. Bisogna essere addestrati, preparati soprattutto dal punto di vista spirituale. Bisogna essere pronti al combattimento!” (GOFFREDO CANINO, La Regola. Fondamenti etici e normativi della condizione militare, in “Rivista Militare”, supplemento al n. 4, luglio-agosto 1994). E, in un’intervista sull’addestramento dei volontari, lo stesso generale spiegava che “ridotto all’osso il compito è insegnare a uccidere bene e a farsi ammazzare poco” (“Corriere della Sera”, 14 giugno 1997).

[81]Un altro progetto per un “Nuovo Modello di Difesa” fu presentato, nel 1992, dal socialista Salvo Andò, titolare della Difesa nel primo governo Amato. Questa seconda proposta non si differenziava in modo rilevante dalla prima, se non per il fatto di valorizzare uleriormente l’importanza della “difesa degli interessi nazionali esterni” e del “contributo alla sicurezza internazionale”, rispetto al compito della “difesa integrata degli spazi nazionali”. Cfr. DOMENICO MORO, Il militare e la repubblica, Laboratorio politico, Napoli, 1995, pp. 15-16.

[82]Cfr. FRARIA, “Forza Paris”. Fallimento di un’operazione coloniale. Dossier Sardegna, il conflitto nascosto, Editziones de su Arkiviu-Bibrioteca “T. Serra”, Guasila (Cagliari), 1992.

[83]In questa operazione hanno avuto il loro battesimo le unità della “Garibaldi”, la prima brigata dell’Esercito Italiano a essere formata esclusivamente da professionisti.

[84]Dopo l’11 Settembre, sotto l’imperativo della “lotta al terrorismo internazionale”, sono state rafforzate le strutture antiguerriglia create in Italia nel corso degli anni Settanta e Ottanta.

[85]Da ultimo, l’intervento dopo il terremoto in Abruzzo. Al riguardo, riportiamo alcuni passi di una testimonianza dai campi aquilani: “Oltre ai vigili del fuoco, su 60 mila abitanti, di cui 30 mila sfollati sulla costa, ci sono più di 70 mila uomini e donne in divisa all’Aquila, dall’esercito ai Carabinieri, dalla polizia, municipale e non, ai GOM, dalla Guardia di finanza (anche in assetto antisommossa) alla Guardia forestale. […] E poi c’è Digos e polizia in borghese sparsa per tutto il territorio. In ogni campo su 160 sfollati, ci sono almeno 200 sbirri a vario titolo più quelli in borghese. Queste tendopoli sono dei lager. Non è permesso tenere animali con sé (tranne rare eccezioni strombazzate in televisione), non è permesso andare a trovare amici e parenti negli altri campi senza essere identificati, non è permesso cucinare, lavarsi, autogestirsi. […] Ci trattano come decerebrati. Ci hanno invaso, colonizzato, disinformato. Non arrivano giornali nei campi. Per andarli a comprare bisogna uscire la mattina presto dopo essere stati identificati e cercare di raggiungere l’edicola ancora agibile più vicina (abbiamo il marchio del terremotato: un tesserino da portare sempre bene in vista anche quando si fa la fila per mangiare o per andare al cesso o per farsi la doccia o andare dal barbiere ogni 15 giorni). […] E mentre cerchi di addormentarti in mezzo a questo orrore, gli uomini in divisa entrano nelle tende e ti accecano la vista con le torce, per vedere chi c’è e chi non c’è, che cosa fa e se ha il computer acceso o la televisione (è vietato tenerli con sé nella tenda). C’è il coprifuoco. Arrestano un rumeno per aver recuperato dalle case crollate pezzi di grondaia di rame, mentre i veri sciacalli sono pagati per tenerci rinchiusi dentro i campi o per mandarci via dalla disperazione” (http://www.informa-azione.info/abruzzo_diaro_comunicato_dallabruzzo).

In una seconda lettera-testimonianza si legge: “La disoccupazione nel territorio aquilano, già molto elevata prima del terremoto, ora ha raggiunto livelli insopportabili per un tessuto sociale così profondamente diviso e sparpagliato tra un presente di tendopoli e alberghi-ghetto e un futuro di new town. […] I prodotti locali dell’agricoltura e dell’allevamento, inutilmente offerti alla Protezione Civile per il consumo nei campi, rimangono invenduti e devono essere distrutti. Sono le grosse catene di distribuzione e non i piccoli produttori indigeni a guadagnare dall’emergenza. Nelle tendopoli gli sfollati non hanno certo diritto di scelta e, mentre nelle stalle abruzzesi i vitelli invecchiano e il latte deve essere gettato, nei campi la minestra è sempre quella del cibo in scatola o surgelato, di dubbia provenienza e inesistente genuinità, probabile concausa della recente epidemia di dissenteria. […] L’Aquila è ormai una città assediata dalla burocrazia [l’infernale macchina del DICOMAC: Direzione di Comando e Controllo, l’organo di coordinamento nazionale delle strutture di Protezione Civile nell’area colpita] e dalla militarizzazione […]. Nelle tendopoli le uniche assemblee popolari consentite e incoraggiante, quando non direttamente indette dal capo-campo della Protezione Civile, […] sono quelle per simulare la libera elezione dei responsabili civili per la sicurezza, ossia i kapò. Un kapò per ogni etnia per meglio controllare ogni comunità, praticamente scelto dal capo-campo in cambio di condizioni privilegiate nella tendopoli stessa” (http://www.informa-azione.info/abruzzo_diario_comunicato_dallabruzzo_2).

Per un’ulteriore testimonianza audio, rimandiamo alla corrispondenza di “Radiocane” del 29 maggio 2009 (http://www.radiocane.info/la-striscia-informativa-di-radiocane/603-informazione-del-29-maggio.html).

[86]Da segnalare sono le esercitazioni della serie “Istrice” (combattimento negli abitati) e alcune nuove serie di esercitazioni, quali la “Orso” e la “Leone”, aventi per oggetto l’istituzione di checkpoint o servizi di scorta e la liberazione di personale in situazioni critiche.

[87]Addestramenti sul territorio nazionale avvengono da tempo, come per esempio quello condotto il 28 febbraio 2003 e conclusosi presso il Centro di Addestramento alle CRO (Crises Response Operations, Operazioni di risposta alle crisi) di Cesano con la certificazione del 2º Corso per Istruttori della Forza Armata di “Controllo della folla” [sic].

[88]Compito poco agevole quello di chi volesse seguire da vicino la produzione legislativa italiana in questo campo, tali e tanti sono i “pacchetti” confezionati da governi di vario colore politico ma di analoga ossessione sicuritaria. L’ultima performance si distingue notoriamente per le norme sulla delazione ai danni dei clandestini da parte dei pubblici ufficiali (e si scopre contestualmente che sono tali tutti i dipendenti pubblici…) e per il prolungamento fino a 180 giorni della permanenza nei CIE. Per quanto attiene all’asse principale del nostro intervento ci limitiamo a segnalare l’art. 6: “Collaborazione della Polizia municipale nell’ambito dei piani coordinati di controllo del territorio” e l’art. 7: “Accesso della Polizia municipale al Centro elaborazione dati del ministero dell’Interno”.

[89]AFRICOM, uno dei sei comandi unificati del Pentagono, è stato creato nel 2007 dal presidente Bush e inaugurato il 1º ottobre 2008 a Stoccarda (Germania). Suo scopo è la lotta al “terrorismo” e l’addestramento e l’armamento dei militari africani, oltre alla protezione degli enormi interessi americani nel Continente Nero. Oltre che sulle infrastrutture che la Marina USA possiede a Capodichino, Gricignano e Gaeta, AFRICOM potrà contare pure sulle basi dell’US Army di Camp Ederle e anche sulla nuova base nell’aeroporto Dal Molin a Vicenza.

[90]Cfr. Napoli chiama Vicenza, a cura del Comitato campano Pace e Disarmo, Napoli, 2008.

[91]Sigonella è anche sede della centrale d’intelligence per le attività “anti-terrorismo” statunitensi in Africa settentrionale e occidentale. Joint Task Force Aztec Silence è il nome della forza speciale creata dal Dipartimento della Difesa USA per condurre dalla Sicilia missioni di sorveglianza terrestre, aerea e navale e financo vere e proprie operazioni di bombardamento contro obiettivi civili e militari nella regione del Sahel, considerata dagli strateghi del Pentagono come un’area nevralgica per il controllo dell’Africa.

[92]Cfr. “Senza censura”, n. 26, luglio 2008.

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