Elementi d’optometria: che cosa illumina gli occhi

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Nel quadro delle cosiddette “nuove guerre” o “asimmetriche” o “di quarta generazione” o “a bassa intensità” ecc.[93] (cambia la terminologia, a seconda delle correnti di pensiero, ma non la sostanza) risaltano:

– la fine della tradizionale distinzione tra il combattente e il civile, già sostanzialmente scomparsa con la “mobilitazione totale” nella Grande Guerra[94] e con il terrorismo contro le popolazioni civili praticato da tutti gli Stati, sia del campo “fascista” sia di quello “democratico”, nella Seconda Guerra mondiale[95];

– l’apparizione di nuove figure del “militariato”[96], che vanno dalle ONG “umanitarie” ai contractors[97];

– una minore importanza dell’aspetto propriamente militare nelle operazioni;

– la frantumazione del campo di battaglia e l’assenza di un fronte;

– il ridimensionamento del ruolo degli armamenti ad alta tecnologia rispetto al controllo del territorio, affidato alla fanteria (per quanto dotata d’armi d’ultima generazione e supportata da strumentazioni sofisticate)[98].

Il nemico è sempre meno un esercito convenzionale e sempre più un’entità informale, in una radicale indistinzione tra guerra interna e guerra esterna: guerriglieri urbani, formazioni “terroristiche”, ma anche raggruppamenti meno organizzati come quelli che emergono in situazioni insurrezionali.

Il controllo preventivo e la repressione di eventuali sommosse o insurrezioni diventeranno viepiù prerogative dell’esercito, che dovrà esercitare, pertanto, vere e proprie funzioni di polizia territoriale, nel mentre quest’ultima si “paramilitarizza”[99]. Oltre a controllare il territorio, l’esercito sarà tenuto a svolgere attività di gestione della popolazione civile: gestione fisica (rifugiati, sfollati ecc.) e gestione psicologica (controllo e monopolio delle informazioni, rapporti con le autorità locali, ma anche con tutte le realtà associative disposte a collaborare).

In questa prospettiva sarà necessario dotare le forze armate di un’adeguata preparazione al conflitto urbano, per scongiurare la storica “incoercibilità” delle “forze ribelli” nella guerra asimmetrica. Al contempo, bisognerà abituare la gente a vedere i militari pattugliare le città, affinché nessuno, assuefatto e/o terrorizzato che sia, si azzardi più a muovere un dito (foss’anche il medio).

Stiamo andando verso uno “Stato militarizzato”. Le truppe stanziate a Pianura come in via Padova (Milano) ci ricordano che il 2020 non è poi così distante[100].

Il rapporto Urban Operations in the Year 2020 modula l’utilizzo dello strumento militare. Armi letali o “non letali” verranno quindi impiegate per prevenire, contenere e reprimere quelle sommosse e rivolte che nessuno ormai s’illude di poter evitare nel prossimo futuro. Le operazioni militari nelle aree urbane irachene e afghane, poi libanesi e infine nella striscia di Gaza hanno dimostrato la compatibilità dell’uso di armi pesanti, chimiche e incendiare su civili e grandi agglomerati, nonché come si possa fare strage di donne, vecchi e bambini senza incontrare l’opposizione di opinioni pubbliche e governi. Fucile antisommossa, pepper gun[101] e proiettili al fosforo bianco: a ciascuno il suo, a seconda dei livelli di crisi e d’insorgenza.

Comunque, tutto sarà permesso contro “terroristi”[102], sobillatori e rivoltosi.

“Una delle armi del Capitale consiste nel fatto che la popolazione, proletariato compreso, non immagina fin dove lo Stato si spingerà con la guerra civile”, scriveva Jean Barrot nell’ormai lontano 1972. La consapevolezza del livello al quale lo Stato è disposto a spingersi con la guerra civile, consapevolezza che illumina e fa profondi gli occhi dei ragazzini palestinesi che affrontano a colpi di pietra i tank israeliani, continua tristemente a far difetto nelle nostre contrade, sprofondate nel sonno catodico e imbolsite dalla morale dell’“io speriamo che me la cavo”.

Quando questa nefasta malìa svanirà, risuoneranno ancora le belle note delle canzoni di rivolta (1830-32, 1848, 1871, 1917-20, 1968-70, 1977, Genova 2001, Atene 2008…) e crollerà anche il mito dell’invincibilità delle forze repressive.

15 giugno 2009

a cura di “Nonostante Milano” (nonostantemilano@gmail.com)

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Note:

[93]Il Low Intensity Conflict (LIC) è, secondo la definizione adottata dalle gerarchie militari USA, “uno spazio ambiguo tra la pace e la guerra, dove il contributo della forza militare al raggiungimento degli obiettivi strategici è indiretto, dove le azioni non militari stabiliscono le condizioni sotto le quali l’obiettivo strategico è raggiunto”. Nei Paesi europei e in Asia, si usa spesso l’espressione “guerra a bassa intensità” utilizzando in parte la definizione statunitense ma senza accoglierne integralmente il senso. Altre locuzioni adottate dalla letteratura militare anglosassone sono quelle di Non-Traditional Missions o di Military Operations Other Than War (MOOTW). C’è poi il termine “guerre ibride”, coniato nel 2005 dal professor Erin M. Simpson. Oggigiorno, perlopiù, si adotta l’espressione “guerre asimmetriche”, introdotta nel lessico miltare dallo studioso Andrew Mack in un articolo pubblicato nel 1975.

[94] Cfr. JÜRGEN KOCKA, Facing Total War. German Society 1914-1918, Berg Publishers, Leamington Spa, 1984; Le soldat du travail. Guerre, fascisme et taylorisme, a cura di Lion Murard e Patrick Zylberman, in “Recherches”, Paris, n. 32-33, 1978.

[95]Cfr. Il bombardamento di Dresda come rapporto sociale (le ristrutturazioni e la guerra), in “La Banquise”, Paris, n. 3, estate 1984 (trad. it. disponibile presso l’archivio di “Nonostante Milano”); SVEN LINDQVIST, Sei morto! Un labirinto con 22 ingressi e nessuna uscita, Ponte alle Grazie, Milano, 2005 (2ª ed.); W.G. SEBALD, Storia naturale della distruzione, Adelphi, Milano, 2004 (splendido per qualità narrative e capacità di penetrazione storicoesistenziale).

[96]Per “militariato” deve intendersi “la compresenza, e il cofinanziamento diretto o indiretto, sia delle missioni di guerra, sia delle missioni di pace da parte dei governi”, ovvero il “contemperamento dell’intervento militare con quello civile, pacifico, volontario” (PINO TRIPODI, Il militariato in Iraq. Il ruolo del volontariato nella guerra permanente, 10 settembre 2004, http://www.bancadellasolidarieta.com/article.php3?id_article=39). Fra l’altro, è proprio grazie alla presenza nei teatri di guerra delle ONG e di migliaia di uomini e di donne che prestano la loro vita convinti di operare per la pace o per lenire gli effetti dei conflitti che “i governi occupanti possono presentare le proprie avventure militari come guerre umanitarie”. Sull’insieme delle odierne ideologie della guerra “giusta” (“per la legalità internazionale”, “in difesa dei diritti umani”, “umanitaria”, “contro il terrorismo”, “preventiva” ecc.) e sul ruolo delle Nazioni Unite, si veda REDLINK (a cura di), L’ONU e “i signori della pace”, La Giovane Talpa, Milano, 2004. Già Kipling aveva descritto le guerre di conquista statunitensi delle Filippine e di altre ex colonie spagnole come “The savage wars of peace” (The White Man’s Burden, in “McClure’s Magazine”, febbraio 1899).

[97]Sulla storia e il ruolo attuale delle PMC (Private Military Companies), cfr. FRANCESCO VIGNARCA, Li chiamano ancora mercenari. La privatizzazione degli eserciti nell’era della guerra globale, Editrice Berti, Milano, 2004, coll. “I Libelluli di Altreconomia”; MAURO BULGARELLI – UMBERTO ZONA, Mercenari. Il business della guerra, NdA Press, Cerasolo Ausa di Coriano (Rimini), 2004; e i saggi raccolti nella sezione “Figure del combattente”, in “Conflitti globali”, La metamorfosi del guerriero, n. 3, 2008, pp. 33-89.

[98]Lo scarto fra le mirabolanti promesse dell’ipertecnologia bellica e la dura necessità di conquistare stabilmente il terreno è stato riassunto nella formula “guerre stellari e fantaccini terrestri”, cfr. “Quaderno Internazionale” n. 8, Editing, Torino, 1983.

Di tale contrasto dà conferma, fra l’altro, la “profonda riforma” della spesa militare statunitense annunciata lo scorso aprile da Robert M. Gates (passato dall’amministrazione Bush a quella Obama), intesa a ridimensionare i programmi dei maggiori sistemi d’arma e ad accrescere i fondi per la guerra “controinsurrezionale”. Particolare attenzione è riservata allo sviluppo di veicoli militari più resistenti a mine e ordigni improvvisati, facendo tesoro delle “lezioni apprese in Iraq e Afghanistan”.

Secondo il programma Future Combat Systems, destinato a potenziare le capacità delle brigate di combattimento, i soldati saranno sempre più integrati in una rete high-tech, con comunicazioni satellitari e veicoli telecomandati: i droni militari, sia terrestri che aerei (nell’ubbia d’informatizzare e automatizzare all’estremo i sistemi di “comando e controllo” e nella crescente complessità, sofisticatezza e costosità degli strumenti impiegati dall’“operatore” bellico, vòlti a sostituire sempre più i combattenti in carne e ossa, permane e si conferma la matrice paranoide della cosiddetta Revolution in Military Affairs).

Saranno ridimensionati programmi come quello del caccia F-22 Raptor della Lockheed Martin, pensato per scenari da Guerra fredda; la Lockheed, in compenso, riceverà maggiori fondi per il più grande programma aeronautico internazionale dell’èra moderna (che vede partecipi anche le società italiane Avio, Piaggio, Galileo avionica, OTO Melara): quello del cacciabombardiere stealth supersonico multiruolo di 5ª generazione F-35 Lightning II, maggiormente adatto per la “controinsurrezione”. Cfr. Il programma F-35 Joint Strike Fighter e l’Europa, in “Quaderni IAI”, Istituto Affari Internazionali, n. 31, ottobre 2008.

Grosso spazio è riservato anche agli UAV (Unmanned Aerial Vehicle, veicolo aereo senza pilota) telecomandati, in particolare il Predator (avente come funzione primaria quella d’individuare gli obiettivi da colpire) e il Reaper (hunter/killer, munito d’un carico bellico d’oltre una tonnellata e mezzo, composto di missili, bombe a guida laser e satellitare). La spesa militare statunitense è stata di 666 miliardi di dollari nel 2008 (nel 2010, il budget del Pentagono supererà i 670 miliardi: con altre voci di carattere militare, circa un quarto del bilancio federale), in pratica la metà degli esborsi bellici mondiali, pari a 1339 miliardi di dollari (2007), equivalenti al 2,5% del PIL mondiale (nel 2009 si supereranno probabilmente i 1500 miliardi di dollari: poco meno del PIL italiano). L’aumento di queste spese, a livello mondiale, è stato del 45% rispetto al 1998 (dati SIPRI). Secondo le stime relative al 2008, i Paesi NATO hanno speso 985 miliardi di dollari.

[99]La militarizzazione dei “ghisa” meneghini (che, pochi lo ricordano, iniziò nel 1898, l’anno di Bava Beccaris), nella sua odierna accelerazione scandita dall’esaltazione delle cosiddette “funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza” e dalla proliferazione di “squadre speciali” (il Comune di Milano, fra l’altro, dovrebbe avere a disposizione due elicotterini prodotti da un’azienda tedesca specializzata in tecnologia bellica, prima città in Europa e seconda solo a Los Angeles nell’impiego di un occhio elettronico volante per il controllo del territorio, cfr. Mini-elicotteri per sorvegliare i cieli di Milano, in “Libero”, 20 giugno 2007), si colloca in una tendenza attiva a livello internazionale che comporta una “paramilitarizzazione” delle forze locali di polizia.

Negli Stati Uniti, Paese guida di questa tendenza, nel 1982 il 59% dei dipartimenti di polizia aveva tra i suoi effettivi un’unità paramilitare; quindici anni dopo la percentuale era salita quasi al 90%. “L’esercito e la polizia rappresentano le entità primarie dell’uso della forza statale, il fonda- mento della sua forza coercitiva. La stretta alleanza ideologica e operativa fra queste due entità nella gestione di problemi sociali interni” è attestata per esempio dal successo della Firearms Training Systems, Inc. (FATS), che, dal 1984, si è specializzata nell’addestramento all’uso delle armi da fuoco e nel condizionamento psicologico delle forze dell’ordine (BATF, FBI, e LAPD) e delle forze armate statunitensi (US Army, Air Force, Corpo dei Marines), nonché di organizzazioni militari straniere, compresi gli eserciti di Singapore e Italia”.

Per migliorare il realismo dell’addestramento al combattimento ravvicinato e aumentarne l’efficacia sono stati sviluppati sistemi come il Weapons Team Engagement Trainer, utilizzato da forze speciali dell’esercito, squadre SWAT e forze dell’ordine”. Il tutto condito con l’applicazione delle tecniche skinneriane per sviluppare “un’abilità riflessiva di fuoco rapido” e con una vera e propria “deificazione dell’omicidio durante l’addestramento”. Cfr. FRANK MORALES, The Militarization of the Police (http://www.covertaction.org/content/view/95/75/). Dello stesso Autore si veda anche Military Operations in Urban Terrain (http://covertaction.org/content/view/78/0/).

 

[100]Dinamogrammi, paragrafo “Questo tristo mondo”, in “Nonostante Milano”, marzo 2009.

[101]Si tratta di una pistola in grado di lanciare Oleoresin capsicum (OC) con effetti infiammatori immediati. Il “pepper gas”, bandito nel 1972 dalla Convenzione delle Armi Biologiche per l’uso in guerra, è invece permesso nelle operazioni di “sicurezza interna”. Benché uno studio dell’esercito statunitense abbia evidenziato come esso possa provocare “effetti mutageni e cancerogeni, ipertensione, intossicamento cardiovascolare e polmonare, intossicamento nervoso, come anche la morte”, il suo impiego sta rapidamente aumentando. Un rapporto dell’International Association of Chiefs of Police (IACP) ha documentato almeno 113 “morti accidentali” collegate al “pepper gas” negli Stati Uniti. Cfr. ROBIN BALLANTYNE, The Technology of Political Control, in “Covert Action Quarterly”, n. 64, primavera 1998.

[102]Nella figura del “terrorista” si opera lo slittamento da nemico riconoscibile e convenzionale a incarnazione del “male assoluto”. Lo Stato potrà quindi colpire senza limiti questa manifestazione occulta del maligno, fino alla vittoria delle forze del “bene”. Nella “guerra al terrorismo” funziona al massimo regime quella macchina per l’imbottimento dei crani analizzata in ANNE MORELLI, Principi elementari della propaganda di guerra (utilizzabili in caso di guerra fredda, calda o tiepida), Ediesse, Roma, 2005.

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