Avvisaglie di un disastro

Ieri mattina, mentre la polizia perquisiva e arrestava preventivamente, in vista del G8 a L’Aquila, 21 studenti e compagni in tutta Italia, di cui 12 nella sola Torino, su alcuni giornali faceva capolino una piccola notizia, quasi insignificante: era stato svelato il «mistero della terza molotov.»  Facciamo un passo indietro. Nei giorni scorsi, due bottiglie incendiarie sono state scagliate da ignoti contro un rudere nel quartiere Barriera di Milano, perché era abitato da alcuni giovani poveri, italiani, due dei quali stavano per rimanere arrostiti dalle fiamme. Niente di strano, in un quartiere in cui ignoti bruciarono un campo rom in via Vistrorio, alla fine del 2007. E in cui onesti cittadini organizzati in ronde sprangarono presunti tossici alla fermata del tram.

La terza molotov, la stessa notte, era stata lasciata su un marciapiede del parco del Valentino, proprio sotto la stalla della polizia. Per qualche giorno c’era il dubbio che quella bottiglia fosse in qualche modo diversa dalle altre, che provenisse dall’altro lato della barricata. Niente di tutto questo. Riconosciuto dalle immagini delle telecamere, l’autore ha confessato. Non importa chi sia, ma le motivazioni che lo hanno spinto a farlo: era infastidito dal rumore di una festa, e voleva semplicemente farla smettere. Salvo poi ripensarci al passaggio di una macchina della polizia, e appoggiare inavvertitamente la bottiglia proprio sotto le telecamere della questura.

Gesti isolati, si dirà. Come la candeggina tirata su una donna di Capo Verde e i suoi due bambini, per sbiancargli la pelle e farli smettere di ridere troppo forte, in un condominio di Barriera di Milano, ancora lei. Come il petardone esploso nell’edificio che dovrà ospitare una moschea in via Urbino nel quartiere Valdocco. Come l’auto e il furgone saltati in aria in corso Principe Oddone, perché appartenevano a due marocchini. Come l’aggressione a un fisioterapista in una discoteca, pestato semplicemente perché nero. Gesti isolati? Può darsi. Ma solo a metterli in fila delineano un panorama terrificante. E spesso, le azioni individuali o di piccoli gruppi sono in grado di esprimere il clima generale meglio di qualsiasi statistica sull’intolleranza dilagante. Sono opera di pazzi squinternati? Troppo facile. E i pazzi, si sa, sono spesso preveggenti, o solo senza tabù residui di un tempo in cui la vita umana valeva qualcosa. Sono le avanguardie di un disastro che incombe, i fulmini di una tempesta che si staglia oramai ben al di qua dell’orizzonte, in rapido avvicinamento.

Queste molotov, oltre a indicare un progresso tecnico nell’offensiva, dimostrano anche che il razzismo è già obsoleto. Perché gli obiettivi possono benissimo essere italiani, senza casa e senza lavoro, o semplicemente fracassoni. Di fronte alla caserma di via Asti, una ricca signora di Borgo Po ha dichiarato: «Non sono razzista. Non ce l’ho coi profughi africani. Ce l’avrei anche se ci vivessero dei giovani italiani nullatenenti e nullafacenti.» Esattamente. Il prossimo governo colmerà questa lacuna del pacchetto sicurezza. E la polizia non chiederà più il permesso di soggiorno, ma direttamente e democraticamente il contratto di lavoro. Nessuno scampo per i nullatenti e nullafacenti. Prepariamoci ai campi di lavoro per i disoccupati, senza distinzione di razza, di sesso, o di religione.

Il progetto più ambizioso degli apprendisti stregoni della sicurezza non è quello di eliminare la guerra di classe, di congelarla, quanto piuttosto quello di rovesciarla, e farla scatenare. Ogni tentativo rivoluzionario dovrà necessariamente fare i conti e sporcarsi le mani e la coscienza con questa condizione di guerra civile. Piovono moltov, quindi. E ne pioveranno. Sarà un diluvio di fuoco. Da che parte cadranno? E contro chi? Dipende da quale parte soffierà più forte il vento.