Il punto da Parigi

Da Parigi, il punto sugli arresti che, dalla fine di dicembre fino a questi giorni, hanno coinvolto alcuni dei compagni attivi nella lotta contro la macchina delle espulsioni (e non solo). In fondo, una lettera dal carcere di Olivier e il resoconto di una recente iniziativa in loro solidarietà.

Bruno
È stato arrestato ad un posto di blocco della polizia nella metro di Parigi il 21 dicembre scorso, e si trova in carcerazione preventiva nella prigione di Fresnes. Da gennaio a maggio del 2008 aveva già scontato 4 mesi e mezzo: appena uscito sotto controllo giudiziario, nel luglio 2008, si era reso latitante. L’accusa specifica contro di lui, insieme a due altri compagni (uno latitante, Ivan, e uno sotto controllo giudiziario, Damien) è di aver fabbricato e trasportato un fumogeno artigianale e dei chiodi a tre punte, trovati nella loro macchina qualche ore prima di una manifestazione davanti al Cie di Vincennes.
Inoltre, Bruno rimane sotto accusa con 5 altri compagni (Ivan, Damien, Farid, Isa, Juan) per «associazione di malfattori con finalità di terrorismo» (l’equivalente francese del 270bis). I fatti specifici contro gli altri compagni sono, secondo i casi, un sabotaggio nel corso del movimento anti-Cpe del 2006 contro un segnale elettrico delle ferrovie alla periferia di Parigi, l’incendio mancato (l’ordigno non si è innescato) di un veicolo degli sbirri durante lo stesso movimento a Parigi, il possesso della mappa originale di una galera per minori in costruzione e di chili di una «materia incendiaria o esplosiva» (clorato di potassio), trovati in una macchina fermata dagli sbirri ad un casello dell’autostrada. L’«associazione» è basata, secondo i giudici e l’anti-«terrorismo» sul fatto che gli imputati si conoscono (stessa casa occupata per alcuni, il fatto di essere stati fermati insieme per altri, ecc.), che alcuni sono accusati di più fatti specifici (collegando questi fatti tra loro) e che avrebbero uno scopo eversivo comune: «contro lo Stato ed il Capitale, e in particolar modo contro le galere e i Cie». Il nome dell’«associazione», mai apparso prima, l’hanno dato i geni del anti-«terrorismo»: mouvance anarcho-autonome (Maaf), che sarebbe più o meno «movimento/area anarco-autonomo».

Olivier, Dan e Camille
Loro sono stati arrestati nel quartiere di Belleville a Parigi la notte del 13 gennaio 2011. Sono tutti e tre accusati di «danneggiamento aggravato», per delle scritte qualificate dai giudici come «eversive»: «viva l’insurrezione in Algeria e in Tunisia», «Morte agli Stati», «viva l’anarchia», ecc. Camille è uscita del carcere femminile di Fleury Merogis il 19, e si trova ora ai domiciliari con permesso di uscire per andare al Università o al lavoro (e a firmare al Tribunale una volta alla settimana!). Ad Olivier e Dan è stato negato di andare ai domiciliari, rimangono quindi nel carcere di La Santé.
Dan era già sotto accusa dal febbraio 2010 per delle scritte dentro una banca Bnp nel corso di una manifestazione selvaggia a Barbès (Parigi) nel dicembre 2009. Olivier era già sotto accusa dal febbraio 2010 per l’incendio di un bancomat, e da giugno 2010 per «danneggiamento aggravato» (è stato pedinato mentre comprava la colla che, secondo gli sbirri, sarebbe servita qualche ora dopo per danneggiare una agenzia Air France con dei manifesti apparsi durante una breve occupazione).

Ricordiamo che dal dicembre 2009 al giugno 2010 si sono moltiplicate in varie città iniziative in solidarietà con i dieci sans-papiers accusati dell’incendio del Cie di Vincennes del giugno 2008 (sono stati condannati nel marzo 2010 ad anni di carcere). A Parigi ci sono state manifestazioni selvagge nei quartieri, dibattiti, striscioni e scritte, ma anche all’incirca 80 bancomat sabotati (con acido, a colpi di mazza o incendiati), brevi occupazioni di agenzie della Air France, della Sncf o di Carlson Wagon Lits Travel (che prenota i posti degli espulsi sugli aeri e sulle navi), scritte, manifesti e colpi di mazza sulle vetrine della Croce Rossa, di agenzie interinali o di Bouygues (costruttore di Cie e galere), scritte nei tribunali, ecc.
Il 15 febbraio e l’8 giugno 2010, l’anti-«terrorismo» aveva eseguito prima 8 e poi 6 perquisizioni contro 15 compagni, portando per ora a 7 di loro sotto accusa, più 3 altri coinvolti. Secondo i giornali, gli stessi sbirri (Brigade criminelle de Paris-section anti-terroriste) starebbero lavorando su 12 inchieste, che secondo più l’impressione di molti starebbero per confiulire in una sola e nuova «associazione eversiva» basata sulla tematica della «perturbazione della macchina delle espulsioni» e dei Cie.

François
È stato arrestato il 19 gennaio nel pomeriggio mentre usciva da una sede di compagni a Bagnolet (periferia est di Parigi) e portato il giorno dopo nel carcere di Fleury Merogis. Lui è sotto accusa sia per nelle perquisizioni di febbraio e che quelle di giugno 2010 (come Olivier), in un caso per un attacchinaggio su una banca durante una manifestazione selvaggia, nell’altro perché visto – secondo gli sbirri, che si basano su delle registrazioni di telecamere – in metropolitana 30 minuti dopo e ben al di là dei fatti con un altro compagno accusato di aver partecipato al danneggiamento di una agenzia della Sncf il 17 marzo, giorno del verdetto contro i 10 sans-papiers condannati per l’incendio del Cie di Vincennes. François è uscito sotto controllo giudiziario il 28 gennaio.

Per finire…
Sembra chiaro che i bastardi dell’anti-«terrorismo» si diano da fare contro i compagni di Parigi. I dossier (gli atti giudiziari) fanno già migliaia di pagine, ed ogni segno di dissenso contro la macchina delle espulsioni è oggetto delle loro attenzioni (decine di perizie sulle scritte, sulla colla dei manifesti, sugli striscioni sui ponti o sulle impalcature, centinaia di ore di riprese di telecamere urbane, di strada, di bancomat o della metro, decine e decine di analisi Dna o impronte digitali).
Niente di nuovo, e con tutto questo accuse basate solo su momenti pubblici come manifestazione nelle strade, occupazioni o presenza solidale nei tribunali. Chiaro poi che ogni pretesto gli serve per incarcerare, come nel caso di Olivier, Dan e delle scritte solidali con gli insorti in Tunisia e contro i potenti (definite dai giudici come «forma minimale di azione diretta che porta poi al compimento di atti molto più gravi» che «oltrepassa i limiti della libera espressione democratica»).
Infine, visto che il potere sta spingendo su un argomento più che sociale – la lotta sia dentro che fuori i Cie contro la macchina delle espulsioni o la solidarietà nei quartieri con gli insorti del Maghreb -, basandosi sulla paura dell’incontro di certe pratiche di conflittualità diffusa con delle idee sovversive, la solidarietà non dovrebbe fare troppo fatica a poter esprimersi… continuando la lotta.

Per avere più informazioni in francese sulla macchina delle espulsioni potete dare una occhiata qui, mentre se volete maggiori dettagli sugli ultimi arresti, cliccate qui, oppure qui. Eccovi invece una lettera dal carcere di Olivier e il resoconto di una iniziativa in solidarietà con gli arrestati di qualche giorno fa.

 

Non siamo in prigione per delle scritte sui muri…

Prigione della Santé [Parigi], 21 gennaio 2011.

Siamo stati arrestati in strada, a Belleville, dalla BAC [unità di polizia che spesso operano “in borghese”, NdT]. Due pattuglie giravano, sapendo quello che cercavano. Nello zaino, gli sbirri ci trovano una bomboletta e le nostre dita sono un po’ troppo nere per i loro gusti. Il nostro passaggio in commissariato non dura a lungo: giusto il tempo che i pulotti tirino fuori la panoplia dei loro trucchi, meno per farci parlare che per metterci addosso la tensione. Nel pomeriggio del 13, quelli della SAT-Brigade Criminelle [section antiterroriste, sezione antiterrorismo della polizia parigina, NdT] vengono a cercarci, sorridenti. Da quel momento è abbastanza chiaro che le scritte saranno solo un dettaglio insignificante, un pretesto per tenerci.

“È stupido, vi eravate calmati, tutta questa storia stava finendo, ma avete ricominciato”. Qualche tentativo di interrogatorio, per la forma. Prima ancora, le perquisizioni, per aggiornare i loro archivi, mettere un po’ di casino. Negli uffici, gli appunti appesi ci informano delle denunce sporte dalla Croce Rossa. I sospetti si concentrano in fretta su di noi. Già al commissariato del XX arrondissement gli sbirri parlavano di una riunione straordinaria fra di loro, dopo una chiamata dell’antiterrorismo, a proposito dei danni fatti a diversi locali della Croce Rossa, la notte fra l’11 e il 12 gennaio. Altre scritte hanno colpito la “Casa della giustizia e del diritto”, nel X arrondissement. L’antiterrorismo che si agita per delle scritte sui muri? C’è qualcosa che stona. La notte del nostro arresto si tratta di scritte che portano messaggi di solidarietà con le rivolte delle ultime settimane in Tunisia e Algeria, contro lo Stato, sia esso dittatoriale o democratico. Ci interrogano a proposito di quelle scritte, ma anche a proposito di quelle della notte precedente, con il pretesto che i temi sarebbero prossimi (è vero che pochi manifestano la propria ostilità nei confronti dello Stato…) e che certe espressioni, come “Crepi lo Stato” compaiono in entrambi i casi.

Al di là di questi fatti specifici, ci viene contestata soprattutto la continuità delle attività, della nostra partecipazione alle lotte, e quindi dei legami di complicità ed amicizia tessuti nel corso di tali lotte. In questo contesto, la prigione per punire il divieto, per due di noi, di incontrarci e di comunicare, ha chiaramente come fine l’annientamento ogni forma di lotta e di organizzazione informale che sfugga al quadro democratico e al suo controllo sociale.

L’associazione a delinquere, anche se non viene formalmente evocata nel nostro caso, resta l’ossessione di chi utilizza ogni fatto, anche così “anodino” come delle scritte, dei fumogeni, degli attacchinaggi, per farlo rientrare nella casella “movimento anarco-autonomo”. Una costruzione, questa, molto utile per separare gli uni, terrorizzare gli altri, smarcare eventualmente i “leader” dai “simpatizzanti”, “teorizzatori” e “attacchini di manifesti”, “preparatori” ed “esecutori”, cioè secondo il modello autoritario e gerarchico che è quello della società che noi combattiamo, e che ci disgusta sotto tutti gli aspetti. Questo genere di attacchi repressivi, in un momento in cui certe lotte, contro i centri di detenzione e tutte le forme di carcere, per esempio, sembra sottotono, servono loro come “precauzione”, al fine di bloccare sul nascere ogni velleità di conflittualità contro quello che ci domina. Le denunce regolari della Croce Rossa partecipano in pieno a questa offensiva degli sbirri, con i quali essa non perde occasione di collaborare. Mano nelle mano nella gestione delle prigioni, mano nella mano nella repressione delle lotte antiautoritarie. Un po’ di vernice per questi umanitari dalle mani rosso sangue è il minimo…

Al di là di questa o questa pratica o mezzo impiegato nella lotta (perché sono evocati ad egual titolo incendi, distruzioni, semplici danneggiamenti, occupazioni collettive…) è questa lotta stessa, e quello che essa porta in sé in termini di desideri e prospettive (un mondo senza sfruttamento, senza denaro, senza prigioni, senza Stato), che il potere vuole soffocare. Ciò non è affatto conseguenza di uno stato o di leggi “d’eccezione”. La libertà e la democrazia non hanno nulla a vedere l’una con l’altra. Bisogna essere dei bei bugiardi per sostenere il contrario. Quello che fa loro girare le palle, è che la nostra rabbia, le nostre rivolte, le nostre lotte non hanno nulla da reclamare, nulla da concedere, nulla da rinnegare, nulla da mendicare. Lasciamo volentieri tutto questo ai professionisti ed opportunisti della politica. Allo stesso modo, le nostre amicizie, le nostre affinità non sono negoziabili. La libertà che noi volgiamo è incondizionata.

Uno slogan della rivolta in Kabilia diceva: “Voi non potete ucciderci; siamo già morti”.
Lo Stato può anche sbatterci in galera, ma sono i rapporti sociali esistenti che ci imprigionano in ogni caso. C’è una cosa che noi non dimentichiamo: abbiamo una vita sola.
Riassumiamo: “Nessuna libertà per i nemici del potere”, ci dicono. Noi rispondiamo: “Nessuna pace per i nemici della libertà”.

Olivier

 

Passeggiata in solidarietà con i rivoltosi, a Parigi.

Martedì [25 gennaio, NdT] a mezzogiorno, una trentina di persone motivate si sono ritrovate a Belleville, in solidarietà con la lotta in Tunisia, Algeria e altrove, e con i compagni che si sono ritrovati in gattabuia per aver lottato a proposito di questo soggetto o a proposito della lotta contro il centro di detenzione di Vincennes.

 

Dopo un piccolo scambio di volantini, in cui ci siamo passati i differenti pezzi di carta che gridavano in maniere diverse quello che volevamo dire, siamo partiti lungo la via Belleville.

 

Al grido di: “Algeria, Tunisia, Parigi, insurrezione”, “Algeria, Tunisia, Parigi, potere assassino”, “Algeria, Tunisia, Parigi, sbirri porci assassini”, “Abbasso tutti gli Stati”, “Libertà per tutti, con o senza documenti”, “Dittatura, democrazia, potere assassino” e altri, migliaia di volantini sono stati diffusi e un mucchio di manifesti incollati da una banda mobile e ben motivata.

 

Dopo un giro per il quartiere siamo tornati, senza incidenti, alla stazione del metrò.

 

Ci siamo fatti ben sentire, è fattibile dovunque e semplice, viva l’immaginazione di ciascuno e la libertà!