I cocci dei Cie

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Nell’ultimo anno è apparso chiaro quanto la macchina delle espulsioni sia in forte difficoltà, se non persino vicina al collasso. Il motivo principale – come detto più volte – è che le strutture che tengono ingabbiati i senza-documenti sono state fortemente danneggiate dal fuoco delle rivolte. La rabbia dei reclusi ha imposto, nei fatti, un forte ridimensionamento dei posti a disposizione fino a far chiudere sette Centri, dichiarati totalmente inagibili; per mesi diverse gare d’appalto per la gestione di alcuni Cie sono andate deserte e da più parti si sono alzate voci per chiedere la riduzione dei tempi di permanenza, anche nel tentativo di raffreddare gli animi all’interno dei Centri.

Tuttavia il problema non è solo quello delle strutture fisiche, ma anche quello del funzionamento generale del meccanismo delle espulsioni. Non a caso nel recente “Rapporto sui Centri d’identificazione ed espulsione”, redatto da un’apposita commissione parlamentare, emergono altre criticità come l’identificazione lenta e sommaria da parte delle autorità consolari, la disomogeneità degli accordi sui rimpatri tra i vari Stati, la vicinanza o meno di aeroporti o di collegamenti con i paesi di rimpatrio. Certo, questi problemi ci sono sempre stati dacché esistono i Centri e la macchina delle espulsioni è sempre stata un po’ farraginosa fin dai tempi della Turcocopertina-global.png-Napolitano. Ma può dare da pensare che proprio adesso, dopo anni di rivolte e danneggiamenti, addirittura al Viminale comincino a parlare di superamento dei Centri. O che lo lascino per lo meno intendere, perché in realtà di soluzioni alternative non ne hanno e questo comporta un accanimento terapeutico sulle poche strutture ancora in funzione. I corpi moribondi di alcuni Centri stanno subendo, con tempi e modi diversi, una ristrutturazione che non solo li renderà di nuovo agibili, ma che potrebbe aprire la porta ad altre possibili destinazioni d’uso. Il primo esempio è quello di Gradisca d’Isonzo dove la recente rimessa a nuovo ha aperto un dibattito su quale potrebbe essere la destinazione di questa struttura, in tempi in cui “il problema” di come gestire chi scappa, in massa, dai conflitti che scuotono l’Africa e il Vicino oriente ha quasi del tutto oscurato il “problema” di come gestire chi, semplicemente, non è in regola con i documenti. Le strutture d’accoglienza esistenti sono numericamente insufficienti rispetto al numero in continuo aumento degli aspiranti profughi. Già da qualche mese il centro di Gradisca offre una soluzione temporanea ai richiedenti asilo quando non riescono a essere ospitati altrove, ma la discussione su quale sarà la destinazione d’uso ufficiale del Centro è ancora aperta. Discorso simile per quanto riguarda la ristrutturazione del Cie di Palazzo San Gervasio, che va avanti in sordina da ormai un anno senza che si sappia con chiarezza quale sarà il suo futuro utilizzo. Infine l’ex Cie di via Mattei a Bologna sembra ormai del tutto destinato al suo ruolo di “Hub regionale”, una sorta di centro smistamento profughi da destinare poi a varie altre strutture d’accoglienza.

Questione diversa quella di Caltanissetta dove la polifunzionalità della struttura che ospita Cda, Cara e Cie non è mai stata messa in discussione ed ha colpito persino la Commissione europea per i diritti umani che l’ha definita l’unico modello d’eccellenza in Italia per gli standard dell’accoglienza. Anche i reclusi hanno però una loro opinione sull’eccellenza del Centro, tanto che questo autunno sono continuati i tentativi di fuga e le rivolte.

A Bari il Centro è stato ristrutturato da poco e poche settimane fa si è svolta una gara d’appalto per ulteriori non specificati “lavori di completamento”, che saranno realizzati dall’azienda pugliese Ieva Michele SNC. I Cie di Roma e Trapani Milo, al pieno delle loro possibilità detentive, risultano avere un numero esiguo di presenze, senza che se ne capisca bene il motivo. Tra le possibilità che saltano alla mente c’è sicuramente la volontà di non creare situazioni di tensione tra i reclusi, per migliorare la gestibilità interna e rendere un po’ meno frequenti danneggiamenti e rivolte. Ma questa è un’ipotesi e, anche se valida, non sarà di certo l’unica risposta che ci si può dare; in mancanza di altri elementi toccherà per il momento sospendere il giudizio.

A Torino – lo sappiamo già – i lavori procedono, seppur con qualche piccolo intoppo. L’obiettivo minimo è quello del raggiungimento di 90 posti effettivi, poco meno della metà della possibilità di capienza totale. Da pochi giorni ha aperto ufficialmente l’area bianca che rinchiude ora 16 persone divise in quattro camerate mentre l’area rossa sembra pronta per essere utilizzata ma risulta per il momento ancora chiusa. Sulla sua funzione non ci sono dubbi: Cie è e Cie rimarrà – peraltro l’unico del nord Italia dopo la trasformazione in Cara di quello milanese – e ce lo confermano gli ultimi arrivi provenienti da retate avvenute addirittura nei dintorni di Pescara.

Tuttavia, anche in quei Cie che rimangono tali, la funzione di identificazione ed espulsione dei senza-documenti potrebbe non essere oramai l’unica. In realtà era già previsto che nei Cie potessero essere rinchiusi dei cittadini comunitari in attesa di espulsione in quanto “socialmente pericolosi”, ma alcune dichiarazioni emerse in questi giorni potrebbero dare ad intendere una loro prossima evoluzione in direzione più strettamente repressiva. Alfano stesso ha recentemente ipotizzato che dentro ai Cie possano venir rinchiusi quei richiedenti asilo che presentano un profilo di pericolosità sociale tale da giustificare un trattamento più restrittivo rispetto a quello di un Cara. Ed è recentemente apparso sulla stampa il fatto che in Corso Brunelleschi siano transitati, seppur per pochi giorni, dei sospettati di jihadismo, stranieri ma con in tasca un regolare permesso di soggiorno. Insomma, pur non volendo per ora dare troppo peso alle dichiarazioni di politici e giornalisti, si potrebbe intravedere, per un prossimo futuro, una possibile apertura a situazioni che richiedono uno spazio detentivo diverso dal carcere ma con delle caratteristiche di controllo affini. Del resto già nel documento programmatico che nel 2013 fu redatto dall’allora ministro dell’Interno Cancellieri si alludeva a una differenziazione nell’utilizzo degli spazi delle strutture, con l’auspicio di creare «moduli idonei a ospitare persone dall’indole non pacifica». In quel caso si alludeva a reparti destinati a chi nel Cie fa troppo casino,  ma si può ipotizzare come, anno dopo anno, proposta dopo proposta, qualcosa cambi sul serio in direzioni non del tutto inaspettate.

Insomma, è molto difficile ipotizzare nel dettaglio quale sia il futuro dei Centri italiani per senza-documenti. L’impressione che abbiamo è che la partita sia ancora aperta; e sappiamo pure che, per quanto ridimensionati, continuano a ricoprire la loro solita funzione intimidatoria e di ricatto per tutti coloro che non hanno i documenti in regola e per chi, avendoli, vive nella costante minaccia di vederseli togliere. Ma non solo, le vicende bresciane degli scorsi giorni ci dicono che i Cie sono e rimangono posti utili per rinchiudere tutti coloro che rompono le scatole, protestano e osano alzare la voce.

A fronte di queste considerazioni dove allora dirigere lo sguardo per capire come portare avanti la lotta contro i Cie e la macchina delle espulsioni?

Quello che emerge senz’altro è un paradosso evidente. La forza materiale che ha distrutto quasi completamente i Centri – costringendo quindi giornalisti fino al giorno prima ciechi e muti a denunciare la disumanità di queste strutture, politici fino ad allora complici a chiederne la chiusura e mettendo addirittura il Governo nella situazione di chi non sa evidentemente che pesci pigliare – è di fatto al lumicino proprio ora che potrebbe dar l’ultima spallata: quel che è demolito dei Cie è stato demolito da chi vi era rinchiuso, ma i reclusi di conseguenza son diminuiti tanto da esser troppo pochi e dispersi per finire il lavoro.

Certo, non si può aspettare che la macchina torni a funzionare a pieno regime, che quindi dentro ai Centri il clima si scaldi nuov16297_img_big1.jpgamente e che… si debba ricominciar tutto daccapo. Ora, evidentemente, tocca a chi sta fuori, all’iniziativa autonoma di chi nei Cie non ci è mai stato e forse non ci entrerà mai. Non è certo una proposta nuova, questa, ma se prima era solo un pezzo della lotta, in questo momento è centrale. Una buona indicazione, dunque, ce la forniscono proprio quei lavori di ristrutturazione che stanno rimettendo in piedi alcune delle strutture danneggiate. A dirlo, è semplicissimo: si debbono mettere i bastoni tra le ruote a queste ristrutturazioni, infastidire le ditte che coinvolte e, quando possibile, impedirne lo svolgimento. Come avete visto in queste settimane qualcosa in questo senso si muove, per lo meno qui a Torino. Troppo poco senza dubbio, e forse troppo tardi; anche perché in troppo pochi si stanno facendo carico di una lotta che, almeno in teoria, dovrebbe interessare a molti e che, almeno in teoria, si potrebbe pure vincere.

Da parte nostra vi giriamo questa lista, sicuramente incompleta, preparata da chi in questo periodo si sta occupando di più dell’argomento. Far circolare le informazioni su chi lavora e guadagna sulla pelle dei reclusi, inchiodarli alle loro responsabilità, è sempre una buona cosa. Ma ora, che l’esistenza dei Centri è legata al filo dei lavori in corso e che questi lavori sono nelle nostre mani, è essenziale.

Ditte impegnate nella ristrutturazione del Cie di Torino:

COEMA Edilità SRL
Corso Unione Sovietica 560 – Torino
Via Donati 14 – Torino
Via Carpice 15/B – Moncalieri (TO)
www.coema.com – info@pec.coema.com
Telefoni 0113970222 – 0113473815 – Fax 0113283555

CAR.FER. SNC
Via Torino 80/b – Druento (TO)
www.carfer.it – car.fer@infinito.it – info@carfer.it
Telefono 0119945056

TERMOTECNICA FUTURA SNC
Via Martiri della Libertà 81 – Mathi (TO)
www.termotecnicafutura.it
Telefono 0119268604

GARIGLIO SPURGHI
Via San Benigno 124 – Volpiano (TO)
www.garigliocanaljet.it – info@garigliotorino.com
Telefono 0119882274  – Fax 0119885416

B&B Pavimenti SRL
Via Togliatti 50 – Savigliano (CN)
www.beb-online.com – info@beb-online.com
Telefono 017222388 – Fax 017271139

CERIT (c/o Studio Di Virgilio – SI SNC)
Via Muriaglio 8/C – Torino
studiodivirgilio.geocow.it – www.sisnc.it
studio.immidivirgilio@tiscali.it – s.i.sncitalia@gmail.com
Telefono e Fax 0113853828

IL.MA SNC
Vicolo San Giacomo 9 – Carignano (TO)
Telefono 0119699728

Ditte impegnate nella ristrutturazione del Cie di Bari:

IEVA MICHELE SNC
Via Marco Aurelio Nemesiano 61 – Andria (BA)
Via Manzoni 76 – Andria (BA)
www.ievamichelesnc.it – info@ievamichelesnc.it
Telefono e Fax 0883552501

Ditte impegnate nella ristrutturazione del Cie di Caltanissetta:

LA GARDENIA COSTRUZIONI SOC. COOP.
Via Platone – Contrada Conti – Mussomeli (CL)
Contrada Polizzello – Bivio Mappa (CL)
Telefono 0934991315

Ditte impegnate nella ristrutturazione del Cie di Palazzo San Gervasio:

IMPRESA EDILE RAGUSO ANTONIO
Via Nazionale 39 – 70020 Poggiorsini (BA)
Via XX Settembre 37/A – 37/C – Poggiorsini (BA)
http://www.impresaraguso.it/ – impresaraguso@hotmail.it – impresaraguso@pec.it
Telefoni 0808979350 – 3333948968 – 3928085461 – 3928085433 – Fax 0803146001