Mercati e carretti

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Che fosse in atto una ristrutturazione nella gestione dei mercati torinesi è chiaro da tempo. Stavolta non ci riferiamo a quello un tempo irregolare della domenica, in continua diaspora nelle zone dismesse a nord della città dopo la cacciata manu militari da Porta Palazzo, né alla nuova gestione del Balon, diventato grazie a un continuativo lavoro di marketing una delle immagini principali della città estetica, dispositivo per attirare investimenti nel tessuto urbano.

All’attenzione dei governanti sono da tempo anche i quarantadue mercati rionali e quotidiani, frutto nei decenni delle trasformazioni demografiche della città, dell’esigenza capillare di distribuzione di generi di prima necessità nella città industriale che fu. Ma se un tempo la funzionalità economica del mercato era quella di offrire vettovaglie e capi d’abbigliamento alla portata delle magre tasche operaie, oggi non è più così. Qualcuno nel corso degli ultimi anni è stato soppresso come quello di via Plava a Mirafiori Sud, altri ridotti a qualche banco due giorni alla settimana come nel caso di piazza Crispi, mentre altri ancora sono oggetto di progettualità più elaborate come il rifacimento della piazza gestito da Urban Barriera nel caso del mercato Foroni. In questo ridimensionamento generale spicca invece la nascita del Mercato Metropolitano nella vecchia Porta Susa, trasformata in piattaforma commerciale e chic di prodotti la cui eccellenza sbandierata è nettamente superata dagli esosi prezzi.

Il caso più interessante di questa nuova gestione e dei suoi obiettivi rimane tuttavia quello di Piazza della Repubblica. Da un lato piani di studio elaborati dal Politecnico sulla competitività delle attività che lo formano, promozione delle bellezze della vita della piazza attraverso una guida turistica dei mercati e un portale web del Comune che ne tesse le lodi storiche e sociali, eventi culturali promossi dall’agenzia The Gate; dall’altro costi in continua crescita per i gestori dei banchi e avversità che di tanto in tanto ritornano sul rinnovo delle licenze. In contemporanea sulle pagine delle testate locali compaiono articoli che prendono in esame le merci ivi vendute: i generi alimentari di basso costo non attirano i turisti, manager in pausa pranzo o chiunque esprima la “domanda” di pasti particolari e pronti al consumo come quelli che già i tanti nuovi supermercati in centro propongono. Porta Palazzo deve cambiare la sua funzionalità perché la sostenibilità economica lo esige, il target di clienti a cui puntare deve essere più profittevole di quello attuale. I banchi delle parti coperte devono diventare delle gastronomie curate che preparino piatti della tradizione o street food sulla scia di quelli che sono i grandi mercati turistici europei, in primis quello della Boqueria di Barcellona. Qualcuno dei pescivendoli con più pecunia e fiuto imprenditoriale di altri capisce l’aria che tira e decide di far il “salto di qualità”, e così la sua attività attraversa la piazza, finisce al piano terra del Social Housing della San Paolo e diventa una pescheria-bistrot, con tanto di dehor in stile parigino e un listino di prezzi a dir poco salato.

Lungi dal voler far un’apologia del mercato tradizionale rispetto al restyling in atto, ci sembra tuttavia importante continuare a vedere come il Comune costruisca il nuovo profitto urbano inasprendo sempre di più la vita di alcune parti di popolazione per favorirne altre, in soldoni come affina dall’alto la lotta di classe, le dinamiche di sfruttamento, in funzione dell’economia post-industriale di Torino. A Porta Palazzo lo si vede bene e quotidianamente come quando l’estate scorsa, nei primi giorni d’agosto, sono state sgomberate le ghiacciaie di via Delle Orfane, vera e propria città sotterranea e deposito secolare del mercato prima per la conservazione degli alimenti e poi per lo stazionamento notturno dei carretti contenenti i banchi smontati.

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Gli amministratori pubblici offrirono allora una soluzione di parcheggio gratuita ma momentanea all’interno dei ricostruiti bastioni della città in prossimità delle Porte Palatine. Ma la concessione è scaduta il 1 marzo e dopo un piccolo rinnovo ottenuto con una trattativa concitata con le istituzioni, si è arrivati a qualche giorno fa. Lunedì, infatti, dopo la fine del mercato non è stato possibile riporre là i carretti  perché numerosi vigili controllavano che le direttive comunali fossero rispettate. Che ci sia in ballo un ricorso degli ambulanti al TAR poco importa, per ora il Comune lascia chiuso. Non a caso lo stesso giorno anche i sotterranei del fulgido PalaFuksas, possibile rimessa alternativa dove finivano già i banchi dell’abbigliamento, hanno chiuso i battenti con pattuglia di sorveglianza; si vorrebbe alzare i costi dell’affitto e fino a quel momento lo spazio rimarrà vuoto. Gli ambulanti non ci stanno e per ora non gli resta che lasciare in piazza le decine di mezzi in questione. Dall’altro canto la soluzione auspicata dal Comune è proprio quella della risoluzione del problema con l’assorbimento nel mercato privato dei depositi.

Staremo a vedere come si concluderà l’ennesimo pezzettino di ristrutturazione di Porta Palazzo da mercato popolare a simbolo urbano. Intanto voci corrono sul futuro dei bastioni, soprattutto quella dell’assessore Mangone. Già da tempo l’amministratore al Lavoro e al Commercio torinese parla di nuovi Murazzi, promuove l’idea di ristorantini e locali nell’atmosfera storica e suggestiva dell’ex cinta muraria e sottolinea l’importanza del profitto che portebbero esercizi commerciali d’intrattenimento serale e notturno.