Qualche parola in più

 

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A qualche giorno dall’annullamento dei divieti di dimora ci par necessario dire qualcosa in più delle poche entusiaste righe scritte per darne la lieta notizia.

E partiamo proprio da un convinzione che ci muove da sempre, quello che la lotta paghi.

Paga semplicemente perché lottare contro lo sfruttamento e l’oppressione connaturati al capitalismo ci sembra non solo l’unica cosa giusta da fare ma anche l’unico modo sensato di vivere. Facciamo fatica a immaginare una vita degna di essere vissuta in cui non ragionare, sognare e provare concretamente a creare problemi sempre più grossi a padroni e governanti. E sono proprio la bontà e la validità dei percorsi di lotta che portiamo avanti i criteri attraverso cui cerchiamo di orientare il nostro agire. In tutto questo la repressione, intesa come attività di giudici, Pm e poliziotti nel contrastare le lotte, ha certamente un peso. Si tratta infatti di un elemento che al pari di tanti altri contribuisce a determinare l’andamento dei nostri percorsi.

Non è però cosa facile valutare quale sia il rapporto tra l’avanzare della repressione e l’indietreggiare di una lotta. Molte volte si esagera la portata di questa e si riconoscono quindi all’azione giudiziaria molti più meriti di quanti ne abbia realmente. Molte volte la repressione mostra i muscoli quando le lotte stanno già incontrando le loro difficoltà piuttosto che essere la prima causa di queste. Ancor più complicato però è valutare se e quanto una lotta riesca a far fare qualche passo indietro a polizia e Tribunale. Non essendo uomini e donne di Tribunale siamo portati ad avere certamente un visione semplificata dei diversi interessi che determinano gli orientamenti delle varie sezioni di giudici, ed è quindi un terreno scivoloso quello che porta a valutare l’efficacia di ciò che facciamo in risposta a delle operazioni giudiziarie in base alle decisioni poi prese a riguardo dai giudici.

Difficile affermare con certezza, ad esempio, che sia stato il coraggio dei dodici banditi e di chi ha raccolto la loro scommessa, costruendo un fitto calendario di iniziative, a spingere i giudici del Riesame a cancellare i loro divieti di dimora. Non si può però non sottolineare come questa decisione sia in netta controtendenza rispetto a quelle prese negli ultimi tempi in sede di Riesame. A fronte di decine e decine di ricorsi presentati ultimamente contro misure cautelari per fatti penalmente poco rilevanti relativi ad episodi di lotta, si possono contare sulle dita di una mano quelli andati a buon fine. Del resto anche la rapidità e perentorietà con cui in questo caso sono stati annullati i divieti di dimora fanno pensare che la sfida lanciata dai dodici banditi abbia un po’ scombussolato il normale iter di questo pezzo di Tribunale. Saranno necessari altri tentativi reali di puntare i piedi, senza che ciò significhi necessariamente violare le misure cautelari, per provare a farsi un’idea un po’ più chiara di quali conseguenze possa avere il nostro agire su un piano giudiziario.

Non è però necessario attendere di raccogliere ulteriori elementi per provare a fare qualche riflessione sulla mobilitazione “Da qui non ce ne andiamo”. Come abbiamo avuto occasione di dire più volte in queste ultime settimane, continuiamo ad essere convinti che la miglior risposta da dare a poliziotti e uomini di Tribunale sia quello di rafforzare o perlomeno continuare i percorsi di lotta oggetto delle attenzioni giudiziarie. Ci sembra quindi sia stata una buona idea quella di stilare un calendario di iniziative che mettesse in risalto la scelta dei dodici banditi all’interno delle lotte contro sfratti, retate e Cie in cui normalmente siamo impegnati. Abbiamo infatti condiviso questi giorni con altri uomini e donne con cui abitualmente non condividiamo esperienze e momenti di lotta; amici ed affetti dei dodici che hanno deciso di esserci, di portare il loro contributo nelle varie iniziative organizzate allargando il fronte della mobilitazione e facendo intravedere qualche nuova affinità. E ci sembra questo risultato positivo tanto da spingerci a dire che se le relazioni sin qui intrecciate continueranno ad arricchire i percorsi di lotta che portiamo avanti, l’operazione condotta contro i dodici, al di là dei suoi esiti giudiziari, è realmente fallita.

Di certo sin da ora possiamo affermare che gli inquirenti non sono riusciti in alcun modo a fiaccare il nostro morale. Se la facilità con cui il Tribunale riesce ad allontanare tanti compagni dalle lotte alla lunga può instillare un senso di impotenza, la decisione di puntare i piedi ha piuttosto diffuso un sentimento di forza e ha schiuso quelle porte del possibile che troppo spesso rimangono ben serrate di fronte agli attacchi della repressione.