In Santa Giulia, oltre Santa Giulia

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Il giorno dopo i fatti di Piazza Santa Giulia con sguardo superficiale sembrerebbero rimanere solo i tavolini scassati dei dehors e la montagna di immondizia ammassata; non ci si riferisce di certo alle bottiglie frantumate a terra durante la confusione, ma a quella prodotta all’unisono dalle piccole e grandi testate giornalistiche sulla “movida incontrollata torinese”.

Dal canto nostro non c’è l’intenzionalità di riportare l’ennesima cronostoria di come si sia evoluta la serata d’inizio estate, né tantomeno di fare il gioco poco felice dell’identificazione di chi, tra polizia e coloro che alla sua presenza si sono opposti, sia il “vero violento”. Ci piace poter dire fuor dai denti che ogni volta che le forze dell’ordine prendono anche solo qualche ceffone ce la ghignamo, se si riesce a cacciarli da una piazza o impedire loro un controllo non possiamo che rallegrarcene. In realtà è ben poco ma, di questi tempi, a quanto pare, non è scontato sottolineare anche le quisquilie sulla rivendicazione della propria di violenza, seppur sia un granello di sabbia rispetto a quella prettamente detta del monopolio statuale e degli interessi che difende.

Andando oltre le piccole certezze, troppe sono le domande su cosa trarre dall’accaduto, sia per quanto riguarda il dispositivo poliziesco in sé e sui suoi cambiamenti nell’ultimo periodo, sia, con una lente un po’ più ampia, sui contesti in cui è chiamato a intervenire direttamente e in gran parata. Insomma ci chiediamo come discernere i nuovi elementi di gestione dell’ordine pubblico da quelli usuali, tenendo per buona l’ipotesi che vi sia, anche per una serie di narrazioni sull’emergenzialità della messa in sicurezza delle città europee, una diffusione ed espansione in tutto lo spazio urbano di procedure già di routine in luoghi periferici e ritenuti sensibili. Se certe procedure repressive non sono nuove, nuovi sono però gli strumenti giuridici che ne permettono la riproduzione in spazi fisici e sociali altri.

Con frequenza costante a Torino si susseguono i maxi-controlli delle forze dell’ordine, per lo più questo avviene in quartieri ritenuti degradati, in piazze o giardinetti che sono raduno di immigrati senza documenti, in pezzi di città attraversati da individui emarginati o in cui – ahinoi – avviene lo spaccio di droga: arrivano in forze con camionette e borghesi, bloccano gli accessi ed effettuano i loro controlli arrivando spesso a fare la caccia all’uomo, seguita talvolta dal pestaggio. Capita durante le operazioni alla ricerca di clandestini che qualcuno si metta in mezzo a impedire che le guardie impongano una vita di continua paura. Lo sanno bene Giada, Antonio, Fran, Camille, Antonio e Fabiola, che sono dal 3 maggio rinchiusi in carcere o dentro una casa per essersi opposti a un controllo di documenti. Il più delle volte però di queste grosse operazioni di controllo non c’è narrazione; i motivi sono molteplici ma quello più evidente è che spesso colpiscono i tanti che sono soli, che subiscono le angherie della polizia senza complici e solidali con i quali reagire e alzare la voce.

A questo punto ci chiediamo quindi come stia diventando rilevante la diffusione di certe procedure di controllo anche oltre i soliti contesti ritenuti criminogeni, fino ad arrivare a un luogo così esposto come Piazza Santa GiuliaGli agenti di polizia e carabinieri nell’ultimo periodo si sono affacciati spesso nei luoghi della cosiddetta movida torinese per l’applicazione dell’ordinanza comunale che vieta dalle ore 20:00 in San Salvario, Vanchiglia e in Piazza Vittorio la vendita di alcolici alle attività commerciali che non siano locali d’intrattenimento notturno. A questi ultimi vieta la vendita di bevande in recipienti di vetro d’asporto, si può bere fuori se si consuma in regolare dehor. Non è certo la prima di questo tipo, contro la malamovida. Dal 2000 in poi, abbiamo notizia di diverse ordinanze che cercano di regolamentare l’utilizzo di alcol nello spazio pubblico, alcune sono solo di circoscrizione e, da che sappiamo, mai applicate come quella del 2007 su  Aurora, altre invece sono comunali come quella del 2013 su Porta Palazzo e San Salvario a firma Fassino. Il clamore creato da quest’ultima ordinanza è causato dalla ripercussione che ha effettivamente sul reale: le multe che vengono propinate nel caso il locale non rispetti in divieto superano di lunga la soglia delle sanzioni amministrative passate e gli strumenti di controllo messi per le vie sono fitti e insistenti. È direttamente conseguente la presa in carica dei gestori dei locali della responsabilità del comportamento della clientela se non il controllo diretto. Non è raro vedere una guardia di grande stazza sull’uscio di un locale a sorvegliare che nessuno pasteggi o sosti seduto sul marciapiedi. E se non si riesce a selezionare e controllare gli avventori capita di dover chiudere le serrande.

Quella di quest’anno a firma della sindaca pentastellata, entrata in vigore casualmente proprio il giorno del panico di Piazza San Carlo, assume oggi tutt’altra rilevanza. Benché ci sia  preclusa la conoscenza di quali siano gli equilibri politici tra istituzioni che reggono la città, sebbene non sappiamo ancora quale sia il modus operandi del nuovo questore Sanna, possiamo permetterci di pensare che la gestione da parte della polizia in Vanchiglia sia frutto di una tendenza ben più ampia del contesto sabaudo ma che qui ha trovato maggior accelerazione proprio per la situazione parossistica che si è creata la notte della Champions. Non è un caso infatti che dopo i fatti di Piazza San Carlo il discorso di politici e organi d’informazione si è presentato come una continua propaganda sulla necessità del rispetto delle nuove norme sullo spazio pubblico, dalle ordinanze comunali fino alla legge Minniti-Orlando, dalla repressione degli abusivi alla tutela del decoro cittadino in funzione della protezione degli interessi economici di chi investe sul territorio urbano. Strumenti giuridici che tutelano sempre più il profitto dei padroni della città ma che vengono presentati in base a una retorica dell’eccezionalità di fronte al pericolo attentati. Che c’entrano del resto il sequestro della merce ai venditori abusivi, il daspo urbano a chi compromette l’immagine delle zone turistiche della città e il divieto di ingresso agli eventi di tutti i soggetti con precedenti, con lo spettro paventato del terrorismo islamico? Sono elementi che trovano collegamento logico solo all’interno di una visione di città contemporanea che sotto all’ostentata pubblicizzazione della bellezza estetica, dei modi di vita cool, dei tanti passatempi culturali e ludici, nasconde in ogni interstizio una bomba di problemi sociali, di convivenza tra diverse culture, di conflitti tra attori sociali portatori di interessi economici inconciliabili. Se è vero che la città oggi riscopre un ruolo fondamentale e di traino nelle economie nazionali come luogo di diffusione e riproduzione dei nuovi modelli produttivi, è vero anche che per i signori addetti al suo controllo essa è un bubbone sotto a una coltre dorata, sia per l’ingenza dei flussi che la attraversano, sia per la lotta per la sopravvivenza che fasce di popolazione sempre più ampie sono costrette a intraprendere per la privazione della possibilità di soddisfare i propri bisogni.

E allora da un lato giù di smart-city, di controllo intelligente e costante sui movimenti della popolazione, di associazioni in ogni via a gestire creativamente i conflitti, di governance partecipata, dall’altro giù di polizia contro chi non riesce più a permettersi un tetto, giù di reparti antisommossa a controllare che i grandi raduni di persone non diano problemi.

Lo scenario del controllo repressivo sulle folle adunate nelle vie dell’intrattenimento, come quello di piazza Santa Giulia, mette in luce quanto lo spazio della città neoliberale sia un coacervo di contraddizioni: si sono concesse innumerevoli licenze a locali e localini nell’interesse di rendere tutto lo spazio vendibile e usufruibile da chi può permettersi un certo stile di vita, si incanalano i flussi di persone verso un determinato spazio con festival e notti bianche, ma se tutto ciò rappresenta per governanti e investitori una risorsa indispensabile, diviene anche un problema di convivenza senza una possibile risoluzione strutturale tra interessi di consumo, di residenza e di ordine pubblico. La polizia è in questo quadro l’addetta a coprire questo punto cieco strutturale, con il suo controllo sempre più pressante stabilisce norme di comportamento generali che tutti gli attori in ballo devono seguire, da chi vuole ammassarsi in una piazza a bere una birra a chi vorrebbe assicurare il suo sonno a una città silente.

Infatti un altro fattore che ha destato la nostra attenzione in Santa Giulia è che a inizio serata, quando la polizia era già schierata tutto attorno alla piazza e già in tanti urlavano contro gli agenti, i dehors dei locali erano come al solito tutti occupati da chi consumava tranquillamente il proprio cocktail o mangiava un boccone dentro a un cordone blu.

Cos’è questo se non un segno della totale assuefazione allo spazio del controllo? Cos’è questo se non la sua approvazione e riproduzione? Cos’è questo se non un tutt’uno che comprende sia l’atteggiamento sociale della movida e lo stesso sistema di valorizzazione e controllo dei quartieri?

Il passaggio dal bivacco in vie e piazze che pullulano di giovani, studenti e bighelloni all’ordine delineato dal perimetro di un dehor è una storia già vissuta in parecchie città, soprattutto studentesche. Resistere all’intervento della polizia non vuol dire difendere lo spazio del divertimento tout court, ma l’attraversabilità di un luogo facendo saltare le geografie della governabilità. Ostacolare i controlli in questi giorni vuol dire, in quelli a venire, non essere cacciati via semplicemente da procedure di nettezza ordinaria: un idrante che pulisce la piazza e costringe tutti ad andarsene a casa poiché non ci si può più sedere sui gradini o per terra.

In Santa Giulia, come altrove, ai margini e negli interstizi, dove forse i controlli sono più abituali. E purtroppo, spesso, la gente è costretta a scappare.