Tentata fuga e altre storie

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Il cibo è una merda. Il più delle volte pranzo e cena vengono serviti marci al Cpr di c.so Brunelleschi. In molti decidono di non mangiarlo e di condividere quello dei pacchi di vettovaglie che arrivano da parenti e amici, in pochi si possono permettere di comprare qualche prodotto alimentare scegliendo dall’esosa lista che viene proposta.

Se non mangi la sbobba che ti servono, se non ti puoi permettere di acquistare altro – beh – tutti fattacci tuoi.

Qualche ragazzo arrivato dal Centro di Brindisi, trasferito nel capoluogo sabaudo a causa di lavori di ristrutturazione nel Cpr pugliese, dice che qui non si può permettere neanche di comprare il latte e che tutto dentro alle mura di c.so Brunelleschi ricorda la vita in catena di montaggio.

“Come in fabbrica sembra di stare qui! Vedi quasi sempre solo i lavoranti che fanno quello che gli dicono, i direttori e la polizia, e non si capisce mai come veramente funziona perché parli con questi che sono stronzi ma alla fine non contano un cazzo”.

A volte capita che i detenuti si interfaccino con qualcuno di più alto rango, quando fanno un po’ di casino e qualche ispettore è costretto a scomodarsi.  Come giovedì sera, in cui dopo giorni nei quali in molti hanno deciso di saltare i pasti per evitare gli psicofarmaci nel cibo, ancor prima di aprire la confezione della cena si sono resi conto che si trattava di pollo andato a male, completamente marcio. Dentro sono costretti a saltare un pasto sì e l’altro pure per non cadere in catalessi chimica, e poi arrivano anche intrugli decomposti dell’azienda Sodexo che riempiono le stanze di tanfo mortifero. Qualcuno ha deciso infuriato di buttare i materassi a terra e iniziare a urlare di rabbia. A quel punto un ispettore si è fatto vedere davanti alla porta dell’area blu e di quella viola:

“Ma cosa vi lamentate, e tornatevene al vostro paese allora ché tanto lì il cibo neanche c’è!”

Peccato che sia stato costretto a scappare quando qualcuno gli ha messo sotto al naso il pasto marcescente; forse si è allontanato di fretta per la puzza, forse per la paura che dopo quelle parole veementi qualcuno potesse lanciarglielo contro,  non è dato saperlo con esattezza.

La serata è continuata così, urla, polizia di controllo fuori dalle aree e stomaco vuoto, nouvelle cuisine riservata a chi è solo un senza-documenti, l’eccedenza, per non dire lo scarto umano a cui dare l’ultima spremuta di valorizzazione attraverso la detenzione amministrativa e chi la gestisce.

Intanto la situazione generale del Cpr torinese sembra avere trovato un infausto ritmo, le deportazioni avvengono quasi all’ordine del giorno, compensate puntualmente da continui ingressi, con un numero che oscilla tra i centosessanta e i centosettanta reclusi. In questo periodo pare che la polizia la mattina arrivi per portarsi via soprattutto i ragazzi nigeriani e quelli tunisini, di solito tre o quattro al giorno. Proprio i reclusi di origine tunisina hanno portato avanti al Centro di Lampedusa uno sciopero della fame contro i continui rimpatri forzati, rinvigoriti da una nascente lotta in Tunisia di amici e famigliari di chi è nei Cpr italiani.

A Torino, invece, ieri notte c’è stato un tentativo di fuga di massa, legato in parte alle deportazioni verso la Tunisia: in undici si erano organizzati per tentare l’evasione e saltare l’imponente cinta muraria; a loro nelle ore prima si sono aggiunti una decina di tunisini a cui è arrivata all’orecchio l’ipotesi di un rimpatrio grosso che poteva riguardarli. Purtroppo le forze dell’ordine si sono accorte del movimento anomalo e hanno impedito l’azione collettiva sul nascere.

Questa volta.