Il paradigma di una società in crisi

 

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Entrare nel ventre vitreo del mostro è molto più facile del previsto.

È sufficiente dare il proprio nome alla receptionist per essere aggiunti alla lista di prezzolati partecipanti all’evento e in quattro e quattr’otto ritrovarsi sulla scala mobile del più discusso centro di potere torinese, il tempio israelitico griffato del nuovo millennio.

   «guarda com’entri e di cui tu ti fide;
non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!».

No, non inganna il facile accesso, infatti l’evento che ci si appresta ad assistere dentro al grattacielo di Intesa Sanpaolo è così elitario, per contenuti e pubblicizzazione, che non c’è pericolo che arrivino persone sconvenienti. L’incontro è rivolto a la crème (de la merde) delle fondazioni bancarie e d’impresa, economisti, dirigenti delle cooperative, sindacalisti e giornalisti per presentare il Terzo Rapporto sul Secondo Welfare, a cura del Centro di Ricerca Einaudi. L’architettura svolge poi il suo compito – ça va sans dire – perché il palazzo è progettato con l’auditorium ai primi piani e per arrivarci vi è un’unica scala mobile. Non è dato vedere altro, si può solo entrare o uscire dalla sala in questione, al massimo andare in bagno.

In realtà gli indesiderabili ci sono, con l’odio stretto tra le mani, a raccogliere informazioni sulle future politiche con cui i signori cercheranno di gestire la vita agra del mondo prossimo.

Qualche minuto di attesa per far accomodare tutti nella platea scintillante e prende la parola proprio il presidente della grande banca sabauda. Gian Maria Gros-Pietro inizia subito dai dati: l’Italia spende il 30% del Pil per il Welfare, pienamente nella media europea, ma informa anche che le risorse non sono distribuite così da riuscire a incentivare un andamento di crescita e che non rispondono ai nascenti bisogni della nuova organizzazione sociale. Oggi – dice – ci sono fenomeni irrompenti, come le nuove spinte demografiche e il completamento della divisione internazionale del lavoro, che non si possono arrestare ma per i quali è necessario dotarsi di un nuovo collante sociale che si aggiunga al Primo Welfare.

Ma cosa intende costui, e in generale il pensiero liberale, per Primo Welfare? Intende in maniera abbastanza semplicistica quanto eloquente che si tratta della percentuale di spesa pubblica del Pil di un determinato paese. Se c’è stato un periodo in cui, pochi decenni nel Novecento a dire il vero, la portata distributiva della ricchezza portava il nome di diritto sociale, beh è chiaro che questo periodo è definitivamente archiviato nei libri di storia economica o nelle teorie fantascientifiche di qualche neokeynesiano. Il Welfare dello Stato, quello che nella vulgata comune è la sanità, la scuola e i servizi sociali, non è altro che una parte di spesa ormai insostenibile e fortemente “sotto stress”. Gros-Pietro sostiene l’importanza del Welfare pubblico come paracadute ultimo di una società complessa e impoverita, ma allo stesso tempo promuove l’importanza primaria dell’affermazione del Secondo Welfare, quello innescato dalle risorse private.

Qui la palla retorica passa agli esperti economisti del Centro Einaudi per esplicare meglio obiettivi, metodologie e attori di questa nuova politica economica. Il succo è che i servizi pubblici sono ancora necessari ma non sono in grado di rispondere agli emergenti bisogni di soggetti maggiormante fluidi, non più legati all’omologazione degli stili di vita novecenteschi e che bisogna dunque incentivare il welfare aziendale in una logica di rete territoriale, elaborare servizi su iniziativa privata che possano avere ripercussioni positive in termini occupazionali. Insomma, come dicono loro, sostituire a Stato la parola politica, a Sociale la parola amministrazione, per creare una società permanentemente attiva in cui ogni servizio è strettamente legato alla responsabilizzazione dell’individuo rispetto al proprio benessere. I servizi devono essere legati all’orizzonte individuale della propria occupazione e le imprese hanno il compito di curare l’empowerment del beneficiari cosicché non si trasformino in assistiti ma in attori di una rete fatta di mutualità. Welfare aziendale, assicurazioni sanitarie e reti territoriali di servizi, ecco la soluzione per il rilancio. Il collante sociale in quest’ottica non è più l’idea universalistica di diritto (concetto a cui chi scrive non ha mai creduto se non nella sua forza discorsiva e pacificatoria) ma l’idea di una prevenzione del rischio di inattività sociale, rischio che deve essere preso a carico da tutti, governato tuttavia da chi può portare avanti le politiche più innovative di messa al lavoro dell’intera vita. La povertà inattiva è il grande pericolo futuro e le reti del Secondo Welfare sono secondo questi studi l’unico “paradigma per una società in crisi”, affinché non esploda la sfiducia nei confronti della democrazia liberale.

Del resto – come afferma nelle conclusioni Francesco Profumo di ritorno da una riunione istituzionale sull’Ex-Moi – “questo è un periodo di tensioni intestine e pericolose, difficili da governare, e bisogna darsi gli strumenti per difendere le popolazioni”.

Beh, non c’è dubbio che si condivide con questi sordidi personaggi l’idea di un baratro imminente ma con la continua speranza che contro di loro ci sia qualche occasione di vendetta.

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