Cronache dalla città in declino
Non si può certo dire che sia proprio un veloce colpo di spugna, perché quando le truppe dello stato sono giunte iermattina a costituire una nuova zona rossa ad Aurora e a presidiare la costruzione di un muro di gasbeton per impedire lo svolgimento della parte “indecorosa” del Balon del sabato, è stato subito chiaro il potere del dispositivo e quale retroterra abbia, cosa emani.
Il richiamo a confini e frontiere intrise di sangue si fa tangibile, l’isomorfismo tra territori di guerra e quello urbano si fa chiaro, ma non si pensi che sia il muro in sé, nella sua materialità, a essere l’ennesima greve mossa di un’amministrazione comunale senza testa fina. Si sta pur sempre parlando di un muretto che – sì – circonda tutta la piazza laterale al vecchio cimitero napoleonico di San Pietro in Vincoli, ma che è pur sempre alto un metro. I dispositivi che sanciscono un nuovo uso dello spazio in contesti delicati non sono mai meri elementi architettonici, ma sono costituiti soprattutto dalla presenza illuminante delle forze dell’ordine o dell’esercito per giorni (come probabilmente avverrà in questo caso), mesi (come per la zona rossa intorno all’ex-Asilo occupato), e persino anni in paesi in cui l’occupazione militare ha stabilito nuove territorializzazioni politiche (come nel fulgido esempio libico).
Il muro è dunque oltre sé stesso, è la parola finale dei governanti cittadini rispetto alla vexata quaestio della riqualificazione dello storico mercato delle pulci torinese e, con lente più ampia, dell’intero quartiere di Aurora. Il muro dice ai balonari cacciati: “voi siete zero”. Una parola oltremodo arrogante che esprime ancora una volta quali siano gli obiettivi strategici di valorizzazione della città e quanto siano un terreno di esclusione di massa dai quartieri centrali, dai servizi primari, da un campo di relazioni umane non gestito esclusivamente e pedantemente da istituzioni specializzate, che siano queste polizie, assistenti sociali e associazioni di quartiere. Una parola incontrovertibile che pone anche l’ultimo tassello alla figura di Chiara Appendino e della sua giunta, con i cari sedicenti dissidenti, consiglieri del campetto e del centro sociale, che garantiscono da mesi la sopravvivenza di questa amministrazione tra sgomberi, sordidi scandali svelati alla cittadinanza solo in piccolissima parte e, per concludere di grazia, un peggioramento progressivo della vita di quelle periferie “predilette” qualche anno fa.
Questo dispositivo svela però qualcosa di colossale in un’altra prospettiva, quella che guarda alla debolezza strutturale dell’attuale politica torinese e non solo, ne svela l’esigenza di far quadrare conti e idiosincrasie col manganello e il manganello, perché la famosa rinascità economica della città stenta a farsi sentire e i pochi investimenti massicci che arrivano vanno tutelati come oasi nel deserto da guardie rabbiose e squallide.
Il muro, si diceva, ha rappresentato la parola finale dell’aministrazione comunale sulla questione.
Non vuol dire che il discorso sia chiuso.