Effetto Domino’s … ci risiamo!

Era evidente che l’epopea dei lavoratori di Domino’s Pizza Torino non sarebbe finita con quel 29 giugno. Era evidente che quanto strappato quest’estate con la lotta sarebbe stato ben presto rimesso in discussione. La deadline dei contratti stipulati post-sciopero incombeva minacciosa già da diverse settimane, i rintocchi alla mezzanotte del 30 novembre non potevano risparmiare qualche testa saltata a mo’ di rappresaglia.

Ma tutto questo non stupisce, normale routine nella lotta di classe dall’alto portata avanti anche dal più docile e accomodante padrone. Eppure anche questa volta la “manovra correttiva” della direzione non è stata accettata senza colpo ferire da quei lavoratori scontenti e incazzati. I contratti in scadenza di chi aveva scioperato a giugno hanno incontrato il malcontento di alcuni nuovi colleghi che hanno scoperto in fretta l’armadio a sei ante dentro a cui il signor Lazzaroni ha nascosto i suoi scheletri: ferie e permessi consumati senza l’accordo dei lavoratori, inquadramenti contrattuali inadeguati alle mansioni svolte, pericolosità dei mezzi di lavoro, ecc.

Lo sciopero di qualche giorno fa sembra essere andato molto diversamente dal primo, causa forse la differenza nel numero di lavoratori coinvolti, di solidali accorsi in sostegno, di disservizio effettivo sulle pizze sfornate nella serata di sabato. Concorrono anche cause oggettive, non direttamente dovute alla forza dei lavoratori, dalle quali forse si possono trarre possibili insegnamenti. È oramai evidente che l’apprensione della direzione nel concedere senza troppe storie quanto richiesto dai lavoratori Domino’s nello sciopero di giugno fosse anche legato all’imminente transizione di vendita del franchising. Poche beghe davanti ai nuovi compratori! Ora che la transazione è praticamente compiuta (ufficialmente mercoledì 4 dicembre) i signori di Epizza S.p.A., non hanno più alcunché da temere ossia non c’è più nessuna faccia da preservare. A meno che i lavoratori e le lavoratrici non siano in grado di bloccare effettivamente tutto e creare un disservizio di portata consistente, la bega di un pugno di scontenti facinorosi passa al nuovo capitano della squadra: signor Davide Canavesio.

Un piccolo e parziale insegnamento che dei lavoratori, anche minoritari in una azienda ma vogliosi di farsi valere, possono trarre è: finché hai il coltello dalla parte del manico affonda a più non posso. O se si preferisce, parafrasato nella circostanza specifica: finché hai coglioni di Lazzaroni in mano … stringi forte!!! Questo ovviamente non vuol dire mandare a ramengo le prospettive di allargamento della lotta a tutti gli altri lavoratori sfruttati, ma creare un precedente in cui si sia sperimentata la maggiore forza e incisività possibile. Perché infondo questi signori il manico se lo riprendono in fretta e col coltello fanno saltare teste. L’esperienza ha spesso dimostrato che quella vocina che ti fa dire “un passo alla volta e non tiriamo troppo la corda, se no si spezza!” non sempre costituisce la via più efficace per portare avanti delle rivendicazioni e vincere delle vertenze. Allora essere più incisivi possibile può voler dire non cedere a quella dialettica basata sul bisogno di farsi riconoscere dalla controparte come un Soggetto (in questo caso il gruppo di lavoratori in lotta) degno di essere preso in considerazione … ma a patto che i lavoratori nel ricevere delle concessioni ritornino indietro anche qualcosa ai propri padroni: dedizione sul lavoro, promozione del marchio, o anche solamente smettere di rompere le scatole. Per spezzare questo rapporto occorre non provare alcuna forma di rispetto per l’azienda perché lei non ne prova per chi sceglie di lottare, non pensare che con qualche concessione i dirigenti diventino più accettabili … no. Cosa succederebbe se si provasse ad affondare e stringere, affinché tutto quello che si può prendere nel momento di maggiore debolezza della controparte possa essere preso? Questo potrebbe spaventare altri colleghi simpatizzanti? Potrebbe rischiare di irrigidire troppo la controparte col rischio di non ottenere niente? Certo, ma il punto è provare a discutere di questa possibilità e capire come potrebbe dispiegarsi e intrecciarsi con le altre esigenze di una lotta.

Intanto il signor Lazzaroni ha imparato bene la lezione di giugno e a presidiare lo store di via Nizza era presente una buona dose di digossini e una camionetta fissa. La punta del ridicolo si è raggiunta poi nello store di via Nallino, dove il responsabile dei negozi di Torino Davide Papini, occasionalmente dietro al bancone, assediato dalle richieste e rimostranze dei lavoratori, è stato scortato via dalla polizia in assetto antisommossa. Che la rabbia degli sfruttati possa esprimersi anche con qualche sonoro ceffone o con una veemenza in grado di costringere chi prende le decisioni a retrocedere è cosa auspicabile; che la polizia e il suo “cordone sanitario”, dispiegato oramai davanti ad ogni tenue barlume di conflitto, costruisca un siparietto per prevenire una realtà purtroppo aldilà da venire, è emblematico dell’aria che tira.

Intanto ci pare importante evidenziare come allo sciopero dell’altro giorno abbiano partecipato alcuni lavoratori che a giugno, invece, si erano schierati tra i crumiri. Di questi ultimi, tuttavia, ce ne sono stati in abbondanza e se tra loro si celano diversi simpatizzanti, forse ancora troppo intimoriti dallo schierarsi contro un colosso del food & beverage, vi è anche una vasta categoria in cui sguazza la maggior parte del popolo dei finti silenti … quelli che in fondo in fondo, tra gli spogliatoio a inizio e fine turno, tra una pausa sigaretta e l’altra, bofonchiano sempre. È infatti tendenza comune ai lavoratori e alle lavoratrici del terzo millennio quella di percepirsi come delle monadi, singoli e solitari individui. Il mondo del lavoro, quella rete complessa di rapporti di potere e sfruttamento, da loro non è percepita come costruita, imposta, con nomi e cognomi di responsabili e scagnozzi esecutori … no. La vivono piuttosto come una giungla, severa e tremenda ma neutrale. Soffocare strozzato da qualche liana nel tentativo di spiccare il salto verso una qualche forma di sistemazione, sopravvivenza o carriera è un rischio comune a tutti, democratico come la livella. Se non ce la fai, in fondo, è colpa tua. Se accetti di firmare un contratto del cavolo, insicuro e precario come un co.co.co … beh… lo sapevi a cosa andavi incontro no? Ora non ti puoi lamentare.

Ecco, la lotta ha anche il compito di spezzare questa forma di ideologia dei padroni introiettata da lavoratrici e lavoratori sfruttati. In questo i lavoratori di Domino’s hanno dato un buon esempio.