Non si può vivere così

Quella di venerdì sera doveva essere un’iniziativa in sostegno ai lavoratori Domino’s e alla loro vertenza specifica e si è trasformata, invece, in una più ampia critica alle condizioni di lavoro cui sono sottoposti i tanti fattorini che attraversano questa città. La notizia del grave incidente che ha coinvolto un rider di Glovo, la sera prima, ha dato la spinta a intrecciare i discorsi, senza limitarsi ai problemi circoscritti a ogni singola azienda. Un incontro tra lotte particolari che è avvenuto non solo per la volontà e la convinzione di chi da tempo si muove sull’argomento, non tanto per una questione di teoria e analisi politica portata avanti da chi delle lotte ne ha fatto una causa di vita e il suo cruccio quotidiano. Ma per una spinta viscerale ed impulsiva … insomma, non poteva essere altrimenti.Non è un caso che sotto la pioggia sottile e incalzante, al riparo dei portici di piazza Statuto, si siano radunati molti riders che consegnano coi loro cassoni gialli, per la maggior parte pakistani, amici e connazionali di Zohaib, tuttora ricoverato in gravissime condizioni all’ospedale Giovanni Bosco. L’emozione era tanta e gli interventi al megafono, anche in urdu, si sono susseguiti incalzanti. Per una volta le migliaia di richieste che questi ciclofattorini e fattorine potrebbero avanzare e hanno avanzato in passato alle loro aziende, sono finite in secondo piano e si è fatta largo una critica ben più profonda: non si può morire così, per questo lavoro … ergo, non si può vivere così, per questo lavoro! Purtroppo è nelle circostanze più tragiche che il mondo contro il quale ci battiamo perde completamente la sua maschera e mostra la mancanza di possibilità di riformarlo, e la necessità di cambiarlo e distruggerlo alla radice. Come farlo implica però una strada ancora lunga e davanti alla quale non si possono che avvertire le vertigini e il cuore avvicinarsi alla gola. La rabbia, allora, non riesce oggi a uscire dalla strettoia di qualche rivendicazione, che già durante l’assemblea al termine del corteo di venerdì iniziava a palesarsi. Rivendicazioni comprensibili, del resto, come un risarcimento dignitoso per Zohaib o per la sua famiglia e il cambiamento delle condizioni di lavoro pressanti, che mettono lavoratrici e lavoratori costantemente in pericolo. Richieste davanti alle quali è la stessa controparte, comunque, a mostrare una fondamentale indisposizione, come emerso tra le altre durante l’iniziativa portata avanti nella giornata di lunedì alla sede di Glovo.

Ma tornando a quel sentimento originario di tagliare i ponti con una vita di merda, per quanto breve possa essere e per quanto occorra sforzarsi di capire come renderlo permanente, va riconosciuto un merito importante a quei e quelle riders che negli anni non si sono mai demoralizzati, che hanno continuato a battere anche quando la partecipazione dei colleghi era ai minimi storici, che con le loro assemblee, volantinaggi, manifestazioni e scioperi, a volte anche poco partecipati, hanno tenuto acceso il lumino della lotta. Se a partire da venerdì si sono visti volti nuovi bloccare le vie di Torino, se qualcuno ha riconosciuto anche qualche lavoratore che in passato si era tirato indietro, con un falso sorriso, davanti alle proposte di sciopero nelle lotte di Foodora, se queste persone hanno vinto una certa titubanza e hanno accolto l’appello dei “soliti para-sindacalisti in cerca di casini”, è anche grazie a questa determinazione dimostrata negli anni.

Come altre volte ci è capitato di sottolineare nelle pagine di questo blog, un certo spessore va riconosciuto anche alla partecipazione di un nutrito gruppo di solidali, che hanno risposto tanto alla chiamata dei lavoratori Domino’s quanto all’urgenza di reagire davanti a questo grave “incidente” sul lavoro. Solidali assai preziosi per raggiungere quella minima forza pratica in grado di costruire le prime iniziative di lotta, a partire dalle quali è possibile immaginarsi altro, sia in termini di efficacia sia di allargamento della lotta stessa. Una presenza preziosa, quindi, per infondere coraggio a quei lavoratori e lavoratrici che hanno paura di sbilanciarsi, di perdere il posto di lavoro, di cimentarsi in qualcosa di inutile perché tanto “non saremo mai tutti” e giù a trovare altre infinite giustificazioni. Una presenza, infine, che ci ricorda come la solidarietà non sia solo un appoggio passivo, ma la condviisione di una condizione di sfruttamento e oppressione più generalizzata, che spesso trascende le rivendicazioni specifiche di chi è coinvolto in una singola lotta, contro una singola azienda, e lancia un messaggio verso una conflittualità più allargata … o che si vorrebbe tale.

I motivi originari dell’iniziativa di venerdì sera, d’altronde, ci suggeriscono proprio questa esigenza: davanti a una partecipazione tutto sommato esigua da parte dei lavoratori sfruttati all’interno di una azienda, è comunque fondamentale essere in grado di dare una risposta a certe mosse della controparte. Rispondere ai mancati rinnovi e al provvedimento disciplinare, decisi dai dirigenti di Domino’s Pizza contro alcuni colleghi che hanno scioperato, era una priorità. Che questa reazione dovesse venire da una massa discreta di lavoratori era cosa auspicabile, che invece sia giunta principalmente da amici e solidali, sensibili alla questione, è segno dei tempi e soprattutto dello stato di salute di questa e di altre lotte, e può comunque indicare un percorso che dovrebbe svilupparsi in parallelo e apportare un valore aggiunto.

Che si tratti di alcuni lavoratori in ballo per contrastare la propria azienda o di un ragazzo in fin di vita perché costretto a correre in bici sull’asfalto a consegnare Big Mac, occorre mantenere alta l’attenzione e sopratutto la tensione che ci portiamo dentro. E come un monito al crepuscolo di questo 2019, ricordare ai padroni che abbiamo di fronte: quando si lotta non si è mai soli!