Riders in lotta

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Dalla mezzanotte del Venerdì appena trascorso allo scadere del tempo dato all’azienda per aprire uno spazio di contrattazione, è scattato lo stato d’agitazione tra i fattorini di Foodora. L’organico dirigenziale della start-up multinazionale di consegna a domicilio ha fatto orecchie da mercante riguardo alle richieste portate avanti dai lavoratori di Torino. L’azienda è strutturata in modo tale da assumere nuova manodopera a proprio piacimento, rendendo un fattorino facilmente sostituibile all’altro. Nel scegliere i propri adepti non valuta solamente la capacità tecnica di svolgere in maniera corretta e rapida la mansione, ma anche se il lavoratore è diligente, se accetta senza fiatare le direttive e le condizioni dell’azienda. Non è un caso che oltre a non rispondere alle richieste dei lavoratori, l’azienda abbia diminuito se non azzerato i turni di molti ragazzi e ragazze impegnati nel discutere e nell’organizzarsi per pretendere qualcosa in più.

Le richieste dei lavoratori sussistono in una differente gestione riguardo alla manutenzione dei mezzi di produzione, in una maggiore sicurezza rispetto alle entrate percepite da questo lavoro, quindi avere dei turni garantiti e in un aumento di paga. La bicicletta, lo smart phone e il piano tariffario con internet illimitato sono totalmente a carico del lavoratore, assieme a questo anche ogni rischio di guasto.  I turni non sono regolarmente cadenzati, ma nella gara per accaparrarseli palesano un lavoro basato su una forte concorrenza, flessibilità e precarietà. Inoltre se dapprima i lavoratori chiedevano un aumento di paga a partire dai cinque euro fissi orari, ora devono far fronte al nuovo contratto più che imminente. I nuovi assunti, così come i riders che rinnoveranno il rapporto di lavoro a novembre, devono sottoscrivere un contratto con pagamento a cottimo. Per ogni consegna si percepiranno due euro e settanta senza più un fisso, così la concorrenza aumenterà in maniera esponenziale ma anche il rischio, sarà infatti possibile lavorare un’ora senza alcuna consegna, a stipendio zero, regalando il proprio tempo all’azienda.

Nella struttura dell’azienda del take away digitale ogni rider è connesso con il proprio smart phone ad un’unica piattaforma, ma spesso non conosce gli altri riders che da mesi lavorano nella stessa zona seppur ad orari differenti. Nonostante questa atomizzazione imposta chi ha deciso di puntare i piedi è riuscito a fermarsi, riconoscersi oltre il caschetto fucsia e condividere il malessere, iniziando così ad organizzarsi e a scendere in strada per manifestare.

Nella tarda mattinata di sabato l’incontro è fissato nella vasta Piazza Vittorio Veneto. Ci sono decine di ragazzi fluo, alcuni con la maglia aziendale al contrario, per coprire il logo, ci sono amici e solidali, gente che fa avanti indietro dalla copisteria capendo man mano quale può essere la portata dell’iniziativa, sventolano stendardi con il brand di Foodora detournato. Ci sono due promoter che da pochi giorni si sono viste azzerare i turni poiché hanno espresso solidarietà con chi ha deciso di lottare ed è stato sospeso momentaneamente dalla possibilità di accedere all’App della gestione dei turni. Inizia il giro, l’obbiettivo è far tappa nei ristoranti e tutte quelle attività che adottano il servizio Foodora, invitando gli avventori a non utilizzarlo e i lavoratori dei locali a declinare gli ordini. Se alla rosticceria Santa Rita la fretta rende commesse e clienti sordi, al M** Bun i lavoratori applaudono i fattorini di Foodora. La carovana arriva fino a San Salvario per poi tornare indietro fino a Piazza Castello.

L’appuntamento è rinnovato alle diciotto e trenta per un’altra passeggiata, punto di ritrovo a Porta Nuova. Ed è lì che si presenta il responsabile delle risorse umane, ex rider che ha fatto velocemente carriera, a cercare di salvare capra e cavoli offrendo la disponibilità a confrontarsi nel giro di pochi giorni. Ciò che risulta, insieme alla trasudata preoccupazione da emissario degli uffici che brucia una sigaretta dopo l’altra, è che non può far nulla. Attorno a lui capannelli di riders si formano, cambiano, si turnano, ognuno dice la sua ma il verdetto sembra ripetersi come un mantra: “Di te e delle tue parole ne abbiamo abbastanza!”.

Non resta molto altro da fare se non tornare al motivo per cui ci si è incontrati, si parte per il giro. La fisarmonica di biciclette e appiedati si allunga e si condensa per le vie di San Salvario, si incrociano un paio di ristoranti solidali e poi si devia verso il centro. È lì che tra i palazzoni storici echeggia il primo coro, semplice e lineare: “Oggi Foodora non la-vo-ra!”. Compatti si procede ancora un po’, si incrocia qualche fattorino in rosa e gli si ricorda che è in atto una lotta, una di questi si aggrega alla combriccola. Il tour si avvia alla fine scomodando qualche altro ristorante nei servizi di Foodora.

Nelle chiacchiere ai margini tra un coro e l’altro emergono le riflessioni sul prossimo futuro, su come continuare a lottare, quali obiettivi darsi, come incontrare i nuovi fattorini che finiscono tra le maglie dell’azienda. In questa giovane esperienza c’è molto a cui pensare, intanto ci riserviamo la possibilità di ragionare nel prossimo futuro come una tale esperienza potrebbe inserirsi in una trasformazione più ampia del mondo del lavoro e delle possibilità che hanno le lotte che lo attraversano.